Il conferimento del premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan ha suscitato reazioni e polemiche: da una parte i sostenitori, che attendevano il riconoscimento da dieci anni, dallaltra i contrari, che non hanno digerito la contaminazione delle belle lettere con la canzone popolare. Ma non è la prima volta che il menestrello di Duluth è al centro delle polemiche. Anzi, tutta la sua vita lo è sempre stata. La sua avventura musicale e politica cominciò quando nel dicembre 1960, imberbe sconosciuto proveniente dal Minnesota, irruppe sulla scena del Greenwich a New York, dominata dagli esponenti della beat generation (Ginsberg, Kerouac, Ferlinghetti, Burroughs, Corso), imponendo nel giro di un paio danni la sua fresca personalità. Allalba dei sixties era giunto ormai il momento di sdoganare la canzone di protesta americana (da Woody Guthrie in giù), di farla uscire dagli angusti circuiti in cui era rinchiusa, perché diventasse il veicolo propagatore delle rivendicazioni delle nuove generazioni. Cosa che lui fece, intonando Blowin in the Wind, Masters of War, The Times They Are a-Changin e molte altre canzoni indimenticabili. Sembrava che una nuova era dovesse cominciare. Era quella lAmerica dei Kennedy, delle politiche keynesiane, del welfare sempre più avanzato, ma anche di Luther King, delle marce per i diritti civili, della protesta contro la bomba e contro la guerra del Vietnam. Si era formato un ampio movimento giovanile, che avrebbe voluto incoronare proprio lui, il cantastorie venuto dalla provincia americana, come sua guida morale e politica. Ma il profeta rifiutò, perché si sentiva soprattutto un musicista e voleva essere semplicemente se stesso. Dylan era solo allinizio di una lunga storia, che sarà costellata da una produzione sconfinata di racconti musicali incredibili e versi bellissimi, che lavrebbero condotto fino al Nobel. Una storia tuttaltro che finita, che ci riserverà ancora chissà quali sorprese.
La verità è che ognuno ha sempre cercato di tirare Dylan dalla propria parte, di vedere in lui non quello che era, ma quello che si voleva che fosse. Il grande merito del cantastorie di Duluth è invece stato proprio quello di seguire la sua vera natura, di cambiare restando se stesso. Anche lui però in qualche modo è incorso in involontaria contraddizione. Perché, se il suo desiderio almeno da un certo momento in poi - era quello di essere lasciato in pace, non cè riuscito. Inevitabilmente la sua strada è finita per inciampare in quella della gente, toccando le corde più profonde dei suoi ascoltatori, provocando, suscitando sogni e immaginazioni.
Il Bob Dylan artista si è sempre sovrapposto al Bob Dylan politico, al Bob Dylan sociale, al Bob Dylan visionario, che guarda avanti, ai nuovi cambiamenti della società, mentre tutti gli altri si crogiolano nel presente. E comunque, anche se lui probabilmente non si è mai sentito tale, Bob Dylan rimane oggettivamente il profeta di una generazione capace di scuotere dalle fondamenta il potere, senza però mai scalfirlo veramente. Perché il potere aveva trovato immediatamente lantidoto alla protesta, riassorbendola attraverso il consumismo. Le voci della rabbia e dellinsoddisfazione venivano trasformate in dischi da vendere, e così da un lato si asservivano gli interpreti della protesta, dallaltro si ammansivano i protestatari. E soprattutto il consumismo cresceva e si moltiplicava. Forse è anche per questo che Dylan si è rifiutato, dopo appena tre album, di fare il capo banda. Probabilmente aveva capito. E possiamo dirlo con tranquillità non si è mai venduto, non si è mai inginocchiato davanti al potere.
Ma inevitabilmente il sogno dapprima si è incrinato, poi si è spezzato. LAmerica della nuova frontiera kennediana alla fine degli anni 60 non cera già più. La grande tre giorni di amore e pace di Woodstock (1969), al quale il nostro non partecipò, segnerà lalfa e lomega del movimento giovanile americano. Finita lepoca della controcultura dei sixties, per un periodo durato circa un decennio - quello degli anni 70 - il movimento sembrò cercare nuove strade, attraverso la fuga dalle città, il ritorno alla natura, anche qui sotto limpulso innovatore di Dylan e di altri musicisti che nel 67-68 avevano gettato le basi per una nuova fusion musicale: il country-rock, che trionferà nella prima metà dei seventies. Era comunque lammissione di una sconfitta, condita dalle tante vite senza ritorno per colpa della droga. Poi nel 79 la Thatcher sale al potere in Inghilterra, nel 1981 Reagan diventa presidente degli Stati Uniti: il vento comincia a spirare da unaltra parte fino a investire lintera Europa sotto la guida del monetarismo tedesco. Idiot wind, come recita il titolo di una ballata dylaniana! Da allora scatta la controffensiva liberista e conservatrice, comincia la globalizzazione su vasta scala, di cui lo stesso Dylan parlerà in una canzone del 1983 (tra le meno note, Union Sundown) con versi lapidari: La democrazia non governa il mondo/ Meglio che te lo ficchi in testa/ Il mondo lo governa la violenza/ Ma parlarne forse guasta.
Dopo ancora a partire dagli anni 90 e nel nuovo secolo - arriverà il diluvio, quasi come la dura pioggia di cui Bob parlava nel 63 riferendosi alla guerra nucleare, con larretramento dei diritti faticosamente conquistati negli anni 60 e 70, la precarietà e linsicurezza del lavoro, i continui passi indietro del welfare, laumento delle disuguaglianze, il ritorno della povertà nei paesi avanzati. La generazione che negli anni 60 aveva sognato un mondo migliore subirà lumiliazione di vedere i propri figli soccombere nella ricerca di un posto di lavoro dignitoso.
Dietro la sua maschera apparentemente inespressiva e al limite della scortesia (come quando nei concerti non rivolge parola al pubblico), Dylan continuerà a guardare con disincanto allinvoluzione sociale del mondo globalizzato. Ma pur sempre regalando agli sconfitti la consolazione della poesia, come nella splendida Workingmans blues del 2006. Anche grazie a lui, almeno il cielo della poesia nessuno ce lo potrà mai togliere.
C'è una nebbia notturna che cala sulla città
la luce stellare si specchia nel fiume
il potere d'acquisto del proletariato è andato giù
il denaro sta diventando più superficiale e debole
beh il luogo che amo è un dolce ricordo
è un nuovo sentiero che abbiamo percorso
dicono che i salari bassi sono una realtà
se vogliamo competere con l'estero
le mie armi crudeli sono state messe sulla mensola
vieni, siediti sulle mie ginocchia
mi sei più cara di me stesso
come puoi vedere da te
mentre sento le rotaie d'acciaio vibrare
ho gli occhi serrati
me ne sto seduto qui,
cercando di mantenere la fame
dall'espandersi nello stomaco
incontriamoci lì in fondo, non restare indietro
portami i miei stivali e le mie scarpe
puoi esitare o combattere nel miglior modo possibile sulla linea del fronte
cantando un po di questo blues del lavoratore.