Quantè profonda la crisi dellindustria italiana? Il termometro dei distretti industriali nocciolo duro del nostro sistema produttivo indica nel 2012 un calo del fatturato del 2,8%, che interrompe la ripresa avvenuta nei due anni precedenti (+9,7% nel 2010, +5,2% nel 2011). Una ripresa che comunque non era riuscita a recuperare i livelli pre-crisi. Questa è la fotografia scattata dal quarto rapporto dellOsservatorio nazionale distretti italiani, da poco presentato. E sempre vero che i distretti vanno meglio del resto dellindustria, che sconta un calo del fatturato nel 2012 di circa il 5%; tuttavia è chiaro che la crisi morde profondamente anche i sistemi produttivi locali. Le previsioni per questanno sono di sostanziale stagnazione (+1%), mentre nel 2014 il fatturato dovrebbe aumentare del 4%.
E evidente che anche lexport, pur continuando ad avere un ruolo trainante per i distretti e per lintera manifattura italiana, non basta più. Le esportazioni sono fin qui servite ad evitare il tracollo del sistema, ma da sole non ce la fanno a creare sviluppo e occupazione. Anzi, la divaricazione sempre più forte tra andamento positivo dellexport e depressione del mercato interno autorizza qualche analista a parlare di segnali di frattura nel sistema produttivo italiano. Questo significa che sopravvivono solo le imprese che esportano o più in generale si internazionalizzano, con conseguenze pesantissime sulle catene del valore tra committenti e fornitori e sulla deindustrializzazione di molti territori.
Anche lexport presenta però segnali di discontinuità: mentre le esportazioni verso i Paesi extra-UE aumentano (+5,3% per i distretti nei primi nove mesi del 2012), quelle in ambito comunitario diminuiscono (-1%). Inoltre emergono differenze significative fra i vari comparti. Secondo i dati della Fondazione Edison, nei primi nove mesi del 2012 il comparto automazione-meccanica ha accusato una flessione delle esportazioni del 3,1%, a fronte della tenuta dellabbigliamento (+1,7%) e dellarredo-casa (+2,9%) e la crescita dellalimentare-vini (+6,9%) e soprattutto dellalta tecnologia (+14,9%).
Questultimo è forse il dato più incoraggiante, considerato che lhi-tech è sempre stato il punto debole del made in Italy. Allinterno dellalta tecnologia, i distretti che sono andati meglio sono quelli della farmaceutica di Latina, dellavionica di Vergiate (provincia di Varese), dellelettronica dellEtna Valley e delle auto sportive di Maranello. In ripresa nel quarto trimestre, dopo il terremoto, il biomedicale di Mirandola. Meno bene invece lICT (informatica e telecomunicazioni), che ancora non riparte.
Altri segnali incoraggianti vengono dallalimentare, grazie alle buone performance dei distretti di Parma (formaggi, latte, pasta), Cuneo (cioccolato e prodotti da forno), della Valpolicella e del Chianti (vini).
Scendendo ulteriormente nel dettaglio, la situazione appare molto diversificata. Tra i settori tradizionali, nel tessile-abbigliamento continua il declino del distretto di Prato, mentre la Valsesia conosce una dinamica migliore. La concia è uno dei pochi settori ad aver riguadagnato i livelli pre-crisi sia a Santa Croce sullArno che ad Arzignano anche grazie agli investimenti in materia ambientale. Nelle calzature delle Marche, se il distretto di Fermo, che ha puntato sulla Russia, appare in ripresa, quello di Macerata, orientato verso lUE, è in flessione. Difficoltà continuano ad attraversare molti distretti legati alledilizia, come Sassuolo. Migliore appare invece la situazione della rubinetteria del Lago dOrta e delle pietre ornamentali di Pietrasanta. Tra i mobili, i distretti di Livenza-Piave e delle Murge continuano ad essere in forte difficoltà, mentre va meglio la Brianza. Nei macchinari, cresce lexport di macchine per imballaggio del distretto di Bologna, al contrario di altri comparti della meccanica che lanno scorso hanno subito le conseguenze del rallentamento delle economie emergenti, come la Cina. Tra questi soprattutto i distretti del Nord Est.
Da che cosa dipendono queste differenti performance? Generalizzare non è possibile, anche perché i distretti sono fatti da tante imprese che possono avere strategie diverse. Il successo o la crisi dei sistemi produttivi locali e delle singole imprese può dipendere dallaver saputo o meno intraprendere intelligenti strategie di innovazione e/o di penetrazione commerciale, dallessere radicati o meno in mercati in espansione, dallaver investito o meno in risorse umane e manageriali, dallessere riusciti o meno a far parte di reti di collaborazione anche in grado di travalicare la dimensione locale. Tutti questi sono fattori chiave che assumono però valenza diversa a seconda dei contesti specifici.
Ora, guardando al futuro, è ragionevole attendersi unulteriore evoluzione delle strategie competitive dei distretti e delle piccole e medie imprese. Queste strategie, per avere successo, non potranno che puntare a forme di aggregazione e condivisione dei know-how sempre più vaste e profonde, andando oltre gli ambiti produttivi e commerciali per arrivare alla messa in comune delle attività di ricerca e di investimento (basti pensare al campo delle tecnologie ambientali). La stessa internazionalizzazione per avere successo nei mercati più lontani richiede forme di collaborazione fra imprese concorrenti.
Le imprese però hanno anche bisogno di politiche industriali che le sostengano in una fase difficile come questa. In un precedente articolo su questa rivista abbiamo indicato alcuni punti nodali da affrontare a livello nazionale. E necessario però operare anche a livello locale attraverso politiche mirate in grado di difendere e rafforzare i sistemi territoriali, individuando gli strumenti su cui puntare in funzione delle problematiche dei singoli territori, che abbiamo visto essere molto diverse. La strada per il rilancio dei sistemi produttivi locali e la crescita delloccupazione passa attraverso linterazione tra intelligenti strategie aziendali ed efficaci misure di policy, nazionali e territoriali.