Elezioni: perché il governo non ha pagato per la crisi

Il rapporto economia/voto è connesso a meccanismi di studio e di elaborazione di qualità molto elevata, sotto la maschera di un linguaggio apparentemente semplicistico. Si tratta, infatti, di vendere contemporaneamente ai ricchi le certezze e ai poveri le speranze

I risultati delle amministrative hanno destato qualche sconcerto negli analisti dei flussi elettorali. In particolare si è osservato che è mancato non solo il cosiddetto "effetto mid-term", che tende a sfavorire i governi in carica, ma anche il riflesso, potenzialmente negativo, della crisi economica sulle scelte di voto.

 

L'obiezione secondo la quale le elezioni avevano un significato prevalentemente amministrativo, ha una sua validità. Ma una parte rilevante dell'elettorato è stata sollecitata da motivazioni di carattere più generale, tra le quali la crisi economica e la politica economica del governo avrebbero dovuto esercitare un certo peso.

 

Può dunque essere interessante analizzare come la percezione da parte dell'elettorato dei fenomeni economici e degli interventi dei governi influenzi le scelte di voto. Senza trascurare però il fatto che su tali scelte pesano anche altri fattori, come la fidelizzazione nei confronti di partiti o candidati, la convinzione che vi siano o che manchino alternative migliori o, infine, il desiderio di rifugiarsi in quella forma di muta protesta o di sensazione di inutilità del voto rappresentata dall'astensione.

 

Il meccanismo attraverso il quale i fenomeni economici e le azioni per governarli influenzano le scelte di voto si può articolare in cinque fasi: informazione, elaborazione, comunicazione, percezione, personalizzazione.

 

L'accesso all' informazione economica è teoricamente esteso a tutti. In realtà però è limitato ad un ristretto numero di operatori professionali. L'informazione economica grezza appare poco significativa: essa richiede una elaborazione, che consiste nell'aggregare e disaggregare i dati, nell'ordinarli secondo gerarchie prioritarie e nell'interpretare i fenomeni che essi rappresentano. E' dunque questa informazione rielaborata che viene destinata al circuito della comunicazione di massa.

 

Si giunge ad una prima considerazione di un certo rilievo: il controllo della comunicazione di massa non può costituire un alibi rispetto alla non funzionalità dei contenuti del messaggio e della sua formulazione in modo da renderlo appetibile al "consumatore finale". Un elemento decisivo appare dunque quello della percezione del fenomeno da parte dei cittadini. Un messaggio sostanzialmente falso, ma formulato in modo semplice ed accattivante può avere maggior successo di una informazione elaborata in modo corretto, ma criptica rispetto al livello medio di percezione.

 

Affinchè però la comprensione del fenomeno produca un'azione (la scelta di votare in un modo o nell'altro) occorre un passaggio decisivo, che è quello della personalizzazione, che consiste nel dare una risposta alla seguente domanda: "Che cosa significa per me, o per la mia famiglia, questo fenomeno o questo intervento del governo?".

 

Le prime tre fasi - informazione, elaborazione, comunicazione - richiedono una specifica struttura organizzativa. Un tempo essa era costituita dagli uffici studi dei partiti; oggi vi sono agenzie specializzate che lavorano su commissione. In questo modo però la delicata fase dell'elaborazione - che sostanzialmente finalizza il messaggio all'elettore - anzichè essere affidata ai militanti, è delegata ad un esperto esterno. Quando ciò accade il messaggio diventa parzialmente funzione delle disponibilità finanziarie del committente. Risultano quindi in posizione privilegiata o i partiti con forti connotazioni aziendalistiche, o quelli con notevoli disponibilità finanziarie, o, infine, quelli che hanno mantenuto o acquisito un forte radicamento territoriale.

 

Il veicolo della comunicazione è importante, anche perché condiziona il linguaggio; tuttavia occorre non indulgere alla banalizzazione dell'importanza decisiva del controllo delle TV, perché altri circuiti informativi, come internet o il porta a porta, se accuratamente sfruttati, restituiscono valore prioritario al messaggio in quanto tale, come dimostrato, ad esempio, dalle campagne elettorali della Lega e dei grillini.

  

Un passaggio fondamentale è quello del livello di percezione al quale fa seguito la personalizzazione. La tesi secondo la quale l'elettorato non sarebbe in grado di valutare correttamente i fenomeni economici perchè non sufficientemente "acculturato" appartiene alle sofisticherie della "gauche au caviar". Ciascun individuo compie giornalmente una molteplicità di azioni economiche ed è dunque potenzialmente in grado di valutare gli effetti di un fenomeno economico, purché esso sia correttamente inquadrato nell'ambito non delle sue conoscenze teoriche, ma delle sue esperienze di vita.

 

Il passaggio più delicato è quello della trasformazione dal macro al micro. L'individualismo economico (che non di rado poggia su un substrato di individualismo etico) attenua la sensibilità personale verso i fenomeni collettivi. Fanno eccezione coloro che hanno una appartenenza a categorie professionali (tassisti, avvocati, medici, etc.) o una comune passione, ad esempio, per una squadra di calcio. Fra gli effetti indesiderati della diffusione di sistemi di calcolo automatici, comuni ormai nelle scuole elementari e in tutte le attività di produzione e di scambio, vi è inoltre la perdita della capacità di valutare l'ordine di grandezza dei fenomeni. Così, una manovra di 7 miliardi di euro può essere gabellata come "epocale": se si fosse detto ad un commerciante che essa equivale a 4,3 euro per ogni 1.000 di incassi, si sarebbe reso conto della sua sostanziale pochezza. Sempre a livello di percezione, un'altra difficoltà è quella della "quadra", come si dice in Padania, e cioè della coerenza delle promesse in materia economica. In una società fittamente segmentata (le nuove professioni sono migliaia e le tipologie contrattuali del lavoro si avvicinano al centinaio) è possibile veicolare mirabolanti promesse a ciascun settore separatamente. La prova di coerenza è difficile perchè richiederebbe ai singoli individui notevoli capacità di aggregazione, per poi comparare i totali alle disponibilità attuali o prevedibili delle risorse.

 

Questa fase del processo è dunque fondamentale. L'efficacia del messaggio si realizza solo quando l'individuo si riconosce nel fenomeno descritto valutandone l'impatto a livello personale o di categoria. Un passaggio ulteriore è quello della convinzione che un certo intervento possa migliorare la propria situazione economica o comunque proteggerla da eventi negativi. Il tema della sicurezza - personale ed economica - è determinante in una struttura sociale ripiegata su se stessa come quella italiana, anziana più negli atteggiamenti che nell'età media. Il messaggio, infine, deve essere semplice al limite dal semplicistico e sistematicamente iterato. Ciò comporta una rielaborazione finalizzata delle notizie economiche che, com'è ovvio, non si muovono sempre nella direzione desiderata. Contrariamente a quanto si riteneva sino a pochi anni or sono, la razionalità del messaggio ha minore importanza. Studi ormai consolidati a livello scientifico mondiale hanno confermato la presenza di forti elementi irrazionali nei comportamenti economici sia individuali che collettivi, sfatando il mito dell'automatica costruzione di sistemi razionali autopropulsivi. Il comportamento delle Borse valori in prossimità dell'esplosione delle bolle, e le preferenze dei giocatori per le puntate su eventi ad alto valore di vincita, ma con probabilità proporzionalmente molto basse, ne costituiscono una riprova fondamentale.

 

Possiamo dunque affermare che i fenomeni economici incidono sulle scelte dell'elettore attraverso una "mediazione culturale" che, al di là delle apparenze è estremamente sofisticata. Ripercorrendo ora il nostro cammino a ritroso - cioè dal micro al macro - l'impatto risulterà diverso a seconda della struttura socioeconomica alla quale ci si riferisce. Nel caso italiano il modello dei 2/3 di Dahrendorf (le società evolute hanno un diffuso livello di benessere per i due terzi degli individui e il malessere sociale confinato al terzo residuo, rendendo così il sistema relativamente stabile dal punto di vista politico) sembra confermato anche nella fase più acuta della crisi. La riduzione del PIL del 6% è sensibile, ma non drastica. Si concentra in strati sociali sostanzialmente minoritari. Sommando i 2,5 milioni di disoccupati, 1 milione di cassaintegrati, 3 milioni di "scoraggiati" e qualche milione di pensionati al minimo, con le rispettive famiglie, si giunge intorno ai 15 milioni di elettori, e cioè circa un terzo del corpo elettorale. Queste categorie sociali, inoltre, sono quelle più facilmente manipolabili, perché soggiacciono a quel fenomeno dell'illusione finanziaria già individuata oltre un secolo fa dal Puviani. Ove, però, la crisi dovesse trasformarsi in stagnazione o in una ripresa a macchia di leopardo, coinvolgendo inevitabilmente i 2 terzi superiori, si produrrebbero sintomi di instabilità politica.

 

Il rapporto economia/voto, dunque, è connesso a meccanismi di studio e di elaborazione di qualità molto elevata, sotto la maschera di un linguaggio apparentemente semplicistico. Si tratta, infatti, di vendere contemporaneamente ai ricchi le certezze e ai poveri le speranze. 

Giovedì, 22. Aprile 2010
 

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