Gli incroci obbligati tra programmi e correnti politiche

Un esame dei punti di contatto e di quelli di frizione non solo tra “progressisti” e “moderati”, ma anche tra le correnti interne ai due schieramenti, in cui si confrontano culture e sensibilità a volte diverse e a volte in parte sovrapponibili

Al massimo tra nove mesi si vota. Pur essendo ancora sconosciuto il sistema elettorale può essere interessante verificare quali sono i punti sui quali è teoricamente possibile costruire un programma economico comune dell'area di centro-sinistra. Non è facile delimitarne i confini. Si possono definire ipotesi programmatiche e verificare le convergenze oppure identificare i blocchi sociali di riferimento e fabbricare programmi ad essi potenzialmente più graditi. I due approcci potrebbero dare risultati diversi ma, per essere realistici, debbono fare i conti con il vincolo delle risorse.

 

I potenziali alleati sono per ora descritti in termini generici. Si parla di "moderati" e di "progressisti"; un decennio fa vi sarebbe stato un elenco di singoli partiti. I tempi sono mutati. I partiti sono definiti "liquidi", cioè non organicamente strutturati: dovremmo dunque riferirci ad aree di opinioni e di interessi. In questa ottica, ad esempio, Bersani intende rivolgersi alle cosiddette liste civiche, che sembrano rappresentare meglio agli occhi di una parte dei cittadini interessi di tipo specifico (settoriale, territoriale o professionale). Esistono frazioni di elettorato che sono invece attivate da modalità di comportamento (trasparenza, correttezza amministrativa, collegamenti di tipo assembleare tramite web) con molta voluta indeterminazione per quanto concerne la visione globale. Parte di questo elettorato è potenzialmente recuperabile nelle due aree. Ma rimangono notevoli gli elementi di incertezza definizionale. La sinistra cosiddetta radicale, ad esempio, non appare tanto lontana da quella riformista per quanto concerne le categorie da tutelare; ma mostra il fianco scoperto dal lato delle compatibilità e dei tempi di attuazione.

 

Può essere comunque interessante esaminare se e in quale misure le due aree concordino per quanto concerne: a) l'individuazione delle cause profonde della crisi mondiale e di quella nazionale; b) la scelta degli obiettivi prioritari della manovra di politica economica,  che non può prescindere dal modello di sviluppo e di società che si prefigura; c) gli strumenti da applicare per conseguire tali obiettivi in un arco temporale ragionevole.

    

Nel campo dei cosiddetti moderati, la componente cattolica concorda nell'individuazione di due fattori-chiave della crisi mondiale: a) gli eccessi sfrenati della finanziarizzazione; b) il forte aumento della maldistribuzione dei redditi. Sono passati da un bel pezzo i tempi in cui essi definivano il denaro "lo sterco del Diavolo"; ma è indubbio che le associazioni più rappresentative dei movimenti ecclesiali indicano nella separazione fra la finanza e l'economia reale un elemento di turbamento dell'equilibrio etico della società; considerazioni che valgono anche per la concentrazione dei redditi. Non riecheggia il pauperismo francescano: molta acqua è scorsa sotto il ponte di Castel S. Angelo e, auspice lo Ior, le crune degli aghi sono state così allargate da far passare carovane di cammelli. Ma certamente la dottrina sociale della Chiesa è contraria all'individualismo etico ed a quello economico che ne è diretto discendente; non crede alla virtù degli automatismi di mercato; invoca il solidarismo sociale e attribuisce alle classi agiate una responsabilità morale nei confronti delle situazioni di disagio.

    

Anche la componente che si autodefinisce "liberale" sembra allinearsi. L'ex ministro pompeiano Sandro Bondi (tanto nomini....), folgorato sulla via di Damasco scrive su L'Unità del 4 luglio: "Una società in cui le diseguaglianze sociali crescono a dismisura, rischia di mettere a rischio (sic!) lo sviluppo economico e la sua tenuta complessiva".

 

L'approccio metodologico delle Sinistre, termine con il quale le abbracciamo tutte, da quelle radicali a quelle riformiste, è diverso, ma le conclusioni a cui pervengono collimano in larga misura. Con l'avvertenza che gli schemi concettuali astratti filtrano per "sgocciolamento" (leakage) nella psicologia delle masse: quando coincidono con la promozione o la difesa di interessi di gruppo si trasformano in scelte elettorali.

    

L'analisi marxiana secondo la quale nelle forme più patologiche del capitalismo il denaro produce denaro in un vortice che porta al collasso del sistema attraverso la caduta tendenziale del saggio di profitto viene applicata alle vicende contemporane nelle quali troverebbe conferma. Ciò vale anche per la concentrazione dei redditi: da molti anni la sinistra italiana ed europea richiamava l'attenzione sul massiccio spostamento di ricchezza dai ceti produttivi a quelli proprietari (da lavoro a capitale) ed anche a favore dei ceti intermediari e parassitari. Il cambio lira/euro, attuato da Berlusconi in voluta assenza di qualunque controllo, ha provocato nel nostro Paese quella che in altro articolo definimmo "la Grande Rapina". Anche prescindendo dalle valutazioni etiche che i moderati pongono in primo piano, ciò ha generato il gap recessivo della domanda globale. Sempre secondo la Sinistra il mercato senza una guida pubblica tende a rendere i forti più forti e i deboli più deboli: la radice vera della crisi sta, dunque, nelle contraddizioni congenite del turbo-capitalismo.

    

La convergenza di giudizio delle due Aree sulle cause della crisi è pressocchè  totale: le differenze nell'approccio metodologico sono materia dei duelli in punta di fioretto di intellettuali da salotto.

 

Dobbiamo dunque dare per scontato un potenziale accordo programmatico? Non è proprio così. Non solo perché è nei dettagli che appare la coda del Diavolo, ma perché i blocchi sociali di riferimento delle due formazioni, pur parzialmente sovrapponibili, appaiono  diversi. Il Partito Democratico non ha più come piattaforma di base la classe operaia; non per sua scelta, ma per le profonde modificazioni nella struttura socio-economica del Paese, di cui la parcellizzazione contrattuale è causa ed effetto. Vi è un vasto ceto medio con forte caratterizzazione culturale che insieme ad una base di pensionati guarda al Pd come un movimento in grado di tutelarne meglio gli interessi. Il Paese soffre da molti anni di un fenomeno che le politiche di destra hanno accentuato: il relativo pauperismo degli intellettuali. Talchè se per ipotesi il voto fosse riservato ai laureati il Pd raggiungerebbe percentuali molto alte.

    

Superato storicamente il solidarismo di classe rimane il forte riferimento ai beni comuni e a quella sinergia fra pubblico e privato, con preminenza del primo, come fattore di sviluppo e a protezione dei ceti più deboli.

    

I moderati fanno riferimento a gruppi sociali compositi: l'elemento comune consiste nell'insofferenza rispetto a mutamenti troppo bruschi nei rapporti socio-economici. Fra di essi figurano anche i reduci della campagne populistiche e delle cavalcate sulle nuvole della stagione berlusconiana, anche se non lo ammetterebbero mai.

 

Le maggiori difficoltà emergono nella scelta di appropriati strumenti di politica economica: si tratta del passaggio cruciale fra proclamare e governare. E' quasi certo che di fronte alla necessità di interventi particolarmente incisivi in senso redistributivo, i moderati verseranno abbondanti dosi di acqua (santa?) nel Lambrusco di Bersani o nei robusti vini dell'Oltre Po pavese di Fassina. Il blocco sociale di riferimento dei centristi abbraccia anche il mondo degli artigiani e delle professioni. Ciò si ripercuote sulla politica fiscale. Quest'area di opinione impugna la bandiera del quoziente familiare. Non facile da realizzare sia per il costo che per i rischi di elusione tributaria di massa.

    

Per quanto concerne invece la lotta all'evasione preferirebbero un approccio più soft, mentre il Pd, anche sotto la pressione dei sindacati, è certamente favorevole a scelte radicali, anche con strumenti coattivi; gli ex Dc, nella tradizione agostiniana, sceglierebbero invece meccanismi più persuasivi. come il "ravvedimento operoso". Altri punti potrebbero essere controversi. I moderati vorranno forse continuare a muoversi nella scia del governo dei Professori, mutuando ministri di sicura fede, come il ministro Passera, che in occasione di un recente convegno ha guadagnato punti di merito passando la notte in una cella francescana. 

    

Un altro punto di frizione sarà costituito dalla gestione di beni pubblici come l'acqua. Il Pd, coerentemente con la politica di sostegno reciproco nei confronti delle liste civiche, non potrà non tener conto dei risultati referendari, mentre i moderati accarezzano ancora il falso mito dell'efficienza privatistica, nonostante le esperienze alla Ligresti. Altri fattori di divergenza: la tassazione dei beni ecclesiastici e il finanziamento della scuola privata. I quattro elementi decisivi nella politica di questa coalizione, che potrebbe ricordare più le convergenze parallele morotee che il centro-sinistra fanfaniano sono: a) politica fiscale; b) politica industriale; c) infrastrutture e localismi; d) scuola e ricerca.

 

Per quanto riguarda il cuore del problema dello sviluppo equilibrato e cioè la redistribuzione dei redditi non esiste un unico modo né un unico timing per realizzarla. Si può procedere con massicce tassazioni e detassazioni, con gli sconquassi che genera una manovra di questo tipo; o contare sulle virtù salvifiche delle liberalizzazioni e della concorrenza accompagnate da politiche tributarie a vasto consenso (tax compliance). Ma la politica concreta della coalizione non può non cozzare contro il muro invalicabile dei dati. Come ha ricordato la Camusso, le aliquote Irpef di vent'anni fa, con governi "moderati", variavano da un minimo del 10% ad un massimo del 72%; attualmente sono nell'intervallo fra 20 e 45%. Quando la forbice si restringe così nettamente il recupero dell'equità tributaria implica misure drastiche, se non si vuole rinviarlo, come si suol dire "a babbo morto".

    

Per valutare questo modello politico per ora virtuale si può solo richiamarci alla scherzosa battuta inglese secondo la quale l'unico modo per giudicare la bontà un budino consiste nel mangiarlo.

Martedì, 10. Luglio 2012
 

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