Cina, strategia per il sorpasso

E’ in vantaggio su Usa ed Europa per l’andamento della pandemia, ma ha anche fatto due passi di grande importanza. Il primo è il nuovo codice civile, l’altro i due accordi commerciali con i paesi del Pacifico e l’Ue, che mirano a rendere indipendente Pechino dagli americani, sostituendoli con partner europei e asiatici

La presidenza Biden si è aperta nel segno della prosecuzione del confronto con la Cina. Né c’era da attendersi diversamente. Troppo evidente è la sfida che la Cina ha lanciato agli Stati Uniti per la leadership economica e politica mondiale. Washington per ora sta marcando le differenze con Pechino soprattutto sul terreno politico, ergendosi a sostegno delle forze democratiche nel mondo, in particolare in Asia orientale – Birmania, Hong Kong, Taiwan. Con questi ultimi due paesi l’attrito con la Cina è evidente ed è da attendersi che anche in futuro gli Usa non faranno nulla per minimizzarlo. Sotto traccia continua però anche lo scontro sul terreno economico, dove sono avvenute recentemente importanti novità che riguardano la Cina.

La pandemia, scoppiata a Wuhan più di un anno fa ma resa nota all’Occidente con grave ritardo, ha per ora avvantaggiato Pechino rispetto a Stati Uniti ed Europa. Non solo il virus sembra non circolare più in Cina, mentre in quasi tutto il resto del mondo continua ad imperversare con le sue varianti. Ma anche l’economia segna punti a favore di Pechino, che ha chiuso il 2020 con una crescita del 2,3% a fronte di una contrazione del Pil del 3,4% negli Stati Uniti e del 7,2% nell’eurozona. Le previsioni del Fmi per il 2021 indicano una crescita dell’economia cinese dell’8,1%, contro il 5,1% degli Stati Uniti e il 4,2% della zona euro. Sulla base di questi andamenti importanti centri di previsione mondiali prevedono che il sorpasso dell’economia cinese rispetto a quella americana, in termini di Pil lordo, avverrà due anni prima del previsto, nel 2028 secondo Nomura e Cebr (Centre for Economics and Business Research), e nel 2030 secondo Euler Hermes.

Ma al di là della congiuntura è bene dare uno sguardo ai cambiamenti strutturali che stanno impattando sull’economia cinese. Recentemente sono avvenuti alcuni fatti significativi, il più importante dei quali è l’entrata in vigore dall’1 gennaio 2021 del nuovo Codice civile cinese (Cc). La stampa italiana non ne ha quasi parlato, ma l’approvazione di un nuovo Cc è sempre una cosa importante nella vita di una nazione e lo è ancor di più in un Paese come la Cina, che aveva già tentato per cinque volte dagli anni cinquanta di darsi un codice completo, senza però riuscirci a causa dei molti cambiamenti di marcia avvenuti. Fino ad ora vi sono stati leggi e statuti separati, che disciplinano i singoli aspetti della vita pratica, ma mancava una visione d’insieme. E’ anche importante sottolineare che i cinesi per emanare il codice hanno studiato a fondo il diritto romano, rifiutando l’approccio anglosassone della Common Law.

L’art. 1 del nuovo codice stabilisce che il Cc è emanato in conformità con la Costituzione per stabilizzare i rapporti giuridici e garantire la certezza del diritto. In altre parole, il nuovo Cc, nel regolare i rapporti fra privati, riafferma contemporaneamente la via cinese al comunismo. E’ un messaggio di sicurezza e di equilibrio, e quindi di forza, quello che la Cina lancia all’interno e all’esterno. All’interno, riaffermando la volontà di tenere a bada sia la corruzione dei funzionari pubblici sia gli interessi speculativi e i tentativi di concentrazione monopolistica degli imprenditori privati. E all’esterno, sia incoraggiando, grazie a un quadro giuridico ben regolamentato, l’afflusso di nuovi capitali stranieri sia dimostrando la “resilienza” del modello cinese nei confronti delle democrazie capitalistiche in preda a convulsioni interne che ne minano le fondamenta.

Il Codice tutela la proprietà privata e garantisce il valore e l’applicazione dei contratti. A parole sancisce anche il rispetto dei diritti umani, senza però andare oltre un’affermazione di principio. Chiaramente – questa è l’altra faccia della medaglia – non è dal Cc né dal contesto in cui viene la sua entrata in vigore (gli uiguri, il pugno di ferro su Hong Kong e sui dissidenti interni) che si possono intravvedere spiragli di democrazia. Ma si sa che la democrazia non interessa proprio a Pechino, che negli ultimi tempi ha riaffermato invece la centralità del partito e del governo.

In quest’ottica va sottolineato il potere crescente assunto da due anni a questa parte dall’Amministrazione di Stato per la Regolazione del Mercato, che nel 2020 ha emanato importanti linee guida in materia di antitrust, disciplina della concorrenza, proprietà intellettuale, commercio online, brevetti, farmaci, sicurezza alimentare. Questa gigantesca Authority in realtà ha messo il naso soprattutto sui tentativi di addebiti illegali, concorrenza sleale, tentativi di creare strutture monopolistiche, violazione dei diritti di proprietà dei marchi, abusi di mercato. Tutti fenomeni aumentati pericolosamente con la straordinaria crescita dell’economia cinese. La stretta sui colossi dei servizi tecnologici e del commercio online - come Alibaba, Tencent, Meituan e Pinduoduo - iniziata lo scorso ottobre e la caduta in disgrazia di Jack Ma, fondatore di Alibaba e di un suo impero finanziario, che aveva osato attaccare l’eccessiva regolazione imposta dalle autorità, sono emblematici del nuovo corso che Xi Jinping intende imprimere all’economia cinese. Un corso che vede la riaffermazione della supremazia del partito comunista e del controllo dello Stato sull’economia cinese. In questa direzione va una direttiva emanata a settembre dall’Ufficio centrale del partito, volta a rafforzare il ruolo guida dei comitati di partito nei confronti dell’economia privata.

E’ chiaro che queste iniziative sono dettate dall’intento di scongiurare la crescita di qualunque fonte di potere alternativo a quello del partito, che Xi Jinping controlla in maniera ferrea. Si tratta ora di capire quanto stringente sarà il pugno del partito su un’economia che, per vincere la sfida globale con gli Stati Uniti, si deve digitalizzare sempre più e lo deve fare in maniera autonoma. Sostituire con produzioni e servizi interni la dipendenza tecnologica dagli americani non è un affare di poco conto né un processo che la politica può controllare facilmente. La sfida di Xi Jinping è quella di dotare la Cina di una forza tecnologica pari, se non superiore, a quella americana senza cedere il potere politico alle forze produttive private emergenti.

All’interno di questa strategia rientra l’accordo sugli investimenti, raggiunto proprio alla fine del 2020, dalla Cina con l’Unione europea. Il Comprehensive Agreement on Investment (Cai) segue di neanche due mesi il Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep), l’accordo di libero scambio, che la Cina ha annunciato all’indomani dell’elezione di Biden con quattordici paesi del Pacifico, tra cui Giappone, Corea del Sud, Vietnam, Cambogia, Tailandia, Malesia, Singapore, Indonesia, Australia.Entrambi gli accordi mirano a rendere indipendente Pechino dagli americani, sostituendoli con partner europei e asiatici.

Il Cai, che non è stato ancora reso noto e dovrà essere sottoposto all’approvazione del Consiglio e del Parlamento europeo, ha richiesto sette anni di trattive e si pone l’obiettivo di definire una nuova cornice normativa per gli investimenti europei in Cina e cinesi in Europa, migliorando le reciproche condizioni di accesso ai rispettivi mercati. Il trattato dovrebbe consentire alle imprese europee di operare con maggiore facilità sul mercato cinese. La Cina si impegna ad adottare regole improntate a maggiore correttezza in materia di lavoro, ad assicurare la sostenibilità sia ambientale sia sociale agli investimenti, a regolamentare gli aiuti di Stato alle aziende cinesi e a rinunciare al trasferimento forzato di tecnologie, che finora avveniva attraverso la costituzione di joint ventures tra imprese europee e partner cinesi. E’ un accordo - giunto alla fine del semestre di presidenza tedesca del Consiglio Ue e fortemente voluto da Angela Merkel - che favorirà soprattutto le aziende tedesche, accrescendo il loro radicamento sul territorio cinese. Un accordo tipicamente commerciale, in stile tedesco, che non tocca minimamente l’aspetto dei diritti umani. Vi sono inoltre perplessità sull’effettivo rispetto dell’accordo da parte dei cinesi, che in passato si sono dimostrati sempre molto abili a perseguire i propri interessi. Modifiche potrebbero però avvenire in sede di approvazione definitiva, tenendo anche conto della reazione americana. Sarà questo infatti un importante banco di prova su cui si misureranno i nuovi rapporti tra Biden e l’Europa.

Lunedì, 22. Febbraio 2021
 

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