E alla fine l'Ifil 'scala' la Fiat

Gli Agnelli, o meglio la finanziaria a cui fanno capo le azioni di una famiglia molto allargata, restano azionisti di riferimento, posizione che avrebbero perduto dopo la conversione delle azioni delle banche, investendo 550 milioni di euro. L'impegno è un buon segnale di cui c'era bisogno: i conti sono migliorati, ma l'auto perde ancora e resta in bilico
A tre mesi dall’assemblea annuale, nella quale poco era stato detto sui risultati dettagliati della gestione nel 2004 e nulla sulle prospettive strategiche – vedi l'articolo in proposito - la Fiat chiude il gap di informazioni e, ciò che è più importante, annuncia risultati di gestione meno negativi per il primo semestre del 2005 ed una strategia per il futuro accompagnata da decisioni storiche concernenti l’assetto di gruppo.
 
A conclusione di tre mesi di intensa attività di progettazione operativa e strategica e di un turbinoso giro di contatti interni ed esterni alla famiglia Agnelli, il nuovo corso è stato annunciato nella riunione del consiglio di amministrazione del Lingotto del 15 settembre, ripreso dalla stampa, e prima di tutto dall’"house organ", il Corriere delle Sera, con grande rilievo ed un significativo titolo a tutta pagina (tuttavia non nella prima pagina, ma nell’inserto economia): “La famiglia Agnelli punta sulla Fiat, resterà al 30%”.
 
Infatti, in seguito al processo di consolidamento dei finanziamenti del pool di banche in azionariato della Fiat, la famiglia Agnelli si sarebbe trovata a detenere una quota – il 22% - inferiore a quella del consorzio bancario – 26,7%. Inoltre la quota delle banche azioniste sommata a quella “diluita” della famiglia Agnelli, si sarebbe collocata al livello complessivo del 48,7%, qualche punto al di sotto della quota di sicurezza del 50% più un’azione e la famiglia Agnelli si sarebbe trovata non più nella posizione del maggiore azionista - quantomeno, se non padrone “azionista di riferimento” - con sullo sfondo comunque la certezza che se non oggi, domani, le banche, per loro stessa natura, saranno portate a trasferire gradualmente alla propria clientela le azioni Fiat acquisite.  
 
La famiglia Agnelli, si legge poi nei riquadri esplicativi ben dettagliati, ha deciso, con una deliberazione assunta il giorno precedente dalla finanziaria Ifil, di investire altri 550 milioni di euro, oltre alle ripetute iniezioni di liquidità effettuate nel corso di questi anni di crisi, per riportare la quota di azionariato della famiglia al 30,06%, che, aggiunto al 26,70% detenuto dal pool di banche, porta il livello di controllo della Fiat alla quota di sicurezza pari al 56,76%.una quota significativamente più alta di quanto strettamente necessario a mantenerne la maggioranza azionaria. Quota prudenziale non inutile, se si confronta quel 6,76% che va oltre la metà delle azioni con due componenti della nuova compagine di controllo del gruppo:
 
- il 26, 7% è detenuto sì dal pool di banche, ma è tuttavia ripartito tra Banca Intesa (5,7%), Unicredit (5,5%), Sanpaolo (3,5%), Bnl (2,6%), Monte dei Paschi (2,6%), Abn Amro (1,3%) e Bnp (1,3%). Nessuno di questi istituti avrà una quota superiore al margine del 6,76%
 
- il 30,06% è detenuto da quella che si vuole ancora chiamare la famiglia Agnelli, ma che è in realtà una famiglia molto allargata ed articolata, che nel corso di questi anni ha dimostrato non poche differenze di valutazione. Anche qui il margine del 6,76% mette la Fiat al riparo da singoli ripensamenti.
 
Ciò ha molta importanza alla luce di quanto riportato dallo stesso Corriere della sera il giorno successivo, mediante un’altra pagina intera dedicata essenzialmente ad un’intervista a caldo con i due artefici dell’operazione, John Elkann, esponente di punta della famiglia Agnelli e Gianluigi Gabetti (presidente ed amministratore delegato dell’IFIL, che hanno operato in stretto contatto con il presidente Luca di Montezemolo e l’amministratore delegato Sergio Marchionne. Anche il titolo di questa pagina è significativo: “La Fiat rischiava di essere scalata”.
 
Da chi, ci si domanda? E  la risposta viene (forse?) ancora dal Corriere della Sera, nel giorno successivo, sempre con una pagina intera, che ha un titolo ovvio – "Gli Agnelli: risalire in Fiat, occasione irripetibile" – ma è completato al fianco dell’articolo da una colonnina di ritratti, titolata “I personaggi”, nella quale compaiono tre volti: Roberto Colaninno, che nel 2003 aveva presentato un piano di acquisizione e rilancio della Fiat, Carlo De Benedetti, storico avversario degli Agnelli, che nell’estate era stato protagonista di una criticata e poi disdetta intesa con Berlusconi concernente una finanziaria di salvataggio di aziende non meglio precisate, Giuseppe Morchio, ex amministratore delegato della Fiat nel primo periodo della crisi, apparentemente allontanatosi dalla Fiat dopo aver chiesto di diventarne azionista ed aver incassato un no. Né si possono dimenticare le voci estive di una scalata in corso allo stesso Corriere della Sera. Il Corriere di domenica 18 settembre non collega ritratti con ipotesi, tuttavia i tre ritratti sono lì, nella stessa pagina, non certo per una distrazione dell’impaginatore.
 
Non trattiamo in questa nota dei pur gustosi risvolti finanziari dell’operazione, tesi a renderla appetibile, in termini di utili, ai partecipanti, forse un po’ meno alle banche del pool, che comportano autorizzazioni della Consob che sembrano, se non scontate, probabili.
 
Conviene invece dare un’occhiata ai conti gestionali del primo semestre 2005, quali esposti nel più tecnico commento del Sole 24 ore dello stesso 16 settembre, che titola a tutta pagina “Il controllo Fiat resta all’Ifil”, con un tocco di realismo più accentuato rispetto al concetto di “famiglia Agnelli” scelto nel Corriere della Sera, tenendo conto che siamo di fronte a una realtà di famiglia (molto) allargata, ancorché nell’intervista del Corriere sia citata quasi con meraviglia la circostanza che tante persone importanti di così diversa collocazione nel mondo siano state concordi in una decisione non facile e con aspetti di rischio non trascurabili: oggi tutti d’accordo, ma domani?
 
Già, i conti non tornano ancora: fatturato di gruppo di 22,8 miliardi di euro, risultato operativo di 1,4 miliardi, risultato netto di 510 milioni e per il settore auto un fatturato di 9,6 miliardi e un risultato operativo ancora negativo per 217 milioni. Rispetto al periodo precedente il fatturato di gruppo si è ridotto dell’1%, quello dell’auto del 3,5%; il risultato operativo di gruppo è migliorato di 1,3 miliardi; quello del settore auto, pur restando negativo, è lievemente migliorato; il risultato netto di gruppo è migliorato di 1,1 miliardi, passando dal negativo al positivo. Dopo alcuni anni tragici, si ricomincia a vedere la luce, dopo che il principio di risanamento ha mangiato i frutti della vendita di interi settori del gruppo Fiat come storicamente posizionatosi negli anni ’80 e ’90, gran parte dei frutti della vendita di Rinascente (esterna al gruppo Fiat), la dote pagata da General Motors per il divorzio. Per ora tirano i veicoli industriali, le macchine movimento terra ed agricole ed i residui settori diversificati, che, pur ridotti, pesano per il 58%sul totale di gruppo, più di prima della crisi malgrado il forte dimagrimento dovuto alle molte cessioni.
 
Nel quadro mondiale dell’auto ormai Fiat conta per il 2% sulla produzione complessiva, ultimo tra i dieci maggiori gruppi, unico in perdita nel 2004, e tuttavia ancora parte di questo gruppo di testa, con una carta in più da giocare essendo presente in tutto l’arco delle produzioni compresi veicoli industriali e macchine movimento terra e agricole, delle quali peraltro gli altri grandi gruppi si sono liberati per concentrarsi nell’auto. Il rilancio messo a punto in questo scorcio di settembre è costato molto, all’IFIL come a Pantalone attraverso l’impegno delle banche e le riduzioni della manodopera e per ora ha conseguito due obiettivi intermedi: è stata evitata la cancellazione di un settore importante dell’industria italiana ed un gioco a perdere che sarebbe stato innescato da uno spezzettamento del gruppo o con una scalata senza volto. Si apre un ciclo meno incerto ma non privo di rischi, che sarà certo oggetto di ampio dibattito sia sulla soluzione prescelta sia sul successivo percorso attuativo.
 
Lunedì, 19. Settembre 2005
 

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