La serata e parte della notte di venerdì 23 ottobre sono apparse e sono state descritte dai media locali e nazionali quali espressioni di momenti di follia collettiva, che poco o nulla avevano in comune con qualsiasi forma di legittima protesta sociale.
In effetti, dai filmati trasmessi dalla Tv pubblica e da quelle private e dai resoconti dei giornalisti presenti, supportati dall’esperienza di chi ha vissuto quelle ore da attonito spettatore è apparso un quadro riconducibile a scene di vera e propria “guerriglia urbana”.
Con cassonetti della spazzatura dati alle fiamme e numerosi lanci di bombe carta all’indirizzo delle forze dell’ordine; senza dimenticare le aggressioni nei confronti di alcuni operatori dell’informazione che avevano l’unica colpa di essere presenti per documentare i fatti.
Un susseguirsi, quindi, di atti vandalici che nulla avevano da spartire con quella che avrebbe dovuto rappresentare una pacifica manifestazione di dissenso rispetto alle misure anti-Covid preannunciate dal Governatore della Campania, Vincenzo De Luca; dal “coprifuoco” al quasi totale blocco delle attività commerciali e ludiche.
In teoria, nulla lasciava presagire ciò che sarebbe accaduto.
Invece, come noto, mentre sul lungomare partenopeo già sfilavano commercianti e ristoratori, contrari alla paventata nuova “chiusura” che, oggettivamente, avrebbe messo in ginocchio un’economia cittadina e regionale già prostrata dal lungo lockdown primaverile, da una delle piazze del centro storico napoletano era partito un altro corteo che si apprestava a raggiungere Palazzo Santa Lucia, sede della Regione Campania.
I fatti verificatisi nelle ore successive avrebbero dimostrato che l’obiettivo della stragrande maggioranza dei manifestanti appartenenti al secondo gruppo era quello di creare disordini ed ingaggiare quella che già definivo “guerriglia urbana”.
Non a caso, evidentemente - così come dichiarato da Nicola Morra, Presidente della Commissione parlamentare antimafia - le forze dell’ordine avrebbero accertato la presenza, nei pressi della sede regionale, di uomini e donne appartenenti a clan camorristici presenti in alcuni famigerati quartieri storici di Napoli; della Pignasecca e dei Quartieri spagnoli.
E non solo loro.
Non appartenevano di certo alla migliore società partenopea quei tanti che, ignorando totalmente l’ormai famoso “distanziamento”, si mostravano, contemporaneamente, tanto rispettosi delle disposizioni governative (tese a limitare i contagi) da sfoggiare, insieme alla prescritta “mascherina”, passamontagna e caschi integrali; tali da renderli irriconoscibili.
Inqualificabili coloro che inveivano contro De Luca rivolgendogli epiteti irripetibili.
Detto questo, tuttavia, sarebbe un tragico errore sottovalutare l’accaduto riducendolo a un semplice, seppure gravissimo, problema di ordine pubblico.
Di là degli strumentali eccessi e delle ingiustificate forme di violenza diffusa - da parte di loschi personaggi, già ampiamente noti alle cronache giudiziarie - quanto accaduto a Napoli esprime, però, una condizione di esasperata difficoltà nella quale, purtroppo, al personale disagio sociale di tanti si aggiungono le difficoltà economiche che coinvolgono intere categorie di operatori commerciali.
In un contesto di per sé fragile, alle prese con carenze storiche - in termini di servizi, sanità e trasporti - aggravate da una pesante crisi del settore industriale e del terziario, un nuovo lockdown (senza adeguati provvedimenti “di cassa” paralleli) produrrebbe, infatti, conseguenze disastrose; con effetti economici e sociali insostenibili.
Le reali sofferenze economiche (personali e familiari) di centinaia di migliaia di lavoratori, disoccupati, inoccupati, pensionati, esercenti, commercianti e lavoratori autonomi, colpiti da una pandemia economica di così vaste proporzioni, non possono e non debbono essere abbandonate all’uso strumentale di alcuno. Né dell’opposizione fascio/leghista, né - tanto meno - dei clan e della malavita organizzata.
Certo, quella presente lo scorso venerdì a Napoli - come quella che, molto probabilmente, si mostrerà, prima o poi, in altre nostre città - era, come anticipato, una variegata umanità: proletariato urbano (ancora vivo e vivace, nonostante le smentite), lavoratori a nero, piccola borghesia, commercianti (da quelli tanto onesti fiscalmente da accusare oggi problemi a quelli che dichiarano redditi inferiori a quelli dei loro dipendenti) e quant’altro.
Tra le sue fila anche qualche (o di più, poco conta) improprio percettore del reddto di cittadinanza “con la Porsche o il Bmw”, ma, soprattutto, persone; rispetto alle quali: è vero che è indispensabile intervenire, in ogni modo, per preservarne la salute e l’integrità fisica, ma è altrettanto vero che è fondamentale poter garantire un’adeguata e, soprattutto, immediata, protezione sociale.
Quello che, ad esempio, (solo oggi) finanche Stefano Fassina (Leu) - ex vice ministro dell’Economia nel governo Letta - chiede di prorogare, estendere e potenziare: il c.d. “Reddito di Emergenza”.
Ciò che, quindi, appare indispensabile, è il varo di un provvedimento universale - che non escluda nessuno - di sostegno al “non reddito” di tutti i cittadini italiani; senza trascurare interventi specifici per sopperire alla miserevole condizione di quanti (comunitari ed extracomunitari) soggiornano, a qualsiasi titolo, nel nostro Paese.
In definitiva, il contagio da Covid va contenuto attraverso qualsiasi provvedimento tecnico-politico il Comitato per la Salute Pubblica e il governo in carica ritengano opportuno adottare; ma, contemporaneamente, il concreto rischio di degrado economico - singolo e collettivo - va scongiurato attraverso misure che non lascino indietro nessuno.
Articolo pubblicato anche su www.blog-lavoroesalute.org