Come evitare che il rigor Montis diventi rigor mortis

Le risorse della lotta a evasione e corruzione, che sembra finalmente avviata, potrebbero servire a ridurre la prima aliquota e ampliare la no taxation area. Ma bisogna anche ottenere dall’Europa un allungamento dei tempi per la riduzione del debito

Chi ha avuto l'opportunità e la pazienza di leggere alcuni dei miei precedenti articoli ricorderà che da tempo abbiamo criticato la filosofia sottostante gli indirizzi di politica finanziaria della Ue e, per conseguenza, dell'Italia. La crisi mondiale ha avuto origine da un formidabile spostamento di ricchezza dalle classi medio-basse verso l'alto, frutto avvelenato del darwinismo economico. Le potenziali reazioni politico-sociali sono state tamponate dal credito al consumo spinto oltre i limiti di sicurezza e dall'uso spregiudicato delle menzogne massmediatiche.

    

Curare un avvelenamento con dosi ulteriori di veleno è pratica omeopatica, valida soltanto - come noto - per quantità infinitesimali. Le destre al governo in Europa sanno benissimo che la soluzione radicale consisterebbe in una massiccia redistribuzione del reddito dall'alto verso il basso. Pretendere però che un tacchino si riempia di castagne e si cucini da solo è chiedere troppo. Esiste dunque un'apparente consequenzialità fra i comandamenti della Merkel e l'obbedienza del governo Berlusconi e del suo immediato successore. Inoltre una colossale manovra redistributiva richiederebbe tempo per non creare effetti di shock, perché il fenomeno perverso si è prodotto in un quindicennio.

 

E' pur vero che prima si comincia meglio è: ma l'attuale governo, tecnicamente molto preparato e certamente consapevole della vera natura del problema, è per così dire "sotto scopa". Al di là di falsi unanimismi è sorretto, almeno per ora, anche dalle stesse forze politiche che erano la piattaforma dei governi Berlusconi. Certi ripensamenti della Cisl e della Uil che invocano pesanti patrimoniali destano perplessità, perché alcuni mesi fa non sembravano nella stessa posizione: apparivano piuttosto allineati sulle posizioni di quella destra sociale che piace tanto alle anime belle del Corriere della Sera.

    

Al governo Monti quindi non si può chiedere di più di quanto possa dare né imputargli colpe che non ha. Esaminiamo brevemente le critiche più incisive: a) manovra lacrime e sangue; b) molte tasse e pochi tagli alla spesa; c) manovra recessiva e pochi stimoli allo sviluppo.

 

Sul tema "lacrime e sangue" la retorica italiota ha prevalso rispetto ad un'analisi razionale. La manovra Monti è di 32 miliardi per il 2012 rispetto agli oltre 36 di quella di Berlusconi; 35 contro 56 nel 2013 e 37 contro 62 per il 2014. Non ci sembra che il centro-destra abbia levato alte grida nei confronti di una manovra ben più alta. Si obietterà che quest'ultima è addizionale: varrebbe dunque il motto "grazie, abbiamo già dato". Non mi pare però che i polli debbano strillare solo per l'ultima penna strappata e non per la prima. Rimane valida la constatazione che il gap originato da carenza di domanda sembra volersi equilibrare comprimendo la domanda. Un equilibrio si può raggiungere in alto o in basso; nel nostro caso, come nel girotondo dei bambini, con avvitamenti successivi si può giungere al "tutti giù per terra".

    

Un altro fronte di attacco è quello della distinzione tra aumento di tasse e riduzione di spese. In questa società del pensiero corto, ripetendo un assioma fino alla noia si tende a ritenerlo valido. Non è così. Vi sono riduzioni di spesa, soprattutto di beni e servizi primari, anche ad alto coefficiente occupazionale, che comprimono la domanda globale ben più della tassazione. Ad esempio un taglio delle spese sanitarie incontra una curva di domanda rigida e provoca una contrazione nella spesa verso beni meno prioritari.

    

Una differenza sostanziale fra riduzione di spese e aumento di imposte c'è ed è molto importante. La leva fiscale, se usata con criterio, e non con la scure del boscaiolo, come è avvenuto in dicembre, è progressiva: colpisce più i ricchi che i poveri. Le riduzioni della spesa pubblica, quando riguardano sanità, trasporti dei pendolari, assistenza sociale, etc. colpiscono più i poveri che i ricchi.

    

Meraviglia comunque non poco la circostanza che il presidente del Consiglio da poco defenestrato rimproveri al suo successore una manovra recessiva e l'assenza di stimoli allo sviluppo di cui non vi era traccia negli interventi da lui stesso programmati. Questi stimoli potranno forse venire da una riqualificazione dei flussi di spesa - riprendendo il progetto Prodi-Padoa Schioppa - riorientandoli verso direzioni con più ampi effetti moltiplicativi. Nelle battaglie intellettuali degli anni del boom vennero ipotizzate spese pubbliche con effetti indotti di tre volte l'importo iniziale in alcuni settori produttivi. Un ulteriore impulso positivo poteva riverberarsi sugli investimenti privati (si parlava di acceleratore). Il discorso rimane comunque strettamente correlato alle dimensioni della domanda globale (estero più interno).

 

A giustificazione di alcuni aspetti francamente poco comprensibili della manovra di una squadra di così elevate capacità intellettuali, spunta, a mio avviso, un mistero italiano. L'intervento è avvenuto in una situazione estremamente tragica non del tutto svelata nei suoi aspetti quantitativi. Ai vertici della pubblica amministrazione già in ottobre circolavano voci di impossibilità di corrispondere le tredicesime all'intero comparto (per non parlare delle pensioni) e cioè a molti milioni di cittadini. L'entità di questa voragine è certamente nota al senatore Monti, che ne ha fatto oscuri accenni ("eravamo sull'orlo di un burrone senza parapetto"... "abbiamo trovato una situazione ben peggiore di quanto ci aspettassimo"), ma non è stata quantificata e resa nota alla pubblica opinione.

    

Paradossalmente questo segreto ben custodito è un'assicurazione contro velleità elettoralistiche del centro-destra perché il velo cadrebbe di colpo se questa parte politica volesse correre l'alea elettorale. Sotto questo profilo apparentemente il centro-sinistra è meno vincolato: ma, come disse a suo tempo Bersani, vincere sulle macerie non giova a nessuno.

 

Il governo Monti appare comunque stretto tra il martello della Merkel e l'incudine di un'opinione pubblica che vira verso il depresso e il malmostoso, opportunamente insufflata dai corifei della destra. Essi dopo aver modulato nelle buccine motivi encomiastici nei confronti del governo del disastro, rimproverano al meccanico di cercare di riparare la macchina che il loro pilota preferito ha sfasciato contro un muro. I critici onniscienti delle gazzette illuministiche non offrono peraltro alternative praticabili, almeno sino a che il Parlamento europeo non riuscirà a rovesciare il modello economico che antepone allo sviluppo il rigore, fino al rigor mortis in salsa teutonica.

 

Esiste però una prospettiva interessante che dovrebbe essere resa nota ai cittadini anche per creare quel clima di aspettative positive che lo stile accademico non sembra accendere: dal populismo più sfrenato alle gelide battute del Conte Dracula il passo è troppo lungo. Il rimpianto governo Prodi aveva ventilato, nella sua fase due, di destinare i proventi del recupero dell'evasione alla restituzione del fiscal drag ed alla riduzione del carico fiscale.

    

Si potrebbe procedere con un abbassamento al 20% della prima aliquota dell'imposta sui redditi (a suo tempo portata al 23 - ohibò! - proprio da Tremonti) o ampliando in proporzione alla perdita di potere d'acquisto dell'ultimo decennio la no taxation area. Le risorse finanziarie potrebbero essere reperite in tempi brevi, perché le munizioni dell'attacco all'evasione ci sono. Per la verità, c'erano anche prima: mancava la volontà politica. Analogo discorso vale per la lotta alla corruzione, che può esser condotta anche attraverso la spending review promossa da Prodi, sospesa e poi resuscitata da Tremonti al tramonto. L'ammontare recuperabile è di un ordine di grandezza certamente non inferiore ai 40 miliardi nel primo anno.

    

Occorrerà inoltre attenuare a livello europeo la norma capestro che prevede di ridurre il debito pubblico al ritmo annuale del 3% del Pil. Provvedimento letteralmente suicida, scioccamente accettato in condizioni di debolezza quando imperava la democrazia del cucù.

 

In assenza di una robusta manovra di questo tipo (facilitata dalla delega alla riforma fiscale ereditata dal precedente governo) i colloqui con i sindacati si risolverebbero in una recita di una commedia del teatro dell'assurdo di Ionesco. Aumentare l'occupazione per accrescere la produzione destinata ad incontrare una domanda che nel frattempo è stata ridotta non è il massimo della razionalità.

Venerdì, 13. Gennaio 2012
 

SOCIAL

 

CONTATTI