Contrattazione, quella riforma è al ribasso

Girgio Santini ha sostenuto in un precedente intervento che l'accordo separato raggiunto con gli imprenditori non solo è buono, ma ricalca sostanzialmente quanto previsto dalla piattaforma unitaria del maggio 2008. Ma basta esaminare i due testi per trovare differenze tutt'altro che irrilevanti

Giorgio Santini, segretario della CISL, si mostra entusiasta, com’era prevedibile, della firma e dei risultati dell’accordo quadro sulle nuove regole della contrattazione. Ma difficilmente la sua appassionata difesa del testo sottoscritto lo scorso 22 gennaio si potrebbe definire un’imparziale illustrazione dei contenuti dell’accordo (separato) rispetto alla piattaforma unitaria concordata tra le tre confederazioni nel maggio 2008. In qualità di “addetto ai lavori”, consapevole che la prima regola - direi, deontologica - alla quale dovrebbe attenersi ogni dirigente sindacale è quella di valutare, ex post, lo “scarto” tra quanto previsto in piattaforma e quanto, invece, realizzato, tenterò di colmare questa lacuna. Per farlo, eviterò qualsiasi obiezione e ogni rilievo “di merito” ai convincimenti espressi dal Segretario confederale Cisl; altri, opportunamente, l’hanno già fatto - egregiamente - e lo faranno (ancora) più compiutamente.

 

Quelli che seguono rappresentano, a mio parere, i punti più interessanti del confronto.

Cominciando da quello che, nel testo del maggio 2009, era rappresentato come un obiettivo della riforma: la “realizzazione di un accordo che definisca il modello contrattuale da applicare a tutti i lavoratori e in qualsiasi settore, pubblico e privato”.

 

E’ fuori dubbio che l’accordo del 22 gennaio, sostanzialmente, lo disattende. C’è un rinvio ad accordi interconfederali già esistenti - che, come a tutti noto, sono molto diversi tra pubblico e privato - e nessuna (concreta) garanzia che per il futuro si pervenga, comunque, a un modello contrattuale comune. Da qualunque lato si voglia “leggere” l’accordo, quel che è certo è che non è stato realizzato, in linea con la piattaforma (ex) unitaria, “un accordo da applicare alla totalità dei lavoratori italiani”.

Rispetto alla parte economica del contratto collettivo nazionale di lavoro, non è irrilevante evidenziare che l’intesa sottoscritta da CGIL, CISL e UIL prevedeva l’esigenza di “recuperare” l’attendibilità del dato di riferimento cui legare il recupero salariale da inflazione. Il termine utilizzato era: “Inflazione realisticamente prevedibile”. Nel contempo, per salvaguardare i lavoratori dal rischio di eventuali differenziali inflazionistici, si riteneva indispensabile la definizione di meccanismi certi di recupero. Quanto previsto dall’accordo pare non andare nella stessa direzione. Infatti, per il recupero del tasso d’inflazione è stato previsto un nuovo indice previsionale che, senza tener conto dell’aumento dei prezzi dei beni energetici importati, corre il rischio di rendere inattuabile il concreto recupero dei salari rispetto all’inflazione reale.

 

A questo riguardo, anche se appare inoppugnabile la tesi secondo la quale il NIC (Indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività) non fosse più in grado di rappresentare, in modo sufficientemente attendibile, l’entità delle spese e dei consumi effettivi delle famiglie italiane, è tutta da dimostrare la certezza, espressa da Santini, che l’IPCA (Indice armonizzato a livello europeo) possa farlo in maniera soddisfacente. Soprattutto in considerazione del fatto che sarà “depurato” dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati. Inoltre, per restare a questo secondo punto, l’aver rinviato a livello interconfederale la verifica degli eventuali “scostamenti” tra l’inflazione prevista e quella reale, rappresenta - inequivocabilmente - un risultato tutt’altro che soddisfacente rispetto alla piattaforma unitaria che, in modo altrettanto chiaro, prevedeva la definizione di meccanismi certi di recupero dell’eventuale differenziale d’inflazione.

 

Sull’automatica estensione (anche) ai dipendenti pubblici delle (nuove) regole definite per il settore privato - così come sostiene Santini - è opportuno evidenziare due questioni di non poco conto. La prima è rappresentata dall’evidente discrasia nella definizione della quantità delle risorse da destinare al recupero salariale nel settore pubblico rispetto al privato. Infatti, nel pubblico tutto sarà condizionato dai limiti e dai vincoli previsti dalla Finanziaria. La seconda, sostanziale, differenza è ancora più evidente (e ingiustificata). Nel settore pubblico, diversamente da quello privato, la verifica degli eventuali “scostamenti” tra l’inflazione prevista e quella reale sarà effettuata alla scadenza del contratto. Non solo; l’accordo del 22 gennaio testualmente recita: “Ai fini dell’eventuale recupero nell’ambito del successivo triennio”. Fuor di metafora, pare di capire che una volta accertati gli eventuali scostamenti, il recupero, per i dipendenti del pubblico impiego, sarà tutt’altro che garantito!

 

Anche per quanto attiene alla previsione di specifiche norme relative alla cosiddetta IVC (Indennità di vacanza contrattuale) e alla decorrenza dei nuovi minimi contrattuali, la lettura ex post della vecchia intesa unitaria dovrebbe creare qualche imbarazzo e incrinare molte certezze. L’accordo del maggio 2008 prevedeva, al riguardo, l’ipotesi di fissare comunque la decorrenza dei nuovi minimi salariali dalla scadenza del vecchio contratto, superando le “una tantum” e le “indennità sostitutive”. Si concordava, addirittura, sulla possibilità di prevedere delle penalizzazioni, a carico delle aziende, nei casi di mancato rispetto delle scadenze contrattuali. L’intesa del 22 gennaio rinvia agli accordi tra le parti, nei singoli contratti di categoria, la previsione di non meglio precisati meccanismi che, in pratica, lasciano aperte tutte le strade.

 

Vale la pena rilevare che, in particolare rispetto a questo punto, riesce ancora più difficile condividere le certezze espresse da Giorgio Santini. Infatti, contrariamente a quanto da lui sostenuto, l’accordo (separato) non prevede in modo parimenti perentorio che ”La copertura economica dei nuovi contratti partirà dalla scadenza dei precedenti”.

 

Un’ulteriore, istruttiva, riflessione riguarda la previsione del cosiddetto “elemento di garanzia” che, stando all’accordo unitario, avrebbe dovuto offrire una sorta di “paracadute” ai lavoratori esclusi dalla contrattazione di secondo livello, attraverso la previsione di una quota minima fissata dai contratti nazionali. Orbene, il “nuovo elemento retributivo a tutela delle fasce di lavoratori contrattualmente più deboli”, che per Santini rappresenta un’altra certezza, non è né certo, né generalizzato; rappresenta solo una soluzione non esclusa dall’accordo!

 

Per concludere, resta il problema delle “deroghe” (non certo migliorative) ai contratti nazionali, in sede aziendale e/o territoriale. L’(ex) accordo del maggio 2008 non aveva previsto alcuna possibilità di deroga a quanto sancito dai a livello nazionale, quello del 22 gennaio 2009 prevede, tra l’altro, anche questa possibilità.

Giovedì, 12. Marzo 2009
 

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