Federalismo, rischi e opportunità per lo sviluppo

La questione della crescita è stato finora del tutto assente dal dibattito: eppure è il più importante problema italiano. La nuova organizzazione istituzionale può offrire delle buone opportunità nel paese dei distretti industriali e dei sistemi di imprese, ma ci sono almeno due tipi di rischi da non sottovalutare

C’è un grande assente nel dibattito sul federalismo: lo sviluppo, o meglio – dato che di autonomie territoriali si parla – lo sviluppo locale. Eppure, lo sviluppo – quantitativo e, ancor di più, qualitativo – è il principale problema di cui soffre l’economia italiana dagli inizi degli anni 90 ad oggi. Lo sviluppo locale in particolare è stato sempre troppo importante nella nostra storia perché non si debbano fare i conti con esso. E’ da lì che dobbiamo partire per capire se il federalismo aiuterà la crescita del nostro Paese. Ma guardare allo sviluppo locale significa anche prendere in considerazione pregi e difetti del localismo.

 

In positivo, il localismo ha raggiunto la sua espressione più felice con i sistemi di piccole e medie imprese e soprattutto con i distretti industriali – un fenomeno tutto italiano – che hanno guidato la crescita della nostra industria manifatturiera, portando il made in Italy ad acquisire la leadership internazionale nella produzione dei beni per la casa e per la persona e nella meccanica. Ma, in negativo, i localismi hanno spesso rappresentato anche un fattore di freno allo sviluppo, ad esempio attraverso i troppo frequenti poteri di veto posti dalle autorità locali, soprattutto in tema di infrastrutture, come il passaggio di una strada o di una linea ferroviaria, la costruzione di un inceneritore o di una discarica.

 

Sul piano sociale e culturale, poi, il localismo è riuscito a produrre, in positivo, quel giusto attaccamento alle radici, al senso di appartenenza a una comunità, che rappresentano un argine ai rischi di disgregazione presenti nella nostra società, e, in negativo, l’eccessiva attenzione al particolare, agli interessi egoistici, contrapposti al bene comune. Il localismo in molti casi è riuscito a valorizzare le vocazioni naturali dei territori, in altri casi ne ha determinato lo sviluppo diseguale. E’ proprio perché il localismo fa parte del dna dello sviluppo economico italiano che occorre dedicargli grande attenzione, avendo ben presente che può avere un ruolo ambivalente e che può essere aiutato nel far prevalere i suoi aspetti positivi.

 

Ma perché nel dibattito sul federalismo non si parla mai di sviluppo e tanto meno di sviluppo locale? I motivi possono essere due. Il primo è che tutta l’attenzione in questa fase è concentrata sulle modalità di attuazione del federalismo, in particolare sulla devolution fiscale e sul problema della perequazione delle risorse fra regioni ricche e regioni povere. Il secondo è che molto probabilmente si dà per scontato che lo sviluppo territoriale non potrà che ricevere nuovo impulso dal federalismo, che per definizione assegna importanza primaria ai “territori”. In realtà, il federalismo che oggi si vuole realizzare nasce fondamentalmente dall’esigenza di mantenere la maggior parte della ricchezza prodotta da una regione all’interno della regione stessa. Sarà poi la Regione, e non più lo Stato, a decidere come impiegare la ricchezza prodotta al suo interno.  L’intento è dunque quello di una diversa distribuzione del reddito fra i territori, non quello di una maggiore produzione del reddito stesso. I sostenitori del federalismo obietteranno che il più stretto controllo da parte dei cittadini sulle risorse locali, in particolare sulle risorse comuni, innescherà comportamenti più virtuosi ed efficienti da parte delle istituzioni e dell’amministrazione pubblica. Questi guadagni di efficienza si ripercuoteranno a loro volta sulla crescita, traducendosi in minori sprechi e in una maggiore qualità dei servizi pubblici. La crescita, pur non essendo l’obiettivo primario del federalismo, diventerebbe così una conseguenza, un effetto indotto. In realtà, non è automatico che federalismo significhi anche sviluppo. Si possono infatti considerare almeno due tipi di rischi.

 

Il primo tipo di rischio è quello della rincorsa delle autonomie e del prevalere degli aspetti negativi del localismo su quelli positivi. Non è infatti da escludere che la devolution regionale non inneschi a sua volta, in una realtà così frammentata come quella italiana, altre spinte autonomistiche a livello più basso. Intanto, non è chiaro come verranno ripartite competenze e risorse tra regioni, comuni e province. Inoltre, una volta definite le competenze, occorre che i vari enti si muovano in sintonia tra di loro e con i sistemi produttivi locali, puntando a raggiungere obiettivi comuni. Le autorità pubbliche, in particolare, dovranno dimostrarsi all’altezza rispetto ai nuovi compiti che il federalismo impone. Conoscendo come sono state amministrate finora alcune regioni e alcuni comuni, specie del Mezzogiorno, non ci sembra questo un problema di poco conto. C’è in altre parole il rischio concreto che regioni e realtà locali si mettano a litigare tra di loro e non partecipino a quel gioco cooperativo, che è la premessa indispensabile per costruire un progetto condiviso e per intraprendere un fecondo cammino di sviluppo.

 

Il secondo tipo di rischio è quello della concorrenza fra le regioni. Secondo i suoi sostenitori, il federalismo avvierebbe processi imitativi virtuosi tra le varie regioni, per cui le meno efficienti, temendo una fuga delle risorse, sarebbero incentivate ad assumere comportamenti tali da avvicinarle alle più efficienti. Questa argomentazione non è infondata. Potrebbe però avvenire anche che la concorrenza fra le regioni vada oltre un certo limite e si scateni una caccia spietata a “catturare” le migliori risorse – umane, finanziarie, materiali – sottraendole ai vicini.

Questo tipo di rischio è diverso dal primo. Mentre nel primo il pericolo viene dalla possibile disgregazione all’interno delle regioni e dal riemergere degli antichi difetti del localismo italiano, i pericoli che vengono dal secondo tipo di rischio sono quelli della spaccatura dello Stato unitario, ossia dello Stato nazionale.

 

Che cosa occorre fare per evitare questi rischi, ammesso che il federalismo si realizzi? Non ci sono ricette miracolistiche, così come non ci si possono attendere miracoli dal federalismo se questo non verrà coniugato con lo sviluppo. Occorre più che mai uno sforzo collettivo per superare le visioni particolari, gli egoismi e porsi, a tutti i livelli, nell’ottica di realizzare il bene comune. Un federalismo “egoistico” e separatista è destinato all’implosione o comunque all’insuccesso. L’obiettivo non deve essere quello della chiusura nel locale né quello della costruzione degli steccati. Occorrono invece visioni condivise, progetti comuni per far crescere l’Italia attraverso l’evoluzione virtuosa dei suoi territori. Solo così il federalismo riuscirà a valorizzare le peculiarità territoriali e a promuovere lo sviluppo quantitativo e qualitativo del Paese. Altrimenti prevarranno gli aspetti più deteriori del localismo e si rischierà di mettere in discussione anche quel che di buono è stato faticosamente realizzato in Italia nel corso degli anni.

Venerdì, 12. Settembre 2008
 

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