Da Bagdad a New Orleans

Due grandi tragedie evitabili che gli apprendisti stregoni neocon del governo Bush hanno gestito e gestiscono nel peggiore dei modi. Il disastro Katrina era stato previsto con mesi di anticipo, mentre in Iraq si stanno ponendo le basi per una guerra civile permanente
Non si era ancora spenta l'emozione per i mille morti del ponte crollato di Bagdad, quando è intervenuta la tragedia di New Orleans. Fatti diversi e in qualche modo fatali conseguenti a eventi straordinari, come il terrore probabilmente seminato ad arte di un kamikaze che potrebbe farsi esplodere, o come la violenza catastrofica di un uragano. Ma la fatalità è ben lontana dal potere spiegare tutte le umane tragedie.
 
In Iraq si era lavorato per mesi all'elaborazione di una costituzione che avrebbe dovuto individuare un terreno di compromesso capace di ridurre le tensioni fra le diverse comunità e asciugare almeno una parte dell'acqua in cui nuota il terrorismo. Il risultato è stato fallimentare. Alla speranza è seguita la delusione e l'annuncio di altre stragi. La caratteristica della guerra in Iraq è che i morti iracheni non i contano. Alcune fonti parlano di decine di migliaia di civili, altre di centomila e più. Il "Guardian"  di Londra considera una vergogna che le forze di occupazione si ostinino a tacere sul numero dei morti provocati dall'invasione. Ma questo vizio di nascondere i morti l'abbiamo rivisto nella tragedia della Louisiana, dove pare si debbano ormai contare a migliaia, soprattutto fra i neri della periferia  di New Orleans che, invitati ad andarsene, non sapevano né come, né dove andarsene.
 
A Bagdad, vittime di una guerra civile non fatale, ma alimentata da una politica insensata che lascia marcire e aggravarsi le tensioni fra le diverse comunità etniche e confessionali, invece di cercare una mediazione possibile contro la disintegrazione seguita all'occupazione. A New Orleans, nella nazione più ricca del mondo, dighe inadatte a reggere l'urto, prevedibile e previsto (si veda di seguito l'articolo pubblicato nel maggio del 2005 da Chris Mooney su American Prospect), di un uragano di categoria 4 o 5, così come si è verificato. Ci sono soldi per la guerra in Iraq - che finiscono nelle tasche delle grandi compagnie americane - ma non per costruire e mantenere infrastrutture degne di un paese civile. Negli stessi giorni della tragedia il New York Times scriveva che la povertà in america è aumentata ancora negli ultimi anni. Una povertà in gran parte nascosta che, improvvisamente, si rivela, sotto l'urto di un evento straordinario, impudicamente mostrandoci una realtà da terzo mondo, dove mancano le reti assistenziali, il cibo e l'acqua. E gli assalti ai supermercati per procurarsi cibo vengono confusi con gli atti di sciacallaggio dando alla guardia nazionale (insufficiente, essendo impegnata in Iraq) licenza di uccidere.
 
Ma bisogna evitare che chiodo scacci chiodo. La tragedia di New Orleans non deve offuscare l'ulteriore aggravamento della situazione irachena, dopo l'improvvida approvazione del progetto costituzionale senza il consenso dei sunniti. Vale la pena di ricapitolare brevemente i fatti. Formalmente la nuova Costituzione che sarà sottoposta a referendum a metà ottobre è stata elaborata da una commissione mista nella quale erano rappresentate  le diverse comunità irachene, compresi i sunniti. Il suo compito fondamentale doveva essere quello di individuare un terreno di mediazione fra i soggetti a cui spetta di tenere insieme il paese. L'obiettivo è stato mancato, dal momento che il progetto è stato concordato fra sciiti e curdi, di fatto emarginando la rappresentanza sunnita. Una conclusione insensata, destinata ad esacerbare le tensioni e ad aprire definitivamente la strada a una guerra civile endemica del tipo che sconvolse il Libano fra gli anni 80 e 90.
 
Cosa hanno fatto le forze di occupazione americane per impedire questo esito nefasto? Hanno stabilito un limite temporale invalicabile quanto arbitrario, entro il quale la Costituzione doveva essere approvata dal Parlamento. La scadenza era dettata dai tempi della politica americana, invece che dall'esigenza di ricomporre uno scenario sufficientemente unitario in Iraq. Bush era già sotto pressione prima ancora della catastrofe di New Orleans. La maggioranza degli americani si è resa conto, alla fine, di essere stata ingannata dalle menzogne sulle motivazioni della guerra. Non vi erano in Iraq armi distruzioni di massa. Né il regime iracheno, per quanto spregevole, aveva a che fare con gli attentati dell'11 settembre e con Al Qaeda.
 
La situazione in Iraq - ha scritto Kissinger - è peggiore di quella vietnamita. Non ostante tutti i tentativi, non esiste un esercito iracheno, né potrà mai esistere, perché i curdi ne hanno uno proprio e gli sciiti - dove hanno un ruolo predominante, come a Bassora - autorganizzano il controllo del territorio. In queste condizioni le truppe americane non possono abbandonare il terreno, perché l'Iraq rischia di diventare uno "Stato fallito". La tesi del vecchio segretario di Stato è che il puro e semplice ritiro - come accadde in Vietnam - avrebbe conseguenze incalcolabili non solo in Iraq, ma in tutto il Medio Oriente. Non rimane che cercare una soluzione interna fra le parti in conflitto. Il terreno della Costituzione doveva servire a questo. Ma miopia e tracotanza americane hanno prodotto ancora un fallimento, ridicolmente mascherato come un passo avanti sulla strada della democrazia.
 
L'accordo fra curdi e sciiti, com'era prevedibile, è stato trovato sulla base dei rispettivi interessi e delle rispettive tendenze ideologico-confessionali e, quando non è stato possibile, attraverso formulazioni ambigue che ciascuna parte potrà interpretare come meglio ritiene. Attraverso l'affermazione di progetto federale, i curdi avevano interesse a consolidare la propria autonomia, nella prospettiva di un futuro Kurdistan indipendente. Ma non basta. Il progetto federalista consente alle province di formare macroregioni che possono eleggere un proprio Parlamento e un proprio governo. In sostanza la costituzione di un governo sciita - improntato alle leggi della Sharia - nel Sud del paese. Considerato che le fonti petrolifere si trovano in queste due aree, la costituzione prospetta una dinamica secessionista fra un quasi Stato curdo e un quasi Stato sciita, confessionalmente - il primo relativamente laico, il secondo di impronta integralista - ma accomunati dal controllo sulle risorse petrolifere.
 
Quanto ai sunniti, che hanno esercitato una funzione dirigente in Iraq ben prima dell'avvento di Saddam, nella cacciata degli inglesi dopo la fine dell'impero turco e poi della monarchia, la prospettiva è di essere presi in mezzo, confinati nelle regioni più povere del paese, prive di petrolio, e con i propri leader banditi dai posti di governo, in quanto più o meno tutti legati al vecchio partito Baath. Lavorare a una Costituzione per farne le premesse di una incontrollabile guerra civile, straordinario punto di attrazione di tutti i possibili terroristi, è un capolavoro di insipienza degli intellettuali "neocon" che da cinque anni guidano irresponsabilmente l'amministrazione americana, all'ombra del giovane Bush.
 
E' in questo scenario di paradossi che si collocano l'avventura irachena e le sue conseguenze per il Medio Oriente e per la stessa Europa diventata bersaglio del terrorismo islamico. Ora, i sunniti possono avvalersi di una clausola, imposta dai curdi sotto il primo governo provvisorio nominato dagli stati Uniti, che comporta la decadenza del progetto costituzionale, se la maggioranza dei due terzi degli elettori di tre regioni lo respinge. Questa è adesso l'ipotesi più probabile. In questo caso bisognerà ricominciare da capo con l'elezione di una nuova assemblea costituente.
 
Gli americani si augurano che la clausola non scatti, e la Costituzione sia approvata con le elezioni conseguenti di un nuovo Parlamento e di un nuovo governo a gennaio del 2006. Sarebbero così rispettati ancora una volta i tempi della politica americana. Un primo contingente di truppe potrebbe essere ritirato, evitando che il crescente dissenso popolare nei confronti dell'amministrazione dilaghi con la sconfitta repubblicana nelle elezioni per il congresso del 2006.
 
Ma molti analisti fanno un ragionamento contrario. La bocciatura della Costituzione e la riapertura del processo costituente avrebbero il vantaggio di vedervi pienamente inserita la componente sunnita in posizione di maggiore forza, e con maggiori probabilità di raggiungere una mediazione. Al contrario, una Costituzione approvata non ostante il ripudio della parte arabo-sunnita (anche i curdi sono sunniti) sarebbe la testimonianza definitiva che nelle condizioni di una nazione divisa le tecniche democratiche si risolvono a danno delle minoranze. Il risultato sarebbe l'emarginazione dei settori più moderati con il sopravvento delle forze più radicali dall'una come dall'altra parte.
 
Naturalmente non si tratta di un esito fatale. C'è chi ritiene non solo auspicabile ma anche possibile, la ripresa di un dialogo tra le tre componenti irachene in grado di portare a un compromesso dell'ultimo minuto. Così come potrebbe essere previsto un rinvio del referendum. La tragedia del ponte di Bagdad potrebbe rafforzare questi tentativi. Ma la politica dell'amministrazione americana, oscillante fra menzogna e propaganda, lascia poche speranze alla ragionevolezza.
 

 
Giovedì, 8. Settembre 2005
 

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