Dall’accordo coi centristi i rischi di instabilità

La destra italiana ed europea sogna per l’Italia un altro governo “non politico”, che però è quello che offrirebbe meno chances per il risanamento di medio-lungo periodo. La sinistra potrebbe governare anche senza una maggioranza assoluta, cercando con il centro non impossibili convergenze programmatiche, ma solo su punti specifici

L’apparenza potrebbe ingannare ma molti indizi portano a dire che la partita elettorale del dopo Monti stia acquistando una fisionomia più chiara. Nonostante qualche volenteroso tentativo in extremis, possiamo dare ben poche probabilità al voto in autunno. Si deve cambiare la legge porcata e un accordo, benché da più parti annunciato come a portata di mano, non appare semplice.

 

In ogni caso, quale che sia il meccanismo elettorale, assai difficilmente potrà accadere che una delle coalizioni possa farcela da sola in entrambi i rami del Parlamento. Dunque anche su questo aspetto sembra farsi chiarezza: dalle urne non uscirà un governo “scelto dagli elettori”. In compenso, fa passi avanti la costruzione di una coalizione che ha le carte in regola per conquistare la maggioranza relativa e, se restasse la legge elettorale attuale, la maggioranza assoluta alla Camera. Presentandosi agli elettori con una proposta programmatica, a cui si sta lavorando con l’intento di renderla chiara nei presupposti, semplice da esporre (niente di enciclopedico ma scelte di priorità) e perfino esigibile. Non sarebbe male come viatico per la ripresa autunnale.

 

Si temeva la “tempesta perfetta” della speculazione contro l’”euro-sud”. Invece, se non è scongiurata, la finanza d’assalto sta a vedere, scegliendo tempi più lunghi. Si profetizzava l’avvento di un fronte dell’egoismo nord-europeo, ricco e agguerrito, che è in effetti partito all’attacco. Ma la novità è che la Merkel non ha assunto il ruolo di guida di quel fronte ma ne è diventata il bersaglio. Le tensioni sono acute, al di là delle Alpi, ma la vittoria di Hollande in Francia sta spostando il baricentro. Insomma, ci sono le condizioni perché nel voto si misurino la destra e la sinistra e che questa si candidi a governare il Paese su proposte che gli elettori possono capire e, se è il caso, condividere.

 

Non è però tutto qui, né tutto così semplice. Temo che la sinistra, per farcela, dovrà adottare alcuni modi di agire che non appartengono al suo bagaglio e alla sua tradizione, per gestire la situazione che si genererà se l’esito delle elezioni obbligherà a scendere a patti per governare. Non a caso è proprio su questo scenario assai probabile che si innestano le manovre della galassia centrista per preparare il terreno a un governo Monti dopo il 2013. O, in via subordinata, affidato a qualche esponente di questo governo o perfino a un leader di partito come Casini (se non si dovesse “accontentare” del Quirinale).

Ora, a parte il fatto che i candidati al ruolo di salvatori della patria assomigliano molto al “cavaliere inesistente” di Calvino, questa ipotesi, da cui lo stesso Monti continua a smarcarsi, è una trappola bella e buona. E l’argomento portato per sostenerla (che un governo di ampia coalizione che porti avanti la politica di Monti, sia anche la prospettiva che più tranquillizzerebbe l’Europa) è una favola per gonzi.

 

L’Europa (c’è bisogno di dirlo?) non è un’opzione politica ma una confederazione di Stati al cui interno si confrontano più opzioni. Non è un mistero che un governo “Monti (o simili) dopo Monti” piace senz’altro alla destra europea (politica) e alla grande finanza. Piace anche agli speculatori, perché è l’ipotesi che darebbe all’Italia meno chance di successo nel medio lungo periodo (quello che conta per lo spread). E’ quella che avvicinerebbe in maniera consistente il Gotterdammerung, la caduta degli dei (quelli che proteggono l’euro) aprendo la strada allo “split” euronord-eurosud o al ritorno alle monete nazionali nel Sud Europa. E’ per giunta quella che neutralizzerebbe sul nascere un’ipotesi europea alternativa perché lascerebbe il PSF in splendida solitudine mettendo in un angolo l’SPD costretto alla Grosse Koalition.

 

E’ a quella Europa che piace l’idea di un altro governo “non politico”, ovvero privo di un’autonoma fisionomia politica. Un governo, per dirla tutta, all’insegna dell’instabilità.

Perché in effetti non sarebbe che un pasticcio. Come quello che ha condannato Prodi.

 

Ammettiamolo, ci possono essere buone ragioni per temere che la sinistra al governo in Italia possa essere inconcludente per mancanza di coesione. Il problema non sta però nelle diatribe con la sinistra estrema. Non che non ci sia da aspettarsele, sono vive ancora oggi, con l’area che sostiene che Prodi era non era meglio di Berlusconi e che Monti è perfino peggio. Ma difficilmente quell’area radicale avrà qualcosa in più di un diritto di tribuna e non detterà certo legge sul programma (che considera in generale un imbroglio).

Il problema non sta nemmeno nella crescita dell’area di protesta. L’area “né – né” è in crescita in questa fase di sospensione della dialettica politica “libera” e trasparente. E’ prevedibile che, facendo somma aritmetica con i centristi, impedisca una maggioranza assoluta ma, rispetto a questi, in un’ipotetica trattativa per dare un governo al Paese potrebbero risultare perfino più ragionevoli. Insomma, è proprio nell’eventualità di un accordo da raggiungere tra sinistra e centristi che sta tutto il rischio di instabilità.

 

Ripensiamo al secondo governo Prodi. C’era più rigore (con Padoa Schioppa) di quanto ce ne sia stato con lo stesso Monti, a giudicare dall’andamento del debito e dello spread. Più lotta all’evasione, con Visco, meno blitz per la “scena”, ma misure più incisive, dati sulle entrate alla mano. Più equità, con Damiano. Eppure i centristi, per una parte (Casini), erano rimasti fuori sin dalle elezioni dando una mano a Berlusconi nell’offensiva anti-governativa, per un’altra (Mastella), hanno tolto l’appoggio a Prodi alla prima occasione utile (su imbeccata di Oltretevere). Per una linea di maggiore rigore? O per reclamare più equità, sposando le critiche da sinistra? Nossignori. Per rispetto verso il sentimento religioso degli italiani, che sarebbe stato onorato, di lì a poco, dagli spettacoli burlesque e dalle compravendite di parlamentari.

 

Ecco allora il punto. Un accordo con quell’area-pendolo potrà essere necessario, in Parlamento. Ma su singoli provvedimenti su cui il governo avrà investito la sua credibilità in campagna elettorale, come passaggi decisivi per il futuro del Paese. Non stiamo parlando perciò di un accordo programmatico. E la distinzione non è, come sembra voler dare ad intendere Casini (con sponde a sinistra), tra il prima e il dopo. Un accordo programmatico non si fa altro che prima. Se non ci sono le condizioni (ed è evidente che non ci sono) non si può raggiungere dopo.

 

Questo sarà dunque il passaggio di fuoco. Scenario di confusione, disastroso per la tenuta sui mercati del nostro debito? Non è affatto detto. Succede nelle migliori democrazie. E’ una condizione che si può definire fisiologica, che tutti i grandi paesi dell’Occidente si sono trovati ad affrontare, quella che attende con ogni probabilità la sinistra: un governo senza maggioranza stabile ma non per questo privo di legittimità.

 

E’ però vero che l’Italia non ha mai saputo affrontarla nel modo in cui la si affronta nelle democrazie evolute. Esecutivo e legislativo si misurano davanti alle assemblee elettive e davanti al Paese, nella chiarezza e nella trasparenza. La storia della sinistra italiana è stata finora una storia di compromessi poco trasparenti agli occhi dei cittadini elettori. Il DNA è quello: tattica, mediazione e arte di gestione del potere. E’ il fardello che la sinistra porta in eredità dalla guerra fredda e di cui non si è ancora liberata del tutto. Un’anomalia genetica che a quasi un quarto di secolo dalla caduta del Muro sarebbe ora di correggere. Se non si vuole che una sinistra senza fisionomia perda del tutto anche l’anima.
Venerdì, 31. Agosto 2012
 

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