I disoccupati 'invisibili' - Un programma per le sinistre

Ci sono persone più svantaggiate, perché considerate "troppo vecchie" anche se solo "over 40" - Per decidere dove andare forse bisogna ricordare più che inventare
Sono un italiano di 45 anni iscritto da più di 20 anni al Centro per l'Impiego della mia città. Quindi un disoccupato storico "da rottamare".

Sono laureato, specializzato, etc..., con moglie anch'essa in cerca di occupazione e due figli a carico, ma ho svolto sempre lavori occasionali di vario genere. Ma perché nei concorsi pubblici, in conformità ai titoli di studio conseguiti, come punteggio non vale l'anzianità di disoccupazione (ad es. un punto per ogni anno di iscrizione alle liste del centro per l'impiego)? Attualmente ("avviamento a selezione presso le Pubbliche Amministrazioni, ex art. 16, legge 28 febbraio 1987, n. 56") in molte Regioni, come ad es. in Puglia, esiste solo il massimale di anzianità, cioè raggiunti 10 anni di iscrizione il punteggio diventa uguale per tutti; i restanti anni non valgono niente. Perché non aggiungere anche questo ai criteri già in vigore, che riguardano il carico di famiglia e reddito?

Inoltre, perché il legislatore non inasprisce le pene previste, anche pecuniarie, a chi pone limiti di età negli annunci di lavoro, ovvero in tutti i casi previsti dal D.L. 9 luglio 2003 n. 216 relativo all'attuazione della Direttiva Comunitaria 200/78/CE, riguardante la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro? Molte aziende (a leggere i giornali) hanno abbassato a 40 anni la soglia che separa le decisioni se investire o disinvestire sulle risorse umane. C'è una contraddizione: da una parte, politicamente, si spinge all'allungamento dell'età per andare in pensione; dall'altra, a livello aziendale, poiché i lavoratori maturi costano di più e sono meno flessibili, si fanno pressioni per mandarli a casa, e inserire elementi giovani, con contratti di apprendistato, magari illudendoli.

In Italia a chi si riferisce l'aumento dell'età pensionabile, se poi si viene cacciati a 45 anni? Sono gli "over 45" espulsi dal mercato del lavoro i cosiddetti nuovi poveri, cioè quelle persone che, pur con qualifiche professionali significative, si ritrovano a diventare disoccupati storici. Non è il singolo individuo disoccupato che è vittima dell'espulsione dal ciclo produttivo, ma un intero nucleo familiare che risente di tale situazione, specialmente quando non si ha nessuno che possa aiutarti, e sei diventato ormai una persona esclusa dall'attuale sistema sociale.

Prima pensavo al futuro, chiedendomi "forse ci posso riuscire a..."; poi il futuro ha incominciato a far paura; più tardi, addirittura orrore; ora, semplicemente NON ESISTE!

E' necessario per gli "over 45" che non hanno lavoro, che venga introdotta la priorità di creare un mercato del lavoro esclusivamente rivolto a queste categorie, essendo diventate INVISIBILI, anche con incentivi alle aziende che assumono, contributi mensili di solidarietà sociale in base al reddito, agevolazione all'accesso nel pubblico impiego in riferimento ai titoli di studio conseguiti, etc..., ma, nel nostro paese, purtroppo, non esiste la volontà strutturale di risolvere questo dramma che attanaglia tante famiglie in crisi totale.

Scusandomi, vi prego di dar voce a questa mail (se condivisa) contribuendo possibilmente a sensibilizzare l'opinione pubblica e chi di dovere.

Gennaro Tedesco

 
Un buon programma per le sinistre
 
La crisi attuale è difficile, pesante, grave. Non so se sia la peggiore dopo quella del 1929 (ce l'hanno detto anche nel 1973, nel 1979, nel 1987, nel 1992, nel 2001...), però è difficile per tutte le ragioni che spiega bene Angelo Gennari.

Mi piace l'idea di tornare ad Adam Smith: non bisognerebbe scordare mai che egli era innanzitutto un filosofo morale, e nell'operare economico cercava la tracce profonde di un'etica da cui non si poteva prescindere. Certo, c'è la dura necessità del dover vivere, che spesso non può lasciare lo spazio alla benevolenza. In fin dei conti, il suo macellaio e il suo birraio erano persone che dovevano comunque sbarcare il lunario. Spetta però alla politica far sì che i singoli egoismi (o semplicemente visioni ristrette) non sopraffacciano l'interesse generale, il bene comune. Occorre dunque rimettere al loro posto mezzi e fini: capitalismo o socialismo, libero mercato o programmazione non possono essere altro che strumenti per realizzare quello che è stato il sogno di molti: una società di liberi ed uguali, in cui si è uguali proprio perché liberi. Una società, insomma, dove "il libero sviluppo di ciascuno sia precondizione per il libero sviluppo di tutti" (Marx ed Engels, Manifesto del partito comunista). Penso che questo possa essere ancora un buon programma per le sinistre.

Maurilio Menegaldo

 
Lunedì, 19. Gennaio 2009
 

SOCIAL

 

CONTATTI