Cosa serve per andare oltre Berlusconi

Le elezioni entro il 2011 appaiono praticamente inevitabili: una via obbligata per il Cavaliere incalzato dai processi. Ma arrivarci con questa legge elettorale sarebbe disastroso. Proprio sulla riforma, che dovrebbe mandare finalmente in soffitta il bipolarismo, si potrebbe creare un’alleanza programmatica tra sinistra e terzo polo

Ci si può consolare in vario modo dopo il risultato della battaglia parlamentare che aveva il suo bersaglio grosso nella sconfitta di Berlusconi. E’ vero, il suo governo ha una maggioranza risicata, addirittura al di sotto della maggioranza assoluta dei deputati. Ma è un errore trascurare la capacità di resistenza, di manipolazione e di rivalsa di Berlusconi. Si è detto che la sua è stata una vittoria di Pirro. Una forma retorica solitamente invocata quando si vuole negare o banalizzare una sconfitta. Ma il giovane condottiero che aveva vinto la battaglia non solo ammise che il costo era stato drammaticamente alto, ma abbandonò il campo dirigendo verso altre terre il suo esercito; la sua precaria vittoria si rovesciò in una e vera propria sconfitta alcuni anni dopo.

Questo non è il caso di Berlusconi. Il capo del governo non ha nessuna intenzione di ritirarsi per ricomparire fra tre o quattro anni. Ha due possibilità per ricomporre una maggioranza più stabile, e ha spiegato come intende muoversi. La prima è procacciarsi una decina di deputati mercenari; la seconda è una qualche forma di alleanza con l’UDC.  Ma la sua vera exit strategy, la riserva che può toglierlo dall’angolo, sono le elezioni anticipate.

Non ostante la defezione di Fini e della sua pattuglia, il PDL rimane nei sondaggi inossidabilmente gratificato da un consenso intorno al 30 per cento delle intenzioni di voto. Avendo questa singolare posizione di rendita, Berlusconi, anche per prudenza nei confronti del Quirinale, alterna alla minaccia delle elezioni anticipate la volontà di andare avanti fino alla conclusione della legislatura. Ma questa seconda ipotesi, oltre a essere irrealistica, incontra un ostacolo insormontabile nella sua condizione giudiziaria. Se la pronuncia della Corte Costituzionale di metà gennaio sul “legittimo impedimento” dovesse essergli sfavorevole, come le indiscrezioni di questi giorni farebbero supporre,  le elezioni a marzo diventeranno la sua unica via d’uscita. Ma, anche nel caso di una pronuncia favorevole, la tutela del legittimo impedimento sarebbe a termine: ottobre del 2011. In entrambi i casi, tra la strada dei Tribunali e quella del ricorso al voto, la seconda diventa per B. obbligata, l’unica differenza rimanendo fra la primavera e l’autunno del 2011.
 
Gli esperti calcolano che, con l’attuale legge elettorale, B. otterrebbe una larga vittoria alla Camera ma non al Senato. Una vittoria dimezzata. E, tuttavia, sufficiente a impedire la formazione di qualsiasi governo alternativo senza un compromesso col PDL.  B. potrebbe a quel punto fare il “passo indietro” invocato da Fini e Casini, cedendo Palazzo Chigi in cambio di un passo a lato: quello decisivo, quando sarà il momento, verso il Colle: il culmine della sua avventurosa e incredibile biografia politica.

Si tratta di una prospettiva fondata su un castello di sabbia? Può darsi. Ma sarebbe l’ennesimo errore sottovalutare la capacità di resistenza e di manipolazione di un personaggio che domina la scena politica da quasi un ventennio. In ogni caso, poiché la soluzione delle elezioni anticipate non è ragionevolmente da scartare - né auspicabile in un paese stremato dalla crisi e dal degrado politico - l’opposizione deve porsi un obiettivo tanto limitato quanto immediato e stringente: il cambiamento della legge elettorale. Non solo il Parlamento, ma il paese dovrebbe essere mobilitato in questa direzione. Il cambiamento della legge dovrebbe diventare il punto d’incontro naturale fra la sinistra e il Terzo polo. Il quale per ora sembra vivere più nelle intenzioni che nella realtà, ma che potrebbe trovare proprio nella battaglia per il cambiamento della legge elettorale un punto di tenuta interna e un terreno di unità con l’opposizione di sinistra.
 
Ma qui si pone un’altra domanda. Il riconoscimento di un terzo polo come soggetto autonomo non sarebbe la fine del bipolarismo? La risposta è sì. E per fortuna! -  bisognerebbe aggiungere. I due poli hanno dimostrato di reggersi solo riproducendo nel loro seno, o sulle rispettive frontiere, una miriade di micro- partiti personali che hanno contribuito a esasperare l’inquinamento e la corruzione della politica, utilizzando il loro potere marginale di condizionamento. Ma, anche prescindendo dal degrado dello scenario politico italiano, il bipolarismo si rivela sempre di più estraneo alla tradizione europea, entrando in crisi perfino in Gran Bretagna dove era figlio di un’esperienza plurisecolare.

Il bipolarismo italiano è stato un’invenzione accattivante ma fallita. Ha favorito il polo della destra, all’interno del quale le discriminanti culturali sono facilmente mediate dalla conquista e dall’uso spregiudicato del potere. Mentre la sinistra ha articolazioni interne culturali e storiche difficilmente riducibili a un minimo comune denominatore. In ogni caso, una ricomposizione a sinistra su una base programmatica accettabile, dettata tra l’altro dalla gravità della crisi sociale, si allontana quando in nome del bipolarismo tutti i gatti diventano neri nella notte di un’unità senza principi che impone l’apertura ai vari… Calearo.

Con una nuova e decente legge elettorale, ristabilite le condizioni di una civile dialettica politica, ciascuna forza tornerebbe sulla scena politica con la propria identità. Il PD non dovrebbe vergognarsi di essere e apparire come un partito di sinistra che si propone di recuperare un rapporto di familiarità e credibilità con la variegata opposizione sociale: dagli studenti al mondo del lavoro, ai ceti medi, agli intellettuali, che oggi vivono una condizione di diaspora, di sfiducia e di frustrazione.

Con un sistema elettorale alla tedesca che legittima la presenza di quattro o cinque partiti, le distinzioni politiche e programmatiche tornerebbero ad avere un senso. Si potrebbe criticare Marchionne e la selvaggia americanizzazione delle relazioni industriali senza temere di perdere quei voti che giustamente sono orientati verso altri schieramenti.

Una volta ristabilita la libertà per gli elettori di scegliere secondo la propria vocazione, creare un’alleanza con formazioni di centro non è uno scandalo. Un compromesso politico programmatico alla luce del sole, coerente con alcuni punti programmatici essenziali, rientra nell’arte e nelle esigenze delle mediazioni politiche. Non è una dissoluzione della propria identità e un tradimento dei propri elettori. Liberati dai fantasmi del bipolarismo e con una riforma della legge elettorale, il 2011 può diventare l’anno del cambiamento, della sconfitta della dispotica e corrotta monarchia berlusconiana, della ridefinizione del ruolo di opposizione, e insieme di forza di governo, del PD e della sinistra nel suo insieme.

Martedì, 28. Dicembre 2010
 

SOCIAL

 

CONTATTI