Finanziaria, una stangata vestita di belle parole

Nonostante le elganti formule con cui vengono definiti, i provvedimenti avranno un effetto deflattivo. E finiranno per pesare soprattutto sulle nostre imprese e sugli enti locali, oltre che su autonomi e proprietari di immobili

 La finanziaria ha ottenuto una unanimità di giudizi negativi, più o meno vibranti. Proprio per questo è piaciuta al FMI, che ha però avvertito che la copertura dei tagli fiscali Irpef ed Irap ancora non si vede. Il governo promette che ci saranno e ci sarà pure la copertura. Vediamo i principali aspetti.


1. La soluzione al 2%.
Berlusconi ha parlato (più volte): non ci sarà nessuna "manovra", nessun "taglio alla spesa"; ci sarà un aumento (al 2%). Sicuramente Amato si starà mordendo le mani, per non averci pensato lui, nel settembre del 1992, quando varò la "madre di tutte le manovre" di finanza pubblica. Avrebbe evitato la caduta della propensione al consumo che si verificò nel 1993. Tanto più che la spesa pubblica non diminuì rispetto al 1992, così come non è diminuita in nessuno degli anni successivi. Per essere più precisi non è mai diminuita (in termini di incrementi nominali) né la spesa per redditi da lavoro dipendente né quella per consumi intermedi, che sono le due grandi voci alle quali si applica il metodo (di Gordon Brown?) di porre un tetto all'incremento rispetto all'anno precedente. In alcuni anni sono diminuiti i contributi alla produzione e le spese in conto capitale, per poi riprendere negli anni successivi.


Certo non vorremmo che il premier ottenesse un risultato opposto a quello che si prefigge. Tanto per fare un esempio, la spesa per le retribuzioni dei pubblici dipendenti nel triennio 2001-2003 è cresciuta del 5,6% annuo. L'incremento annuale risulta da tre componenti: rinnovi contrattuali, scatti di carriera (più o meno automatici), turnover. Tanto più una componente supera il 2%, tanto più le altre devono compensare, ma ovviamente vi sono dei limiti, nel senso che è difficile retrocedere di grado o licenziare. Sembra in effetti che tra i pubblici dipendenti vi sia un certo allarme.

 
Se la spesa per pubblici dipendenti dovesse sfondare il tetto del 2%, Siniscalco potrebbe recuperare con quella per acquisti di beni e servizi, la quale nello stesso triennio è cresciuta di un buon 6,2%. Bisogna però tenere presente che gli acquisti intermedi costituiscono la metà della spesa per remunerazioni; pertanto se quest'ultima dovesse crescere al 3%, gli acquisti intermedi dovrebbero avere crescita zero (e quindi negativa in termini reali).


 Con buona pace dei leghisti è molto probabile che la spesa per i pubblici dipendenti finirà per superare il tetto del 2%, per cui i tagli si concentreranno non solo sugli acquisti ma anche sulle spese di investimento, anche se queste hanno un tetto più alto; è comunque fatale che gli enti locali, che sono quelli che fanno una buona parte delle spese d'investimento, dovendo comunque acquistare le divise dei vigili, la carta igienica nelle scuole e così via, finiranno per rinviare delle spese d'investimento, oppure aumenteranno le imposte (vedi più avanti). L'applicazione poi agli enti locali del 4,8% rispetto al 2003 è  una lotteria che premia i Comuni più spendaccioni e che punisce quelli che per caso o parsimonia sono stati più virtuosi in quell'anno. Non si tratta di buone notizie per le imprese italiane, che sono le naturali destinatarie della maggior parte della domanda per beni di consumo e d'investimento della P.A.

 
2. "Al mondo ci sono due cose certe: la morte e le tasse" (Benjamin Franklin)
Il governo Berlusconi sembra dimostrare che il grande fisico americano si sbagliava: per il momento l'annuncio della diminuzione delle imposte si è trasformato in una intenzione di aumentarle. Ciò si verifica in due direzioni: la prima è quella della "manutenzione della base imponibile" (da ammirare la fantasia lessicale di Siniscalco), che punta a prelevare 7,5 miliardi dagli autonomi e dagli affittuari di immobili; la seconda è il combinato disposto tra i tagli ai trasferimenti agli enti locali e lo sblocco della licenza ad aumentare Irpef, Ici e nettezza urbana; non vengono dimenticate neppure le cooperative. Se le cose stanno così, i 6 miliardi promessi, e che dovrebbero uscire con un "collegato", servirebbero a non far aumentare troppo la pressione fiscale; e comunque dovrebbero essere coperti da altrettanti tagli di spesa o tentativi di finanza creativa.


Un simpatico caso di finanza creativa è già nella finanziaria: 1500 km di strade statali (es. la Roma-Fiumicino) diventano a pagamento. Insurrezione nella maggioranza ancora prima che nell'opposizione; replica del Tesoro: ma non ci saranno pedaggi per gli automobilisti, saremo noi a pagare ad Infrastruttura spa per vari decenni, incassando subito tre miliardi; una variante del "vendi e riaffitta" che trasforma dei prestiti (cari) in entrate, a fini Eurostat, dai quali, comprendendo le operazioni sugli immobili (o, per usare la terminologia della finanziaria, la "valorizzazione del patrimonio immobiliare"), si dovrebbero ricavare sette miliardi.


Non c'è dubbio che la "manutenzione della base imponibile" costituisce una profonda sterzata rispetto alla linea tremontiana; Siniscalco colpisce nel cuore dello strato sociale più vicino al polo. C'è da dubitare che l'articolato della finanziaria riesca a superare indenne le imboscate che gruppi della maggioranza metteranno in atto. C'è poi un'incognita sulle reazioni della categoria, blandita fino ad ora a colpi di condoni, e che aveva immediatamente reagito al nuovo vento con dichiarazioni fiscali parsimoniose.

 
Anche se i dettagli della annunziata riduzione dell'Irpef non sono ancora noti, qualche osservazione può essere fatta; la prima cosa che va detta è che le promesse berlusconiane non sono state mantenute; e non si tratta solo di firme messe in televisione di fronte al notaio Vespa, ma di una legge delega approvata, in cui la parte che si riferisce alle società è già divenuta operante (l'Ires). La legge delega sull'Ire (erede dell'Irpef) tra tante vaghezze su due punti era chiarissima: due aliquote, 23 e 33, due scaglioni, il primo fino 100.000 € (comprendente quindi oltre il 99% dei contribuenti). La logica del provvedimento è del tutto evidente: si tratta di puro supply side economics. Le aliquote marginali vengono drasticamente ridotte (nel caso maggiore da 45 a 33); che la riforma vada a favore dei redditi più alti non è un errore, ma proprio l'obiettivo cercato.

 
Già il c.d. primo modulo della riforma (la finanziaria 2003) deviava perché le aliquote marginali effettive rimanevano alte (c'era una che per uno scaglione di 700 € era pari a 50,25%), ma vi era un abbattimento per i redditi bassi (ad esempio i lavoratori dipendenti e i pensionati tra 6.000 e 10.000 €). Adesso le tre aliquote 23, 33 e 39 determinano una riduzione di aliquote marginali più contenuta, ma poiché, per ragioni elettorali, il governo non potrà concentrare la riduzione solo sui redditi superiori a 25.000 €, per rimanere nei 5 o 6 miliardi si dovrà recuperare sugli scaglioni.

 
3 Un po' di macroeconomia keynesiana.
Secondo il DPEF il PIL dovrebbe crescere di quasi un punto dal 2004 al 2005 (da 1,2% a 2,1). La manovra della finanziaria ha un chiaro effetto deflativo. La domanda di beni e servizi, di consumo e d'investimento, che in massima parte si rivolge verso le imprese domestiche, sarà negativa in termini reali. Il contributo al reddito disponibile delle famiglie sarà anch'esso negativo. La crescita quindi dovrebbe derivare dalle componenti private, innanzi tutto consumi, poi investimenti ed esportazioni, al netto però delle importazioni. Sui consumi quello che si è verificato in questi tre anni è stata una caduta della propensione al consumo, sulla falsariga di quello che successe nel 1993 dopo la finanziaria di Amato: l'incertezza e le preoccupazioni aumentarono, e le famiglie reagirono restringendo i consumi.

La finanziaria 2005 dovrebbe costituire l'iniezione di fiducia tale da ribaltare questa caduta spingendo in su i consumi? Malgrado il lessico della finanziaria e le dichiarazioni del premier accetterei scommesse che la propensione al consumo rimarrà bassa. Per quanto riguarda poi gli imprenditori del settore reale, c'è da dire che essi, a differenza di quelli del settore finanziario, sono "naturalmente" keynesiani: se non vedono aumenti di domanda non investono. Rimane la domanda estera, che sicuramente fornirà uno stimolo positivo, ma certo non sufficiente per un aumento di un punto di PIL. C'è da considerare lo stato grigio della nostra competitività, e le incognite sul prezzo del petrolio nel prossimo anno. Se calerà sarà una buona notizia, ma attenzione: essendo l'Italia la principale raffinatrice in Europa, quando cala il prezzo del petrolio calano anche le nostre esportazioni.


 Berlusconi non ha avuto il coraggio di mandare a quel paese il  Patto di stabilità, e nessuna cosmesi lessicale può trasformare una stangata in una spinta alla crescita economica.

 


 

Martedì, 12. Ottobre 2004
 

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