Governare con i centristi? Non lo chiede l'Europa

Le posizioni sostenute in Italia da quest'area, specie nel campo dei diritti civili, dei problemi etici e dei rapporti con la Chiesa cattolica, sono considerate dalla maggior parte delle forze politiche dell'Unione non di centro, ma di destra. Peraltro, non sono in alcun modo collegabili a richieste venute dalla Troika. Perché la sinistra democratica dovrebbe affrontare una trattativa su questi temi e scendere a compromessi che impedirebbero una vera modernizzazione?

Tutto il gran trambusto prodotto dalla crisi del Pdl, con annesse giravolte e serpentine di un Cavaliere mai domo, non è bastato a rivoluzionare gli scenari che si andavano delineando, più o meno, sin dal momento dell'insediamento di Monti a Palazzo Chigi.

 
Il centro-destra non ha più la maggioranza nel Paese. La deriva estremista, fin quasi eversiva, imposta dal suo leader rende impraticabile anche un ritorno alla “grande alleanza” dei moderati (la destra più i centristi), mentre una “piccola alleanza”, senza Berlusconi, non sarebbe vincente.

Con il centrodestra in questo ginepraio, l'endorsement di Monti per l'area di centro può solo porsi come obiettivo credibile quello di impedire al centro-sinistra di avere la maggioranza anche al Senato e dunque di imporre una trattativa.

 

Non so dire se è probabile che accada, certo è possibile. Eccoci dunque al solito tormentone che agita il centro-sinistra (più i commentatori che i protagonisti, dirigenti e “popolo”, a ben vedere). Alleanza col centro? Bersani si è perfino lasciato scappare un’affermazione singolare, per un candidato premier in un sistema maggioritario (meglio il 49% che il 51%) per dire che una trattativa non lo spaventa.  Fino a restituire il governo a Monti? Ovvero, secondo una recente trovata, alquanto bizzarra, una staffetta?

 

E sia, se è di questo che si deve parlare, facciamolo. Ma trovo singolare che si continui a stare alla larga da quello che dovrebbe essere il merito di una eventuale trattativa tra destra e sinistra. Sembra che si voglia distogliere l’attenzione dai punti di dissenso che li dividono. Perché invece non provare a cimentarsi, magari con una breve lista?

 

Diritto di famiglia. Separazione netta del regime delle unioni civili da quello dei matrimoni.

Politica fiscale e politica sociale. Il tratto distintivo dei centristi in questi campi è la centralità della famiglia (alla condizione del punto precedente) attraverso una fiscalità di vantaggio e sussidi.

Scuola. Garantire aiuti di stato alle scuole paritarie.

Diritti, libertà religiosa. Salvaguardia del regime speciale (al di là del Concordato) per i cattolici.

Altri se ne potrebbero aggiungere. Di minore rilievo, tranne quello dell’articolo 18, volutamente omesso, su cui torno in conclusione.

 

Ora, a proposito di questi punti che ho elencato, penso che si imponga una domanda. Possiamo affermare che siano tutti, o anche uno solo di questi, organicamente collegabili all'”agenda europea” su rigore e crescita su cui sembra si giochi la credibilità del futuro governo del Paese?

 

Che siano punti condivisi e, probabilmente, ritenuti anche importanti da una parte (certamente non dalla totalità) dello schieramento raccolto nel Ppe è del tutto plausibile. Sono funzionali all'equilibrio dei conti? Possono aiutare lo sviluppo?

 

Sulle soluzioni di politica sociale e fiscale centrate sulla famiglia come cellula elementare (esempio tipico il quoziente familiare, su cui la stessa area centrista è stata costretta a esprimersi con molta prudenza) credo di poter dire che in Europa (non solo nell'area socialdemocratica) prevale tuttora, a parte le considerazioni contrarie in linea di principio, l'idea che siano soluzioni che non aiutano a innalzare a livelli decenti il tasso di occupazione femminile né a ridurre il divario da quella maschile nei paesi, come il nostro, dove raggiunge livelli intollerabili e incivili. Piuttosto, rischia di peggiorare ulteriormente la situazione.

 

Sulla scuola paritaria, non mi addentro in esercitazioni statistiche complesse per un esame comparato del rapporto costi-efficacia del sistema a finanziamento misto rispetto a quello a finanziamento esclusivo per la scuola pubblica. Credo però che si possa più semplicemente rilevare come all'impegno di risorse per il sostegno agli istituti paritari sia corrisposta una contrazione di quelle destinate alla scuola pubblica, tale da comportare un peggioramento dell'offerta scolastica, allorché la crisi richiedeva viceversa un impegno straordinario per investire sull'istruzione.

 

Sul regime attuale delle unioni civili, è noto come anche qui gli aspetti di principio siano comunque rilevanti, essendo in causa temi come la discriminazione e l’uguaglianza dei diritti fondamentali della persona, che in Europa sono largamente affermati (e ripresi dalla nostra Costituzione). Non credo di dover argomentare, tuttavia, come da questo stato di cose derivi anche un danno all'economia nazionale ogni qualvolta cittadini italiani sono spinti a spostarsi in altri Paesi Ue per vedersi garantiti diritti cui non intendono rinunciare per il solo amore del suolo patrio.

 

Analogamente si potrebbe dire del regime speciale concesso alla religione cattolica e alla Chiesa Romana. Dalle tasse, applicate in modo più favorevole rispetto ad altre associazioni con finalità sociali, alla tolleranza verso pratiche da paradiso fiscale dello Stato Pontificio. Dagli ostacoli alle interruzioni di gravidanza, pur consentite dalla legge, agli impedimenti alla procreazione assistita. Dallo status dei docenti di religione al trattamento di favore per le cliniche di proprietà di istituzioni religiose, è un lungo elenco (non proseguo per non apparire “mangiapreti”) i cui costi per il bilancio pubblico, diretti e indiretti, sono sempre più spesso oggetto di attenzione della stampa e, quel che più conta, delle stesse istituzioni europee.

 

Non penso assolutamente che vadano demonizzate le posizioni del polo centrista che ho fin qui evocato. Non le condivido. Per alcune di queste sono anche convinto che contrastino (palesemente, starei per dire) con la Carta Costituzionale ma, in assenza di pronuncia formale della Corte, non pretendo di ergermi a giudice. Certo, almeno le procedure di infrazione aperte dall'Ue dovrebbero far riflettere. Mi limito ad affermare, però, con la massima nettezza, che nessuna di queste posizioni è, implicitamente o esplicitamente, riconducibile alle “Tavole della Legge” trasmesse dalla Troika. Si può anzi legittimamente sostenere che entrino in contrasto con esse. E che, absit injuria verbis, le posizioni che in Italia definiamo centriste, in Europa sarebbero catalogate come (molto) di destra.

Perché dunque l'Italia laica uscita dalle rovine della II guerra mondiale dovrebbe rimanere ancorata a queste posizioni? Perché la sinistra democratica dovrebbe affrontare una trattativa su questi temi dando per scontato di dover scendere a compromessi, tanto da rinunciare a una modernizzazione a lungo attesa? Vera, non di plastica come quella spacciata dal Cavaliere!

 

Resta un ultimo punto di dissenso, che meriterebbe un intero discorso a parte: la politica del lavoro.

Non riguarda i massimi sistemi ma un punto specifico: il regime dei licenziamenti dettato dalla legge n.300/70 (art. 18). Che abbia a che vedere con l'agenda europea non lo crede né lo afferma l'Europa. E' acclarato. E chi lo sostiene (Monti compreso) lo fa strumentalmente: sospettare che si tratti di ignoranza sarebbe offensivo. Ha a che fare con un altro tema, in effetti caro ai centristi tanto quanto alla destra, in solida convergenza: la divisione del movimento sindacale, per accreditarne solo una componente come interlocutore. Senza l'onere di provarne la maggiore rappresentatività.

 

Non starò qui a dire che non ci sia neanche un minimo concorso di colpa da parte della componente maggioritaria, oggetto della conventio ad excludendum. Dopo aver citato l'argomento, non lo approfondirò però in questo spazio. Se non per dire che un giorno, spero prima possibile, qualcuno si dovrà pur cimentare con la storia della rottura dell'unità sindacale. Partendo dal Patto di Natale.

Fu quello, siglato con il governo D'Alema a fine 1998, l'ultimo accordo unitario, o di concertazione, come si diceva allora: un termine poi diventato impronunciabile. Dopo qualche mese Massimo D'Antona era assassinato da terroristi riapparsi all'improvviso sulla scena. La sua commemorazione fu l'ultimo atto unitario. In pochi quel giorno potevamo presagire che si trattasse anche del funerale dell'unità sindacale.

 

Ripercorrere le tappe di quella rottura credo contribuirebbe non poco a riportare il discorso politico in una cornice di trasparenza e di verità. La democrazia ne trarrebbe sicuro giovamento.

Sabato, 22. Dicembre 2012
 

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