Cè da considerare che la scala è relativamente piccola, in modo da evidenziare gli andamenti. Solo per questo sembra che il Pil cresca in modo robusto, mentre in realtà sappiamo bene che, specie nellultima decina danni, il suo aumento è stato molto modesto, prima di precipitare per la crisi tornando, come si vede, più o meno ai livelli di inizio secolo. Landamento delloccupazione totale è rappresentato dalla linea verde. Inizia con un tuffo in basso: sono gli effetti della crisi del 92, quella della svalutazione della lira, con il suo strascico nel 95. Poi riprende, ma certo non fa sfracelli: non riesce a star dietro neanche alla debole performance del Pil. E comunque ne segue landamento, almeno fino ai primi anni 2000, quando la forbice comincia ad allargarsi. Poi dal 2008 crolla il Pil e loccupazione lo segue, anche se con maggiore vischiosità (grazie anche alla Cig: i cassintegrati non sono computati tra i disoccupati).
E le riforme strutturali, quelle che avrebbero dovuto far aumentare i posti di lavoro? Ricordiamo le più importanti. Nel 93 cè il grande accordo governo-parti sociali, che un effetto sicuramente lha avuto, quello del contenimento della dinamica salariale. Da allora, come si sa, la quota dei salari sul Pil ha perso terreno a vantaggio di quella dei profitti. Sulloccupazione, però, la linea verde non registra grandi effetti. Poi ci sono le norme del luglio 97, il Pacchetto Treu, che inietta nel sistema una massiccia dose di flessibilità (e di precarietà). Sì, nel periodo successivo loccupazione sale, ma sta salendo anche il Pil, e anche a un ritmo maggiore. Sarebbe difficile sostenere che quelle norme siano state determinanti.
Ma forse la flessibilità era ancora troppo poca. Così nel 2003 viene emanata la legge 30 (quella che la destra si ostina a chiamare legge Biagi) che la aumenta ancora. Conseguenze? La linea verde non solo resta piatta, ma non segue neanche il Pil che sta ancora salendo.
E arriviamo così al 2007, quando il governo Prodi vara la legge sulla detassazione del salario di produttività, che lanno dopo sarà incrementata dal successivo ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Al di là del nome accattivante, detta in soldoni è un modo per permettere alle imprese di eludere un po di tasse trasferendo qualche pezzo di salario sotto questa voce. In tempi normali avrebbe avuto di per sé un effetto negativo sulloccupazione, perché rende più facile richiedere straordinari (che i lavoratori sono più propensi ad accettare vista la tassazione molto favorevole), che in parte vanno al posto di nuove assunzioni, come anche la Banca dItalia aveva rilevato. Dal secondo semestre 2007 loccupazione comincia a scendere, ma il provvedimento arriva proprio mentre la crisi sta esplodendo (esce a luglio sulla Gazzetta Ufficiale) e leconomia sta per crollare, quindi è difficile dire quanto sia dovuto a quella legge.
Insomma, in conclusione, a guardare quel grafico viene da concludere che loccupazione è un po aumentata quando è salito il Pil, mente tutto quel rimestare sulle norme sul lavoro ha lasciato il tempo che ha trovato, a parte il peggioramento della situazione dei lavoratori.
Ma altre leggi, invece, effetti ben visibili li hanno avuti. Torniamo al grafico precedente, quello sulloccupazione per fasce di età. Sarà un caso che quelle più elevate mostrino una irresistibile tendenza a crescere? Naturalmente no. Quella dellinnalzamento delletà pensionabile è stata una scelta politica dichiarata esplicitamente e ripetutamente, dai governi di ogni colore. Una scelta giusta? Certamente, prima che si iniziasse con le riforme, il nostro sistema previdenziale si avviava a diventare insostenibile. Era stato disegnato allinizio degli anni 60, tenendo conto del fatto che, allepoca, erano ben pochi i lavoratori con regolari versamenti di contributi e dunque era necessario regalar loro qualcosa per questione di sopravvivenza. Per di più, i conti erano stati fatti ipotizzando anche per il futuro un tasso di crescita simile a quello dellepoca, lepoca del miracolo economico. Aggiungiamo infine i regali politici, come le baby-pensioni o i rendimenti maggiorati per alcune categorie, e il miscuglio fra previdenza e assistenza. Le pensioni di invalidità, per esempio, prevedevano fra i criteri di assegnazione anche quello sulla difficoltà di trovare lavoro in certe zone territoriali (ovviamente, soprattutto del Sud) e potevano dunque essere concesse anche senza una invalidità effettiva. Nientaltro che un sussidio, un reddito di cittadinanza che nulla aveva a che fare con la previdenza. E così via.
Intervenire dunque era necessario. La prima riforma è quella di Giuliano Amato nel 93, perfezionata poi nel 95 dal governo di Lamberto Dini. Come si vede non ha effetti subito sulla classe più anziana, perché prevede un regime transitorio: comincerà a mordere dal 2000. Per le donne invece comincia subito, sia per leliminazione delle pensioni-baby, sia perché il passaggio al metodo di calcolo contributivo (che scatta subito per chi nel 95 ha meno di 18 anni di anzianità) ridurrebbe troppo i vitalizi di chi va in pensione troppo presto. Negli anni 2000 gli interventi si susseguono, fino a quello di Sacconi del 2011 che provoca quella vistosa impennata delle linee dei più anziani. Le ultime norme del governo Monti certamente accentueranno ancora questo andamento, anche perché eliminano definitivamente i prepensionamenti per crisi industriali: un altro uso improprio della previdenza, da sempre gradito in egual misura da sindacati e imprenditori, che però colmava il vuoto anche se solo per una parte dei lavoratori dovuto allassenza di strumenti di sostegno del reddito dei disoccupati.
Cosa cè di sbagliato? Uno degli errori è certamente la rigidità. Si è perso del tutto, specie con gli interventi dei governi Berlusconi, uno dei principi importanti delle riforme Amato e Dini. Ognuno vada in pensione quando vuole, sapendo che il suo assegno sarà determinato da un coefficiente applicato sul totale dei contributi accumulati in modo che il suo assegno sia tanto più basso quanto la sua età è minore. Così la spesa per il sistema è uguale, sia che si vada a riposo a 70 anni che a 50: in questultimo caso si prenderà un importo molto basso, perché è prevedibile che dovrà essere pagato per più anni. E perché è stata bloccata questa possibilità, che avrebbe liberato posti di lavoro senza maggiori oneri per il sistema? Perché ad opporsi è la Ragioneria generale, vero e proprio ministero-ombra, secondo cui applicare quel principio renderebbe aleatorie le previsioni a lungo termine.
Il risultato è che viene imprigionato al lavoro anche chi per ragioni che possono essere le più diverse vorrebbe smettere nonostante la riduzione del vitalizio e occupa così, senza nessun vantaggio per lequilibrio del sistema, posti a cui potrebbero accedere i giovani. Possibile che nessumo ci avesse pensato? Il fatto è che ha vinto la teoria secondo cui il numero di posti di lavoro non è limitato, ma aumenta con laumento dellofferta. Il che può essere vero quando la torta diventa più grande, cioè quando leconomia cresce, ma non quando laumento del Pil è asfittico. E infatti, anche prima della crisi, come si vede dal terzo grafico, non cera un grande aumento di posti di lavoro. Per far crescere il Pil è necessaria la domanda, cioè qualcuno che spenda. La domanda può venire dallestero, ma se non basta serve quella interna: e se non spendono i privati (investimenti e consumi) dovrebbe essere lo Stato a farlo, esattamente come non sta facendo adesso.
Cerchiamo di trarre qualche conclusione. I numerosi interventi sia sulla flessibilità del lavoro che sulla previdenza hanno influito poco o nulla sulla creazione di posti di lavoro: per quello ci vuole altro. Lo hanno fatto invece, e pesantemente, sulla distribuzione della forza lavoro, per genere e per età. Con uno svantaggio per i giovani che emerge clamorosamente dai grafici, proprio quei giovani che si diceva di voler favorire. E tutta la flessibilità introdotta, con decine di contratti precari, dove è andata a finire? A guardare le linee del grafico sulloccupazione, neanche la classe maschile dei 34-44anni e quella femminile dei 25-34 se la passano bene. Viene il sospetto che la flessibilità sia finita proprio lì (oltre che per i pochi giovani che riescono a lavorare). E stata appena varata lennesima riforma del lavoro che continua a seguire la strategia precedente. Sarebbe il caso di metterne in cantiere unaltra, magari facendo qualcosa di diverso.
(Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata su LEspresso il 30 nov 2012)