Tra i molti guasti provocati dallinfausto quinquennio di Berlusconi, che il futuro governo dovrà riparare con assoluta urgenza, ci sono i rapporti con lEuropa. Nessuno potrebbe farlo meglio di Prodi, che, se non avrà subito l'incarico, potrebbe intanto cominciare un giro di incontri "privati" con i principali partner per delineare una nuova strategia
Tra i molti guasti provocati dall'infausto quinquennio di Berlusconi, che il futuro governo Prodi dovrà provvedere a riparare con assoluta urgenza, ci sono i rapporti con l'Europa.
La maggior parte dei paesi europei, a prescindere dal colore politico, ha vissuto le elezioni politiche italiane come un evento di comune interesse. Berlusconi è sempre più apparso nel corso degli anni un fenomeno estraneo alla tradizione politica europea dell'ultimo mezzo secolo. Un personaggio imprevedibile e inaffidabile.
Ora si guarda a Prodi con un sentimento di liberazione da un lato, di incertezza dall'altro per quella che viene descritta come una coalizione di governo composita e fragile. Come si schiererà l'Italia sulle grandi questioni internazionali, dopo anni di ossequio servile all'amministrazione Bush? Come affronterà le questioni di una finanza pubblica dissestata che incide anche sulle possibili scelte dell'Unione europea? E, soprattutto, quali posizioni assumerà il nuovo governo rispetto allo sbandamento che caratterizza il processo istituzionale e politico, dopo la crisi seguita al rigetto francese e olandese del trattato costituzionale?
Domande alle quali Romano Prodi dovrebbe impegnarsi a dare alcune prime risposte urgenti e convincenti. E chi potrebbe farlo meglio di lui? Non solo perché proviene da un ufficio importante e prestigioso come la presidenza della Commissione europea. Prodi è stato nel decennio passato insieme con Ciampi un attore centrale del protagonismo italiano nell'Unione europea. Senza l'impegno ostinato ed efficace dei vecchi governi di centrosinistra, l'Italia non sarebbe entrata nell'euro. Non a caso, a metà degli anni 90 apparve chiaramente che il processo di costruzione della moneta unica si avviava ad escludere l'Italia schiacciata dal peso di un debito pubblico inesorabilmente in crescita. Sarebbe stata una sconfitta dalle enormi conseguenze per l'Italia, ma anche per l'Unione. Lo capì il cancelliere Kohl che si adoperò con tutto il suo prestigio per consentire sin dal primo round la partecipazione dell'Italia all'euro.
Poi venne il tempo dell'avventurismo berlusconiano con la sciagurata scelta di partecipare alla guerra di Bush in Iraq; decisione che ci separò dalla Germania e dalla Francia. E, a seguire, l'avventurismo tremontiano sulle questioni della politica economica e finanziaria che riguardavano l'Italia ma incidevano negativamente anche sull'Unione.
Ora è possibile operare una svolta di 180 gradi. Tornare a ricucire la rete delle alleanze europee, ricominciando dal vecchio nucleo fondatore e, in primo luogo, dalla Germania e dalla Francia. Per farlo c'è bisogno di creare un nuovo clima di fiducia, fornire la prova che veramente la politica europea dell'Italia cambia segno. Prima si opera questa svolta meglio sarà
.
Credo che, se quest'analisi è corretta, Prodi dovrebbe utilizzare il tempo che eventualmente s'interponga fra la vittoria e l'incarico per la presidenza, se gli sarà affidato dal nuovo capo dello Stato, per fare una serie di visite "private" nelle principali capitali europee, a cominciare da Berlino e Parigi, per dare un segno concreto della volontà di cambiamento, e per indicare la linee principali di impegno che il governo italiano si propone di adottare.
I temi sui quali avviare un nuovo discorso sono almeno tre. Il primo, al livello internazionale, riguarda il ritiro dall'Iraq e l'impegno che l'Unione deve assumere rispetto al drammatico impasse palestinese, sapendo che entrambe le questioni s'intrecciano con la crisi iraniana.
Il secondo riguarda il futuro della costruzione europea, partendo dalla consapevolezza che il trattato costituzionale, nella sua attuale formulazione, non può essere resuscitato, ma che la costruzione europea deve andare avanti, trovando altre soluzioni, il cui fondamento non può che essere in un accordo fra i paesi dell'euro, si definisca questo disegno come si vuole: avanguardia, due velocità, cooperazioni rafforzate. In ogni caso, un gruppo di paesi che, seguendo la vecchia suggestione di Jacques Delors e i recenti suggerimenti di Ciampi, ricostituisca un rapporto forte tra un gruppo di paesi nel cui ambito l'Italia, insieme con la Germania, la Francia, il Belgio, la Spagna, dovrebbe assumere una funzione trainante.
Terzo, e in collegamento col secondo punto, è necessario riprendere il filo di una politica macroeconomica in grado di intensificare la crescita dell''Unione dopo anni di quasi stagnazione europea (oltre che di totale sbandamento italiano).
Un'iniziativa diretta ed immediata in questa direzione contribuirebbe a una ricollocazione sia di fatto che simbolica dell'Italia sullo scenario europeo e internazionale. E non sarebbe solo un'iniziativa nella sfera politica. Penso che contribuirebbe a creare un clima di fiducia anche dal punto di vista dei problemi di finanza pubblica in cui il paese si trova come eredità del passato governo nei confronti dei partner europei e dei mercati finanziari.
Sotto questo aspetto, ma in una fase successiva all''insediamento del nuovo governo, sarà necessario ridiscutere con la Commissione europea e con il Consiglio dei ministri delle finanze i tempi del rientro del disavanzo. Gli accordi del precedente governo sono smentiti nei fatti dalla situazione finanziaria effettiva che il nuovo governo si accinge a ereditare dal vecchio. Ci sarà bisogno di rigore nel riavviare il risanamento finanziario, ma il rigore non deve significare il definitivo blocco della crescita. In altri termini, sarà necessario dare garanzie ai nostri partner europei sulla volontà di riprendere una politica di progressiva riduzione del debito, al tempo stesso rimodulando i tempi del rientro del disavanzo, come del resto hanno fatto Germania e Francia.
Un'iniziativa europea capace di ridefinire il ruolo dell'Italia a livello europeo e internazionale sarebbe il miglior battesimo del governo Prodi.
La maggior parte dei paesi europei, a prescindere dal colore politico, ha vissuto le elezioni politiche italiane come un evento di comune interesse. Berlusconi è sempre più apparso nel corso degli anni un fenomeno estraneo alla tradizione politica europea dell'ultimo mezzo secolo. Un personaggio imprevedibile e inaffidabile.
Ora si guarda a Prodi con un sentimento di liberazione da un lato, di incertezza dall'altro per quella che viene descritta come una coalizione di governo composita e fragile. Come si schiererà l'Italia sulle grandi questioni internazionali, dopo anni di ossequio servile all'amministrazione Bush? Come affronterà le questioni di una finanza pubblica dissestata che incide anche sulle possibili scelte dell'Unione europea? E, soprattutto, quali posizioni assumerà il nuovo governo rispetto allo sbandamento che caratterizza il processo istituzionale e politico, dopo la crisi seguita al rigetto francese e olandese del trattato costituzionale?
Domande alle quali Romano Prodi dovrebbe impegnarsi a dare alcune prime risposte urgenti e convincenti. E chi potrebbe farlo meglio di lui? Non solo perché proviene da un ufficio importante e prestigioso come la presidenza della Commissione europea. Prodi è stato nel decennio passato insieme con Ciampi un attore centrale del protagonismo italiano nell'Unione europea. Senza l'impegno ostinato ed efficace dei vecchi governi di centrosinistra, l'Italia non sarebbe entrata nell'euro. Non a caso, a metà degli anni 90 apparve chiaramente che il processo di costruzione della moneta unica si avviava ad escludere l'Italia schiacciata dal peso di un debito pubblico inesorabilmente in crescita. Sarebbe stata una sconfitta dalle enormi conseguenze per l'Italia, ma anche per l'Unione. Lo capì il cancelliere Kohl che si adoperò con tutto il suo prestigio per consentire sin dal primo round la partecipazione dell'Italia all'euro.
Poi venne il tempo dell'avventurismo berlusconiano con la sciagurata scelta di partecipare alla guerra di Bush in Iraq; decisione che ci separò dalla Germania e dalla Francia. E, a seguire, l'avventurismo tremontiano sulle questioni della politica economica e finanziaria che riguardavano l'Italia ma incidevano negativamente anche sull'Unione.
Ora è possibile operare una svolta di 180 gradi. Tornare a ricucire la rete delle alleanze europee, ricominciando dal vecchio nucleo fondatore e, in primo luogo, dalla Germania e dalla Francia. Per farlo c'è bisogno di creare un nuovo clima di fiducia, fornire la prova che veramente la politica europea dell'Italia cambia segno. Prima si opera questa svolta meglio sarà
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Credo che, se quest'analisi è corretta, Prodi dovrebbe utilizzare il tempo che eventualmente s'interponga fra la vittoria e l'incarico per la presidenza, se gli sarà affidato dal nuovo capo dello Stato, per fare una serie di visite "private" nelle principali capitali europee, a cominciare da Berlino e Parigi, per dare un segno concreto della volontà di cambiamento, e per indicare la linee principali di impegno che il governo italiano si propone di adottare.
I temi sui quali avviare un nuovo discorso sono almeno tre. Il primo, al livello internazionale, riguarda il ritiro dall'Iraq e l'impegno che l'Unione deve assumere rispetto al drammatico impasse palestinese, sapendo che entrambe le questioni s'intrecciano con la crisi iraniana.
Il secondo riguarda il futuro della costruzione europea, partendo dalla consapevolezza che il trattato costituzionale, nella sua attuale formulazione, non può essere resuscitato, ma che la costruzione europea deve andare avanti, trovando altre soluzioni, il cui fondamento non può che essere in un accordo fra i paesi dell'euro, si definisca questo disegno come si vuole: avanguardia, due velocità, cooperazioni rafforzate. In ogni caso, un gruppo di paesi che, seguendo la vecchia suggestione di Jacques Delors e i recenti suggerimenti di Ciampi, ricostituisca un rapporto forte tra un gruppo di paesi nel cui ambito l'Italia, insieme con la Germania, la Francia, il Belgio, la Spagna, dovrebbe assumere una funzione trainante.
Terzo, e in collegamento col secondo punto, è necessario riprendere il filo di una politica macroeconomica in grado di intensificare la crescita dell''Unione dopo anni di quasi stagnazione europea (oltre che di totale sbandamento italiano).
Un'iniziativa diretta ed immediata in questa direzione contribuirebbe a una ricollocazione sia di fatto che simbolica dell'Italia sullo scenario europeo e internazionale. E non sarebbe solo un'iniziativa nella sfera politica. Penso che contribuirebbe a creare un clima di fiducia anche dal punto di vista dei problemi di finanza pubblica in cui il paese si trova come eredità del passato governo nei confronti dei partner europei e dei mercati finanziari.
Sotto questo aspetto, ma in una fase successiva all''insediamento del nuovo governo, sarà necessario ridiscutere con la Commissione europea e con il Consiglio dei ministri delle finanze i tempi del rientro del disavanzo. Gli accordi del precedente governo sono smentiti nei fatti dalla situazione finanziaria effettiva che il nuovo governo si accinge a ereditare dal vecchio. Ci sarà bisogno di rigore nel riavviare il risanamento finanziario, ma il rigore non deve significare il definitivo blocco della crescita. In altri termini, sarà necessario dare garanzie ai nostri partner europei sulla volontà di riprendere una politica di progressiva riduzione del debito, al tempo stesso rimodulando i tempi del rientro del disavanzo, come del resto hanno fatto Germania e Francia.
Un'iniziativa europea capace di ridefinire il ruolo dell'Italia a livello europeo e internazionale sarebbe il miglior battesimo del governo Prodi.
Mercoledì, 12. Aprile 2006