Caro Herman ti scrivo così vi distraggo un po’

La lettera d’intenti a Bruxelles, raffazzonata freneticamente da diverse mani, è un elenco di provvedimenti in parte inutili, in parte dannosi, in parte improbabili. Del tutto assenti, invece, quelli che sarebbero davvero necessari, come la lotta all’evasione e la liberalizzazione delle professioni

Per esprimere correttamente un giudizio sulla lettera di intenti italiana approvata dal Consiglio dei capi di Stato e di governo, con alcune riserve ed attraverso vicende sulle quali è opportuno, per amor di patria, stendere un velo pietoso (sessanta giorni e due Consigli dei ministri trascorsi invano, ritocchi frenetici nel cuore della notte, calendari imposti dall'estero con precisione teutonica e via dicendo) occorrerà esaminare i provvedimenti legislativi nella loro specificità e nei loro tempi di attuazione. Ad esempio, nello zibaldone vi sono modifiche costituzionali che certamente saranno sottoposte a referendum (altro che giugno 2012!?). Tuttavia una prima analisi si può fare, premettendo però due osservazioni sulle quali l'opinione pubblica, frastornata dagli applausi frenetici dei compagnucci della Parrocchietta per lo scampato pericolo, non si è soffermata.

 

In primo luogo, la lettera di cui parliamo non e' un documento ufficiale. L'Italia non è una repubblica presidenziale. Il presidente del Consiglio agisce su mandato del Parlamento o, al limite, del solo Consiglio dei ministri, riservandosi di ottenere l'approvazione parlamentare in seconda battuta. Questo non è il caso. Si tratta dunque di una lettera privata di un sia pur autorevole membro di governo: nella Costituzione Italiana il presidente del Consiglio è un primus inter pares e, infatti, quale documento ufficiale comincia con un "Caro Herman...." e si conclude con "un forte abbraccio. Silvio"? Sui motivi dell'accettazione apparentemente convinta di questa lettera da parte del Consiglio non è necessario spendere molte parole: basta considerare l'importanza del diritto di veto che ancora attualmente condiziona decisioni di primo piano, come quella sul Fondo salva-Stati. Attenzione, però: è una pistola a un colpo solo che ormai è stato sparato.

 

Il secondo punto consiste nell'accettazione acritica, anche da sinistra, del frusto ritornello secondo cui "il governo però.... ha tenuto i conti in ordine", "nonostante il peso del debito pubblico che abbiamo ereditato da precedenti governi".

    

Nessuna delle due affermazioni è vera. Nell'ampio arco, ormai quasi decennale di governo del centrodestra, il rapporto debito/Pil è aumentato di almeno 15 punti. Del resto, se si pensa che per anni il deficit si è aggirato intorno al 3-4% e che ogni anno il disavanzo dell'anno precedente tende a trasformarsi in debito pubblico, il calcolo è di un'evidenza palmare. Solo il rimpianto governo Prodi lo aveva drasticamente ridotto. Ma quel che è più importante è che le percentuali sono applicate al Pil nominale, che nel tempo cresce per effetto di uno sviluppo sia pur moderato e dell'inflazione: con il calo, però, di un biennio di crisi conclamata. Pertanto in cifre assolute nel decennio il debito pubblico risulta di quasi 40% superiore a quello del 2001, e cioè non molto meno della metà. Indovinate ora qual è il precedente governo da cui buona parte del debito è stato ereditato e chi abbia tenuto poco dritta la barra con cui è stata pilotata la nave pubblica nei marosi della finanza?

 

Veniamo ora ad alcuni singoli punti della letterina, poco coordinati fra loro: risentono l'intreccio delle molte mani che l'hanno frettolosamente raffazzonata in una notte di tregenda.

    

Si è osservato che le pensioni di anzianità non sono state toccate. Ciò ha favorito una milionata di probabili lavoratori in nero, forse diventati padroncini, per lo più nei capannoni padani i quali, dopo aver intaccato la finanza pubblica con la pensione anticipata, la erodono ulteriormente con evasione fiscale e contributiva. Purtroppo questa è la condizione di sopravvivenza di una miriade di microimprese che per la perdurante assenza di qualunque politica industriale tirano il fiato (corto) solo grazie a lavoro nero ed evasione.

    

Le norme sul mercato del lavoro, che hanno suscitato la levata di scudi dei sindacati, sembrano un osso gettato nelle fauci della Confindustria, in assenza di un piano organico che possa coniugare la flessibilità aziendale e il diritto al lavoro degli occupati. Si è voluta praticare una captatio benevolentiae unidirezionale, con quel modo strambo di governare tra pranzi, cene, riunione notturne in case private, triangolazioni affannose con Quirinale e Bruxelles che danno la misura della incapacità tecnico-organizzativa della classe dirigente. Eppure le proposte in questo campo erano molte e dettagliate, provenienti in parte anche da autorevoli esponenti dell'opposizione. Con la quale, peraltro, è mancata qualunque informativa, condizionandone così il probabile comportamento in sede di dibattito parlamentare. In questo bailamme il ruolo del ministro dell'Economia è apparso quello della statua del Commendatore all'ultima cena di Don Giovanni.

 

Vi sono belle perle nella collana, a parte le riforme costituzionali che non potranno essere ipoteticamente approvate prima del 2013. Ne segnaliamo alcune.

 

Credito d'imposta per nuove imprese, in particolar modo per l'imprenditoria giovanile nel Mezzogiorno; ottimo provvedimento se non fosse per il fatto che le nuove imprese non fanno profitti normalmente per i primi 3 o 4 anni, quindi il vantaggio è nullo. Erano meglio, dunque, se correttamente applicati, gli incentivi e contributi delle manovre democristiane (ma non erano a costo zero). Non vorremmo, poi, che sotto mentite spoglie le imprese madri figliassero nuove aziende per trasferire, grazie alle provvidenziali normative sul falso in bilancio, sgravi fiscali magari al Nord.

 

La vendita delle unità immobiliari è stata tentata per anni; è fallita con una perdita secca delle famose Scip (che erano addirittura di diritto olandese). Dovrebbero includere anche edifici di demanio pubblico che con grande clamore sono stati trasferiti da poco alle economie locali e ci si propone di imporre anche modifiche dei piani regolatori. Con tanti saluti al federalismo demaniale ed al potere decisionale di Comuni, Province e Regioni. Comunque o gli assets pubblici sono redditizi ed allora cedendoli si rinuncia alle entrate future; o non lo sono ed allora vengono svendute con aste a perdere. Proprio quello che i saccenti dei giornali di destra rimproverano a precedenti governi.

    

Sulla privatizzazione delle municipalizzate grava l'onere dei risultati dei referendum con la prevedibile conseguenza di un estenuante contenzioso.

    

Un'altra trovata del gruppo di buontemponi che ha redatto la lettera al caro Herman è quella della creazione di zone "a burocrazia zero". L'esempio storico più illustre è quello dell'isola di Tortuga. Se e quando venissero attuate attirerebbero come mosche sul miele uno sciame di avventurieri a petto dei quali Lavitola sembrerebbe un gentiluomo inglese in bombetta e stiffelius.

 

Mancano, e ciò deriva anche da quel modello di sviluppo che si rispecchia nell'impostazione economica dell'asse franco-tedesco, le misure atte a riequilibrare l'anomala concentrazione dei redditi che costituisce al tempo stesso la vergogna morale e la barriera alla crescita di questo Paese. Ad esempio: la patrimoniale, il ripristino dell'Ici sulle abitazioni di lusso e l'aumento di quella sulle seconde case, una drastica revisione dei canoni di concessione delle spiagge ed anche delle reti televisive (altro che beauty contest!). Nessun cenno alla lotta all'evasione fiscale, all'elusione ed alla corruzione. Eppure il costo di quest'ultima è stimato dalla Corte dei Conti in 70 miliardi l'anno (per una singolare magia dei numeri, la cifra è vicina alla crescita nominale del debito pubblico in alcuni anni). Le somme così recuperate se spese per detassare redditi da lavoro dipendente e pensioni, per ridurre la pressione fiscale sulle imprese e per favorire gli investimenti avrebbero avuto un notevole effetto leva. E' anche probabile che un grosso contributo alla corruzione sia legato al falso federalismo sinora attuato con alternanza di centralismo nei tagli orizzontali e legami inconfessabili tra classi politiche locali e poteri forti. Un grimaldello per la creazione di fondi neri è stato la più volte ricordata defiscalizzazione del falso in bilancio. Le nuove tecnologie invece conferirebbero opportunità notevoli, ad esempio imponendo bandi telematici estesi a tutti gli appalti per investimenti e per acquisti, anche di piccolo importo. Qualche passo in questa direzione si sta facendo con le Centrali acquisti.

 

Per quanto concerne le liberalizzazioni fanno capolino (ancora una volta: sono stati aperti tanti tavoli da riempire la mostra di un mobilificio) le pompe di benzina, ma non gli avvocati, i notai, i commercialisti, i farmacisti. Unico punto significativo, la liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi: un regalo ai centri commerciali per distruggere una volta per tutte gli esercizi di prossimità sui quali contano le persone anziane e meno abbienti. Sulle liberalizzazioni degli ordini professionali solo chiacchiere: è pronto in aula, ed ha già sparato, qualche mese fa, il plotone d'esecuzione degli avvocati del Pdl. Dalla reggia di Arcore, del resto, queste problematiche appaiono lontane.

 

Un governo più autorevole avrebbe almeno trattato sulle raccomandazioni della Ue, che risentono della visione liberista della Commissione (l'usato degli anni '80, secondo Bersani) con la sua malriposta fiducia nelle virtù dell'autoregolamentazione del mercato. Come se la crisi mondiale fosse frutto di un destino "cinico e baro" e non del modello di sviluppo ultraventennale attuato in molti Paesi. Ad esempio, per quanto concerne la controversia sull'art. 18 ci limitiamo ad osservare che un idraulico sarebbe stupefatto se gli dicessero che per aumentare il volume di un serbatoio basta praticare un grosso buco per l'uscita dell'acqua.

    

Ad un giudizio complessivo il documento - o presunto tale - non va esente da quella involontaria ma irrefrenabile vocazione alla comicità più volte rilevata in questa classe politica, rafforzata dalle dichiarazioni illustrative dei principali scudieri. Si tratta, però, di una comicità da clown triste che meriterebbe di essere accompagnata dalle note di una famosa musica di un film di Fellini.

Lunedì, 31. Ottobre 2011
 

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