Ciocca: storia della diseguaglianza e come combatterla

Nel suo ultimo libro l’ex banchiere centrale, dopo aver ripercorso l’evoluzione nella varie epoche, propone una serie di provvedimenti per ridurre un fenomeno che non solo è ingiusto, ma crea danni all’economia. Il prossimo futuro, però, si prospetta pieno di incertezze

Nel suo ultimo libro - “Ricchi e poveri. Storia della diseguaglianza”, Einaudi 2021 – Pier Luigi Ciocca affronta il tema dei dislivelli distributivi con un approccio misto, da storico e da economista. Il binomio povertà/ricchezza, del tutto assente nella preistoria, nasce con la civiltà, con le prime società complesse. E’ legato al formarsi delle classi sociali e all’emergere dello Stato, con annessa distribuzione del potere. Potere e ricchezza sono sempre andati l’uno sotto braccio all’altra, ma un salto qualitativo avviene con la rivoluzione industriale. Prima del 1800 la diseguaglianza dipendeva essenzialmente dal potere, i cui detentori non avevano la minima intenzione di cedere. Dopo il 1800 è il meccanismo dell’economia di mercato capitalistica a determinare la diseguaglianza, con una partita che si gioca tra profitto e salario.

Dall’inizio del XIX secolo avviene una sorta di inseguimento tra profitti e salari, fra mercato e istituzioni. Il mercato prevale per tutto l’800 fino agli inizi del ‘900, quando i profitti crescono rapidamente a fronte di salari incatenati a livelli di sussistenza. Dopo la fine della prima guerra mondiale inizia un periodo molto turbolento, che dura fino al secondo conflitto mondiale, in cui comunque si assiste a una flessione abbastanza consistente della concentrazione della ricchezza. Ed anche dopo il 1945, fino all’inizio degli anni ’80, continua la tendenza che vede ridursi, in un contesto di forte crescita delle economie occidentali, le disparità sociali ed economiche grazie all’avanzata del welfare state. Negli ultimi quarant’anni invece il mercato si riprende la rivincita sulle istituzioni e le disuguaglianze tornano ad aumentare, in un contesto economico più complesso, in cui si affacciano prepotentemente sulla scena nuovi attori (la Cina e l’India su tutti) e il mondo occidentale mostra segni di declino.

E’ vero che occorre distinguere la diseguaglianza “nei Paesi” dalla diseguaglianza “fra i Paesi”. Sotto questo punto di vista, la diseguaglianza fra i Paesi mostra un profilo decrescente a partire dal 1990, anno in cui l’indice di Theil raggiunge un picco di 0,734 per poi progressivamente calare fino a 0,479 nel 2010. Nello stesso arco temporale però l’indicatore della diseguaglianza nei Paesi aumenta da 0,215 (il punto di minimo di una serie storica iniziata nel 1820) a 0,244. “Nei primi anni Ottanta, nell’area dell’Ocse, il livello medio del reddito del 10% più agiato della popolazione era 7:1 rispetto a quello del 10% più disagiato: tre decenni dopo era salito a 9:1, con aumenti particolarmente notevoli negli Stati Uniti e nel Regno Unito” (p. 118). Parallelamente torna ad aumentare anche la diseguaglianza dei patrimoni e la povertà si riaffaccia anche nei Paesi occidentali. Il Covid-19 contribuisce ad ampliare le differenze.

E’ giusto che la diseguaglianza e la povertà diminuiscano? Sì, risponde Ciocca. Per ragioni etiche, ma anche perché diseguaglianza e povertà minano lo sviluppo economico, come dimostrano anche alcune analisi econometriche. I poveri con i loro modesti consumi limitano l’espansione della domanda globale e tagliano le spese per l’istruzione. I ricchi per contro hanno meno stimoli a rischiare ed investire, perché stanno troppo bene. La produttività del sistema ristagna, come in effetti è avvenuto nelle economie occidentali negli ultimi venticinque anni.

Ecco quindi che, nella visione di Ciocca, keynesiano convinto, la crescita assume un rilievo centrale. “L’economia di mercato capitalistica si è affermata come ineguagliata macchina da crescita. Ma è affetta da limiti intrinseci, radicati, da negatività di grande momento: è iniqua, instabile, inquinante. Queste tre negatività sono generate dal modus operandi del sistema, connesse da legami reciproci con la sua dinamica” (pp. 130-131). Ma nonostante queste negatività siano create dalla crescita, è solo attraverso la crescita, secondo Ciocca, che possono essere superate. Come? Attraverso quelli che potremmo chiamare i “correttivi” della crescita.

Nel caso dell’instabilità, che può manifestarsi sotto forma di recessione o di inflazione, il correttivo è rappresentato dalle risorse accumulate dal sistema nei periodi di prosperità, il che consentirebbe di finanziare temporaneamente in deficit gli investimenti pubblici quando i privati non investono oppure di attingere al risparmio per finanziare gli investimenti privati quando il credito viene a costare caro per contenere l’aumento dei prezzi.

Nel caso della diseguaglianza e della povertà, la crescita dovrebbe consentire, secondo Ciocca, il miglioramento delle condizioni di tutti ed anche allentare le tensioni sociali, l’invidia dei meno abbienti verso i ricchi. “La crescita è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per superare la povertà come pure per rendere meno squilibrata la ripartizione delle risorse, “fra” i Paesi e “nei” Paesi” (p. 130). Contemporaneamente bisogna intervenire sulla distribuzione del reddito.

Qui Ciocca cita Atkinson, uno dei massimi studiosi della diseguaglianza, che ha proposto quindici misure per ridurre le disparità sociali, tra cui il perseguimento dell’obiettivo della piena occupazione, “relazioni industriali che non pregiudichino i salari, una progressività maggiore (con aliquote non superiori al 65%) su una più ampia base imponibile e una previdenza sociale rafforzata e integrata dal reddito di partecipazione” (p. 145).  L’obiettivo era, secondo Atkinson, di abbassare l’indice di Gini della Gran Bretagna da 0,32 a 0,29 e del tasso di povertà di tre punti percentuali. Di questo approccio, molto diverso da quello di un Piketty, Ciocca giustamente apprezza la completezza analitica, la concretezza e soprattutto la compatibilità con la crescita dell’economia. Ci sia però consentito di dubitare sul fatto che la crescita possa davvero avvantaggiare tutti, il famoso sgocciolamento o “trickle-down effect”, che è stato criticato anche da Stiglitz. L’alta marea non sempre solleva tutte le barche allo stesso modo.

In tema ambientale infine, “la crescita può abbattere l’inquinamento – che essa stessa provoca – attraverso la creazione delle risorse necessarie a riparare i danni che l’ambiente ha già subito e soprattutto a finanziare gli investimenti necessari per modificare fonti d’energia, tecnologia, produzione e consumi nelle direzioni che prevengono ulteriori danni nel futuro. (…) E’ stato stimato che occorrono circa 2 punti di Pil mondiale all’anno per ristabilire l’equilibrio ambientale nel volgere di poco meno di mezzo secolo. E’ allora cruciale che l’economia mondiale si sviluppi a ritmi annui superiori al 2%. L’economia mondiale nell’ultimo ventennio è tendenzialmente cresciuta oltre il 3% l’anno. Se questo ritmo flettesse, per fare spazio alla spesa per l’ambiente sarebbe giocoforza necessario intaccare consumi e investimenti, privati e pubblici” (p. 133).  A parte il fatto che i livelli di inquinamento e di crescita differiscono tantissimo tra i Paesi ed è impossibile pensare di creare un governo della Terra tale da gestire gli uni e gli altri per arrivare alla corrispondenza di cui sopra, si fa fatica a immaginare che serie e coerenti azioni in favore dell’ambiente non abbiano impatti significativi sia sui tassi di crescita sia sulla distribuzione del reddito. Ma a quale prezzo? Viaggiamo in terra incognita.

La verità è che tutti i Paesi si stanno muovendo molto lentamente sulla transizione ecologica e in maniera contraddittoria. Durante la Cop26 di Glasgow, Biden, da una parte, si impegnava a rispettare i faticosi accordi raggiunti e, dall’altra, chiedeva ai Paesi Opec di aumentare l’estrazione di petrolio per calmierare i prezzi. Resta il fatto che una vera transizione ecologica, se si farà veramente, non sarà una passeggiata né per le imprese, che in molti casi potrebbero trovarsi a dismettere impianti non ancora ammortizzati, né per i lavoratori, che potrebbero rimanere senza lavoro e alle prese con problemi di riconversione non indifferenti. C’è il rischio che la prossima partita tra profitti e salari non veda nessun vincitore.

Sabato, 11. Dicembre 2021
 

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