Dopo un disastro, non si elegge il vice-disastro. Questo cordiale benvenuto a Dario Franceschini appena designato nuovo segretario del Pd, espresso in unintervista a La Stampa, è di Matteo Renzi, rampante giovanotto già pupillo di Rutelli che ha appena vinto le primarie per la candidatura a sindaco di Firenze battendo il concorrente che era proposto dalla struttura del partito. Renzi è uno di quelli che, se passasse la linea del cambio di generazione e del puntare su un giovane, tenterebbe la scalata alla segreteria del partito. Per portarlo dove? E' finita la fase in cui si stabiliva prima la linea, e poi si sceglieva il segretario: oggi è il segretario che condivide, discute e dà la linea. Come dire: ma che programma, lasciate fare a me!
In quella frase non cè solo presunzione personale, cè una concezione di partito. Un partito che non costruisce un progetto: sceglie un leader da cui farsi guidare, un leader in cui si possano (si debbano) riconoscere culture politiche anche molto distanti fra loro, perché punta ad aggregare almeno la metà più uno degli elettori; un partito del bipolarismo, non vincolato a una storia (che non riguarderebbe, appunto, la maggioranza degli elettori) né al territorio, ma alla suggestione mass-mediatica Io sono più bravo del mio rivale. Un partito allamericana, post-ideologico. Un partito come quello che abbiamo già sperimentato. Il partito del disastro.
Le prime mosse e i toni di Dario Franceschini, il gestore di passaggio, vittima predestinata del prossimo bagno elettorale, messo lì per non bruciare il prossimo candidato vero alla segreteria (e chi dovrebbe essere?), sono migliori di quanto ci si potesse aspettare. Giurare sulla Costituzione nella mani del padre partigiano non era un atto dovuto, e proprio per questo di maggior valore simbolico in un momento in cui la Carta fondamentale è sotto attacco e la storia sembra diventata un ingombro invece che un valore. Fino a qualche decennio fa la Costituzione, l'antifascismo e la laicità erano valori condivisi da tutte le forze politiche, ha detto. Oggi sembra che non sia più così. Noi però vogliamo che torni ad essere così. Dire che lopposizione a Berlusconi è una lunga battaglia che comincia per difendere la democrazia italiana significa aver chiaro quale sia la posta in gioco. Proporre un assegno mensile a tutti i disoccupati è, nella sua semplicità, una delle ricette più valide per combattere le conseguenze delle crisi non solo da punto di vista sociale, ma anche da quello economico.
Franceschini è cattolico ed ex democristiano, ma nella vergognosa vicenda del ddl-Englaro ha dimostrato di avere un concetto della laicità della politica e dello Stato ben superiore a quello dellex radicale Rutelli (e di molti altri ex democristiani ora nel Pd, purtroppo). Nella nuova segreteria che ha designato non ci sono capi-corrente, ma amministratori locali e persone che hanno un legame diretto col territorio.
Insomma, il vice disastro si è mosso finora nel segno di una netta discontinuità rispetto alla linea di Veltroni, che è stata una scommessa manifestamente perdente. Le prossime mosse ci diranno se questo ripensamento coinvolgerà gli altri punti principali che hanno fatto fallire il tentativo di Veltroni: non perché fosse inadeguato lui come leader, ma perché era sbagliato il suo progetto. Ecco alcuni punti a mio parere cruciali.
Sinistra. Unidentità che Veltroni aveva rifiutato. Non siamo un partito di sinistra, siamo un partito riformista, aveva annunciato appena eletto. Già. Lidea era che se si vuole fare un partito che raccolga la maggioranza degli elettori non si può usare unetichetta che, al suo massimo storico, tra Pci, Psi e qualche altro, è arrivata ad aggregarne poco più del 40%. Unidea coerente con una visione del sistema politico bipolare e bipartitico, in cui però non tanto di partito come sempre nella concezione italiana si è inteso si può parlare, ma di un agglomerato in cui esistono una quantità di posizioni anche molto distanti tra loro. Come i partiti americani, appunto. In un partito di questo genere non ci si riconosce tanto per un progetto di società, ma essenzialmente per la figura del leader. Ed ecco il dibattito sulla fine della differenza tra destra e sinistra, su una distinzione che sarebbe ormai sorpassata. Ma riformista non significa nulla. Tutti i partiti sono riformisti, nel senso che si propongono di cambiare poco o tanto della realtà sociale. Il partito oggi al governo ha appena varato una legge sul diritto di sciopero: si tratta senzaltro di una riforma. Va bene solo per questo, perché cambia qualcosa? O non cè qualcosa da dire anche sul come la cambia? E in base a che cosa si può dare un giudizio, se si pensa di poter fare a meno di un progetto di riferimento?
Dire sinistra significa riferirsi ad una storia, a una cultura politica, a unidea di società. Non per accettare tutto acriticamente, certo, non per non cambiare nulla. Ma per non rinnegare da dove si viene e far capire in che direzione si vuole andare. Si possono aggiungere delle specifiche, si può dire sinistra riformista, persino sinistra moderata. Ma non si dovrebbe abbandonare il termine. Persino una parte della Dc non aveva remore a definirsi di sinistra, e Franceschini lo sa bene. Non abbia paura di quellidentità, non abbia paura di quella parola: la dica.
Bipolarismo, bipartitismo. Abbiamo appena detto quali sono le principali conseguenze del bipolarismo-bipartitismo. Due agglomerati in cui sono costrette a convivere culture e posizioni in cui ogni gruppo ha con un altro gruppo dellagglomerato alcune posizioni comuni, mentre su altri problemi le distanze possono essere siderali. Luigi Bobba, uno dei leader dei cosiddetti teo-dem, è stato presidente delle Acli, e in quel ruolo ha espresso sui problemi del lavoro posizioni del tutto compatibili con uno schieramento di sinistra. Dal punto di vista del rapporto con la religione, però, si è rivelato un reazionario integralista. Possono stare nello stesso partito lui ed Emma Bonino? Nel bipolarismo sono costretti a farlo, come il radicale Benedetto Della Vedova si trova intruppato nello schieramento degli atei devoti e di chi vorrebbe imporre lespropriazione del diritto più inalienabile, quello a decidere sulla propria vita. Ha senso?
Il multipartitismo permette di dar vita a formazioni dove non esistono differenziazioni così estreme, dove è possibile elaborare un progetto di società in cui ognuno degli aderenti si possa riconoscere. Il leader del partito certo conta, ma il voto torna ad avere come fino a ventanni fa una importante componente identitaria.
Le obiezioni: ma così si torna a un sistema in cui votando non si sceglie il governo, si torna ai giochi e ai patteggiamenti fra capi-partito, si inficia la governabilità. Cominciamo da questultimo punto. Non bisogna confondere i meccanismi di selezione della rappresentanza con quelli di garanzia della governabilità. Rispetto a questi ultimi esistono biblioteche di studi di ingegneria istituzionale, le cui indicazioni possono essere applicate benissimo anche a un sistema multipartitico. Labbandono del bicameralismo perfetto, lo sbarramento (e, aggiungiamo, la modifica o la non-deroga dei regolamenti parlamentari) per impedire uneccessiva frantumazione dei partiti, la sfiducia costruttiva, tanto per fare alcuni esempi, sono riforme assolutamente compatibili con un sistema multipartito. Che poi la scelta del governo sia affidata a una mediazione di secondo livello (tra i partiti) invece di essere espressa direttamente dagli elettori, è cosa che in una democrazia rappresentativa non dovrebbe spaventare. Partiti dalle identità più definite rispetto a due mega-agglomerati tratteranno su un programma che concordano di realizzare insieme. In compenso a me elettore laico e di sinistra non capiterà di dover votare una lista dove compaia Paola Binetti, la signora in cilicio, mentre il pio Gaetano Quagliariello non potrà mai avere il dispiacere di doverne votare una in cui sia presente il (potenziale) mangiapreti Della Vedova.
Economia, lavoro, giovani. La drammatica crisi che sta sconvolgendo il mondo dovrebbe segnare il tramonto dellideologia (proprio così: ideologia) che ha dispiegato la sua egemonia negli ultimi trentanni: quella del neoliberismo trionfante, del mercato che è sempre il più efficiente allocatore delle risorse, dello Stato minimo, della ri-privatizzazione dei rischi sociali in nome di una supposta valorizzazione della responsabilità personale e di unidea della libertà come rifiuto delle responsabilità collettive. Dovrebbe, ma in realtà ancora non se ne vedono i segni. La forzata e massiccia discesa in campo degli Stati per tentare di tamponare le conseguenze del disastro è accompagnata da preoccupati cori della maggior parte degli economisti sui sicuri guasti che ne verranno se il pubblico non si ritirerà al più presto, ripristinando la situazione quo ante con al massimo qualche piccola modifica nelle regole del suo funzionamento. Un partito di sinistra (anche riformista, anche moderata) dovrebbe elaborare su quanto sta accadendo una analisi che non si limiti ad accettare la favoletta che è tutta colpa dei mutui subprime, o addirittura, come arrivano a sostenere i liberisti più dogmatici, degli interventi sbagliati degli Stati nelleconomia.
Di questa analisi dovrebbe far parte anche una riflessione sul lavoro, la sua protezione, le sue caratteristiche. Se limprescindibile parola dordine degli ultimi 10-15 anni è stata flessibilità, bisognerà pur chiedersi se è equo, ragionevole e sostenibile che la crescita economica debba avere come premessa e come conseguenza la precarizzazione di massa e lincertezza esistenziale per la maggior parte del mondo del lavoro. Se è equo, ragionevole e sostenibile che la crescita delleconomia vada a vantaggio di élites sempre più ristrette mentre un numero sempre maggiore di persone vede peggiorare la propria condizione e le prospettive dei suoi figli. Se questo processo, che si è accentuato negli ultimi quindici anni, abbia davvero rappresentato un vantaggio per il funzionamento delleconomia nel suo insieme.
Infine, i giovani. Quando una classe dirigente fallisce e questa ha certamente fallito, e purtroppo non solo in Italia è di prammatica linvocazione largo ai giovani. I quali devono avere il loro posto nella società e anche tra le leve del potere, ma non sono di per sé depositari né della verità né di soluzioni che miracolisticamente dovrebbero derivare dal non aver avuto tempo di fare troppi errori. Di tante cose cè bisogno, ma non di nuovi espedienti retorici magari da parte di chi pensa, attraverso qualche giovane, di poter continuare a fare il burattinaio. Ci sono giovani validissimi e in linea di massima lo spazio non cè bisogno di concederglielo, perché se lo prendono ma attenzione al gioco di chi usa il giovanilismo per sbarrare la strada a persone che giovani non sono, ma negli ultimi anni hanno avuto idee e comportamenti verificabili perché pubblici che avrebbero evitato almeno gli errori più gravi che sono stati commessi.
Franceschini è stato il vice-disastro, è vero. Ma, ripetiamo, le sue prime mosse sembrano mostrare una consapevolezza che proprio per questo bisogna cambiare. Ha davanti nove mesi in cui nessuno lo caccerà via. Non sono molti, ma più che sufficienti per disegnare un nuovo partito e una nuova stategia. Se avrà il coraggio di farlo e di portare a fondo lanalisi sugli errori commessi, traendone le conseguenze, il suo passaggio alla segreteria del Pd potrebbe essere più lungo di quanto chi ce lo ha messo potesse prevedere.