Auto, un nuovo scenario in cui Fiat può risorgere

Secondo alcune analisi con lo sviluppo di Cina e India sta per cambiare tutto e il futuro non sarebbe più dei mega-gruppi. Oggi la GM è quella che sta peggio (e se avesse comprato Fiat?...)
Il nuovo corso impresso alla Fiat dal consolidamento in corso dell’alleanza tra famiglia Agnelli e consorzio di banche, con l’acquisizione di un solido controllo sull’azionariato Fiat (vedi il precedente articolo), sollecita una riflessione sul riposizionamento della Fiat nel mercato mondiale dell’automobile, nel quale Fiat oggi, pur rientrando nel gruppo di testa della struttura oligopolistica, costituisce uno degli anelli deboli, sia perché la sua quota di mercato è dell’1%, sia perché si colloca all’ultimo posto quanto a redditività dell’investimento.
 
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare di un settore quale quello dell’auto, molto concentrato e di ampie dimensioni operative (le aziende che contano stanno nelle prime decine tra i maggiori gruppi imprenditoriali del mondo), la conduzione familiare ha un peso notevole all’interno dei primi dieci gruppi che coprono gran parte del mercato mondiale.
 
Le dieci aziende maggiori sono nell’ordine (tra parentesi la produzione annua in milioni di auto: General Motors (14), Ford (8), Toyota (6), Daimler Crysler (5), Renault/Nissan (5), Volkswagen (5), Peugeot Citroen (4), Honda (4), BMW (2), Fiat (2). Quanto a redditività, nel 2004 BMW è la seconda per margine operativo, dopo la Toyota, la PSA è al sesto posto, alla pari con Daimler/Chrysler, la Volkswagen è al settimo posto, davanti a Ford e General Motors (ed alla Fiat, ultima in graduatoria e con un risultato operativo negativo, peraltro passato al positivo nel corso del 2005).
 
Fra queste, tre aziende a conduzione famigliare sono  europee: PSA (Peugeot/Citroen), BMW e Fiat, che nell’insieme controllano una quota rilevante del mercato europeo. E a queste potrebbe aggiungersi la Volkswagen, che attualmente vede una significativa presenza pubblica. Infatti, l’azionista di riferimento (con una quota del 18,6%, ma con la titolarità della golden share, senza il consenso della quale nulla di rilevante si decide) è oggi il governo regionale della Bassa Sassonia. Ma la situazione potrebbe mutare in direzione di una conduzione più familiare.
 
Si sta, infatti, facendo avanti la famiglia Porsche Piech (proprietaria della Porsche, azienda piccola ma attualmente ad alta redditività) che assumerebbe il ruolo di azionista di riferimento. L’operazione dovrebbe servire a consolidare la natura nazionale della grande impresa tedesca, mettendola al riparo dalle critiche nei confronti della presenza pubblica e soprattutto da scalate di carattere internazionale. Tra l’altro un  Porsche è stato all’origine dello sviluppo della Volkswagen come inventore del famoso maggiolino e un Piech è stato a lungo al vertice di Volkswagen. Per completare il quadro europeo ricordiamo che la Renault è stata privatizzata solo pochi anni fa dal governo francese che, tuttavia, mantiene una partecipazione dell’ordine del 15 per cento, e che da alcuni anni è in piena espansione, supportata anche dall’acquisizione graduale del produttore giapponese Nissan.
 
Rispetto a questo andamento mediamente positivo dei produttori intermedi, la performance di alcune delle imprese maggiori – General Motors, Ford, Daimler/Chrysler – è molto meno brillante, sia in termini di redditività, sia in termini di dinamica delle vendite, sia in termini di quotazioni in Borsa delle azioni. Fanno eccezioni tra i maggiori le due imprese giapponesi rimaste autonome: la Toyota esprime il massimo di redditività ed appare destinata nell’arco di cinque anni ad avvicinare la quota di testa del mercato mondiale oggi detenuta da General Motors; la Honda segue a distanza, sia come redditività, sia come dinamica di mercato.
 
La ragione principale di questi magri andamenti di alcune fra le imprese maggiori è la cronica sovraccapacità di produzione, che affligge il settore e che si confronta con una scarsa dinamica della domanda. Nel contempo,  le due grandi imprese familiari europee - PSA e BMW - vanno alla grande, mentre i Porsche Piech si apprestano ad acquisire il controllo di Volkswagen. In questo quadro gli Agnelli tornano a impegnarsi nella Fiat. E’ nell’insieme un mercato molto dinamico, contrariamente alle vecchie ipotesi di un prodotto ormai maturo, e destinato a registrare importanti novità, sia in direzione di perdita di posizioni di imprese dominanti - addirittura ricorrono voci di scalata alla General Motors, che dopo la Fiat è quella che tra le majors sta peggio – sia di nuovi entranti.
 
La ragione sembra consistere in una previsione di svolta nel mercato dell’auto, che potrebbe essere condizionato dal risveglio delle due grandi nazioni-continente asiatiche, Cina, ma anche India. Studi ripresi e giudicati favorevolmente dall’Economist prevedono che, in tempi non definiti ma non lunghi, la domanda consenta un raddoppio della attuale produzione di automobili ed autocarri leggeri, oltre il livello di 100 milioni di auto/anno. In tale contesto, con l’affacciarsi di nuovi paesi, e quindi anche di nuovi produttori, l’assetto assai concentrato del mercato dell’automobile tenderebbe ad articolarsi maggiormente: al decennio ’90, quello delle fusioni ed acquisizioni, succederebbe un’epoca di entrata di nuovi produttori, di cui è promessa la presentazione all’esportazione quest’anno di automobili prodotte in Cina, per ora da una dozzina di aziende che nel tempo si consolideranno in un numero assai ridotto.
 
Il quadro generale che si va conformando appare molto più adatto a medi gruppi industriali piuttosto che a pochi grandi e ingombranti interlocutori, i quali poi in realtà devono articolarsi concretamente in marchi specifici e gestiti separatamente: i tre gruppi di origine americana gestiscono oggi 31 marchi diversificati, mentre gli altri sette maggiori, che nell’insieme hanno una quota del mercato mondiale simile, ne gestiscono 27. Nel complesso una sessantina di marchi, in gran parte derivanti da acquisizioni e fusioni non digerite, complicano il quadro gestionale e creano spazio per una presenza ad armi pari di aziende di dimensioni compatibili con un controllo nell’ambito delle tradizionali famiglie, le più persistenti tra quelle che hanno fatto i 100 anni di storia dell’automobile.
 
In un contesto di prospettiva, quale quello qui riassunto brevemente, la nuova linea adottata dalla Fiat – solido controllo dell’azionariato, mantenimento dell’autonomia, accordi di collaborazione con altri produttori – potrebbe acquistare la caratteristica di una strategia adatta alle nuove condizioni di mercato che si vanno affermando.
 
C’è da aggiungere che né Renault, né Volkswagen, né (in termini diversi) Fiat sarebbero sopravissute alla sfida della globalizzazione senza una parallela strategia di difesa a livello nazionale, e talvolta con l’esplicito intervento della mano pubblica. Queste strategie sono state chiaramente ispirate a una linea di difesa flessibile del tessuto produttivo nazionale, che, se attuata con l’intelligenza e la misura che non si sono viste nelle recenti scalate bancarie italiane, confermano come si possa concepire un ruolo dell’intervento pubblico nell’economia legittimo e privo di aspetti distorcenti del mercato, che deve tuttavia trovare l’appoggio di gruppi proprietari privati – familiari o istituzionali – solidi e credibili, consentendo di porre le grandi aziende che costituiscono i pilastri di una solida struttura produttiva al riparo da scalate ostili di raider-speculatori, sempre in  agguato ed attente a insinuarsi nelle pieghe deboli del sistema.
 
Nel campo dell’auto sono di queste settimane le indiscrezioni su scalate speculative a danno del maggiore operatore, che è oggi è anche il maggiore “malato” del settore, General Motors, tipicamente privo di un forte gruppo di controllo, un poco come era Montedison prima di esser vittima della scalata del raider Gardini, a conclusione del cui passaggio restarono di una grande azienda solo ceneri fumanti.
 
Se è passato il tempo delle imprese pubbliche, non è certo passato quello del ruolo equilibratore del potere pubblico nei confronti di quelli che si sogliono definire “i fallimenti del mercato” o, più modestamente, le crepe nel sistema, che se non si sanano in tempo determinano crolli irrimediabili. E’ questo il tipo di vigilanza, che oltre che alle istituzioni a ciò deputate (che spesso vedono le crepe poco e in ritardo), spetterebbe a un mondo politico che vorremmo meglio avvertito delle connessioni tra teoria economica e percorsi aziendali, meno largo di dichiarazioni di principio e più incline a un silenzioso marcamento delle situazioni di crisi., più pronto ad opporsi a scalate speculative, ma anche più capace di approvare senza esitazioni l’operazione di rinsaldamento del nucleo di comando del gruppo Fiat.
 
E’ ciò soprattutto nel confronto con le possibili alternative: lo scongiurato  passaggio del nucleo auto della Fiat a una General Motors in crisi che avrebbe ridimensionato pesantemente il settore auto in Italia o la parcellizzazione di quello che è ancora uno dei maggiori gruppi industriali italiani in piccole zattere alla deriva con alla testa piccoli timonieri.
Sabato, 15. Ottobre 2005
 

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