Gli anni magri delle pensioni

Tra i primi provvedimenti del governo ci sono quelli sulla previdenza, ma le pensioni, secondo i calcoli della Spi-Cgil, hanno già perso il 30% del loro potere d’acquisto negli ultimi 15 anni. E bisogna ricordare che non sono solo una voce di spesa, ma anche una componente importante della domanda globale

Sotto alcuni aspetti il governo Monti potrebbe definirsi neo-guelfo, in quanto indirettamente influenzato da quella dottrina sociale della Chiesa. Inoltre, stando alle loro carriere scientifiche e professionali, molti membri del governo, e in primis il premier, sembrerebbero inclini a considerare valide alcune tesi del liberismo classico, temperate da robusto buon senso e da principi di solidarismo sociale. Con una battuta potremmo dire che si tratti del cosiddetto "uomo di Chicago" che, passando attraverso una sacrestia, ne risulti beneficamente influenzato.

    

L'esultanza dell'opinione pubblica, quale risulta da frettolosi sondaggi, trova giustificazione nel teorema delle scarpe strette, secondo il quale togliendosele si ha comunque una profonda sensazione di sollievo, anche se non è detto che altre eventuali calzature siano le migliori in senso assoluto. Certamente la comparazione, fatta da alcuni osservatori, tra le figure di prima e quelle attuali di titolari di singoli dicasteri è decisamente impietosa. Non si tratta di raffrontare tecnici a politici, ma persone normali con curricula adeguati alle loro responsabilità con una congerie di incompetenti, collusi con ambienti di non specchiata onestà, avventurieri dichiarati, arrampicatrici sociali supine a qualunque compromesso o socialisti con mentalità rivendicativa rispetto all'antico credo, come un Giuliano l'Apostata.

 

Su di un aspetto particolare del ruolo del sistema pensionistico, alla cui organizzazione il prof. Monti ha dedicato un accenno nella alquanto vaga relazione programmatica, e cioè sul suo peso come componente della domanda globale, è calato un silenzio di tomba (con relativi scongiuri dei pensionati stessi). Eppure il totale della spesa originata da decine di milioni di pensionati rappresenta una quota molto rilevante dei consumi di beni e servizi. Qualche tempo fa il fenomeno fu evidenziato dalla Confcommercio, notoriamente attenta a queste dinamiche, perchè i suoi iscritti operano alla frontiera della battaglia economica. Nel momento in cui si solleva il problema del passaggio accelerato al contributivo  (magari pro-rata e con eccezioni per le anzianità dei lavoratori precoci) non potranno non essere rimarcate alcune iniquità che sono andate maturando nel tempo. Secondo la Spi-Cgil, con calcoli a mio avviso sostanzialmente corretti, le pensioni hanno subito negli ultimi 15 anni una perdita del 30% del loro potere d'acquisto. Ciò sotto l'effetto congiunto del fiscal drag, della mancata correlazione ai livelli stipendiali correnti (fenomeno del décalage delle cosiddette "pensioni d'annata") e, aggiungiamo noi, di un meccanismo sostenuto dalla stessa Cgil in base al quale al di sopra di una certa soglia la rivalutazione per conguaglio monetario era solo parziale. Quest'anno il defunto governo l'ha abolita del tutto. Appare comunque ben strano che quella redistribuzione dei redditi che i vari governi non hanno saputo o voluto introdurre nel mondo del lavoro e delle imprese si realizzi, in attesa della più radicale "livella" post-mortem, nella fase pensionistica.

 

Accanto, dunque ad  un massiccio intervento di disboscamento di anomalie di cui è irto il sistema pensionistico (privilegi di politici, amministratori locali, categorie professionali e voragini nelle Casse degli autonomi, frutto indiretto dell'evasione fiscale) è auspicabile un'azione di rivalutazione delle pensioni al fine di stimolare la domanda interna. Si tratta di un aggregato che origina una struttura di consumi e un conseguente product-mix con caratteristiche peculiari, perché riguarda in larga parte beni e servizi ad alta intensità di manodopera e a forte localizzazione territoriale. Si tratterebbe, dunque, di uno di quei non molto frequenti casi in cui l'equità sociale si coniuga con la convenienza economica.

 

Questa considerazione è però legata ad un altro interrogativo non secondario. Il recupero del potere d'acquisto degli "inattivi" collima - o no - con il modello di sviluppo a cui sembra ispirarsi la Commissione Europea e, forse facendo di necessità virtù, il governo Monti? In altre parole, la domanda deve alimentare la ripresa dell'offerta o viceversa?

    

A prima vista la risposta sembrerebbe negativa. La Commissione, ossessionata dai rischi (reali) di crolli finanziari, non sembra altrettanto attenta (nonostante le voci nel deserto di illustri economisti) né ai fenomeni redistributivi né a politiche di sostegno della domanda più aggressive. Appaiono lontani i tempi di Jacques Delors: quam mutata ab illa!

    

Per quanto concerne il nostro Paese, la debolezza dell'apparato industriale, parzialmente caduto in mani straniere e penalizzato da nove anni di non governo, giustifica una politica fiscale attiva nei confronti dei costi dell'impresa e del lavoro. Il modello neo-liberista che prevede altresì un ruolo dell'iniziativa privata (vedi dichiarazioni di Passera) non può peraltro essere sostenuto acriticamente in una fase ciclica in cui per molti aspetti è ad esso o alle sue interpretazioni più radicali ascrivibile la colpa della crisi del mondo di antica industrializzazione, compresa l'Eurozona. Contare solo sulla supply side economy significherebbe rafforzare lo squilibrio tipico, ad esempio, dell'economia italiana attuale, rappresentato dal fatto che le esportazioni tirano, mentre languono o si contraggono i consumi interni.

 

Dato che in pochi giorni si è rinnovato anche il lessico roboante ci guardiamo bene dal pretendere dal governo scelte "epocali". Tuttavia occorrerà pur riflettere sul fatto che nel giro di pochi anni un enorme potere d'acquisto si è spostato da certe categorie di percettori di reddito ad altre, con la connivenza di una politica fiscale oggettivamente permissiva, anche nei confronti dell'elusione. Questa onda di fondo ha ingolfato il meccanismo riequilibratore della domanda rispetto all'offerta, generando una struttura di consumi, e di conseguenza una struttura produttiva, artificiosamente sostenute dalla finanza creativa miseramente crollata. Sarebbe dunque opportuno tener conto del fatto che una quota rilevante di questa redistribuzione perversa di potere d'acquisto ha colpito la grande massa degli inattivi.

 

E' proprio nel recupero di queste quote di domanda aggregata e nella correlata attuazione di criteri di giustizia sociale che si giocherà la valutazione delle capacità politiche del governo dei tecnici. A chi obiettasse che le dimensioni dell'intervento riparatore supererebbero i limiti del sostenibile, si possono contrapporre le cifre stimate dell'evasione (170 miliardi annui), del costo della corruzione (70 miliardi) e del fatturato criminale (40/50 miliardi). D'altra parte nessuno pensa di poter porre rimedio in un solo anno ad una erosione ultradecennale.

 

E' vero che il popolo degli esclusi dal mercato (dai pensionati ai disoccupati) non ha armi economiche da impugnare: ma dispone, a tempi abbastanza ravvicinati, dell'arma letale del voto.

Giovedì, 1. Dicembre 2011
 

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