Hollande dice qualcosa di sinistra

Il programma del candidato socialista alle presidenziali francesi mostra una chiara connotazione e, pur puntando all’equilibrio di bilancio, rifiuta le tappe forzate previste dal nuovo trattato europeo. Il punto più delicato è la crescita, che non dipenderà solo dalle politiche di Parigi

Qualche giorno fa Francois Hollande ha presentato il suo programma di governo alla ex casa del metallurgico (scelta che appare non casuale). Cominciamo dal bilancio e debito pubblico: partendo da un deficit di 4,5% e da un debito di 88,7% nel 2012, Hollande si propone di portare il deficit al 3% (il limite posto dal Trattato di Maastricht) nell’anno successivo, per poi arrivare gradatamente al pareggio di bilancio nel 2017. Ciò consentirà al debito pubblico di scendere di 8,5 punti percentuali raggiungendo il rapporto di 80,2%  a fine legislatura. Vi sarà un calo della quota della spesa pubblica di 2,6 punti percentuali (da 56,5% a 53,9%), mentre la pressione fiscale salirà di 1,8 punti (da 45,1% a 46,9%), con un aumento soprattutto nel 2013, necessario per raggiungere il 3% di deficit. La previsione di crescita economica sale da un tasso dello 0,5 nel 2012 a 2,5 nel 2015, per stabilizzarsi a quel livello.

 

La prima osservazione è che il programma del candidato socialista costituisce un esplicito rigetto delle misure di stretta sui bilanci pubblici previsti dal nuovo trattato intergovernativo che dovrebbe essere varato a breve. Non a caso Hollande ha detto che il suo primo atto dopo la vittoria sarà quello di recarsi a Berlino per spiegare alla Merkel che anche lui punta ad un ritorno “à l’equilibre de finances publiques”, ma senza nessuna frenesia teutonica.

La seconda osservazione è che si tratta di un programma che può essere tranquillamente definito di sinistra, e non a caso ha suscitato la riprovazione dei liberisti duri e puri. La pressione fiscale cresce e rimane alta, mentre la diminuzione della quota delle spese pubbliche è il risultato del tasso di crescita dell’economia. Pur nell’ambito di una quota di pubblico impiego che rimane costante, sono previsti 60.000 insegnanti nelle scuole e 5.000 addetti a polizia e ordine pubblico. Vi sono programmi per l’impiego giovanile, con una previsione complessiva di 650.000 posti aggiuntivi, aiuti alle PMI, alla ricerca. Questi programmi sono finanziati da un aumento della pressione sulle grandi imprese e le banche, da un aumento della aliquota dell’imposta sul reddito da 40% a 45%, da una maggior incidenza dell’imposta sui grandi patrimoni, dalla scomparsa delle detassazioni del lavoro straordinario, insomma  dalla eliminazione di tutta una serie di misure che erano state introdotte da Sarkozy.

 

L’unico punto che sembra creare qualche malcontento a sinistra è che il pensionamento sarà possibile a partire dai sessanta anni, ma con 41,5 anni di contribuzione. Rispetto a quello che è avvenuto in Italia, credo che i nostri sindacati ci metterebbe subito la firma.

 

Il punto delicato è evidentemente quello dei tassi di crescita. La previsione di raggiungere in tre anni il 2,5% non dipende solo dai programmi del futuro governo francese, ma in misura rilevante da quello che farà l’Europa, che a sua volta dipende in modo cruciale dalla Germania. Con un’area euro ormai in fase recessiva, e con i mercati finanziari sempre in fibrillazione (se si risolve il caso greco, si apre quello portoghese), le prospettive sembrano buie, a meno di un netto cambiamento di rotta. La notizia positiva per tutti, e per la stessa Francia, è che la vittoria di Hollande può essere un importante passo verso una svolta della politica economica dell’Europa.   

Venerdì, 3. Febbraio 2012
 

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