Altri due conti sul fisco “elettorale”

Imposta sui redditi e sostegni familiari: le proposte di PD e LeU introdurrebbero una maggiore razionalizzazione. La seconda è più coerente e aumenterebbe la progressività, ma ha un costo maggiore: una ventina di miliardi contro circa cinque dell’altra. Farebbe scendere il prelievo sui salari dal 33 al 15%, con gettito da recuperare sui redditi da capitale. Inoltre LeU prevede 59 miliardi di investimenti pubblici, che spingerebbero il Pil

In questo secondo articolo esamino le proposte che non erano uscite al tempo dell’articolo precedente. La proposta sui figli del PD consiste in una detrazione-assegno di 240 euro mensili per i minori fino a 18 anni, e di 80 euro mensili da 18 a 26. La detrazione si trasforma in un sussidio per coloro che sono incapienti, cioè la cui Irpef netta si è già azzerata (come accade ora per oltre un quinto delle detrazioni per figli; tre miliardi persi proprio dai contribuenti a reddito più basso). Vengono riassorbite le detrazioni attuali ed anche le erogazioni dell’Assegno al nucleo familiare (ANF), destinate ai lavoratori dipendenti tramite l’INPS. Le detrazioni-assegni sono decrescenti col reddito, con un limite fissato a 100.000 euro.

La proposta va sicuramente nella giusta direzione; da tempo si auspicava l’unificazione delle detrazioni per i figli e degli ANF, in modo da eliminare il problema degli incapienti e generalizzare a tutti i nuclei familiari gli ANF (il che comporta la necessità di estendere anche ai redditi non da lavoro dipendente lo stesso contributo, oppure di abolirla per tutti; cosa che vale anche per l’assegno di LeU). Resta da vedere come si armonizza questa proposta con l’attuale REI, anch’esso rivolto soprattutto alle famiglie con figli.

Ciò detto passo a qualche aspetto critico. Va tenuto presente che le detrazioni Irpef e gli ANF hanno due logiche differenti. L’Irpef è su base individuale; fino a quando (2003) le detrazioni per i figli erano fisse (e d’importo limitato), i due genitori potevano dividerli come volevano, ma dal 2007 essendo le detrazioni (lentamente) decrescenti, vengono divise a metà tra i genitori. Possono anche essere usufruite dal genitore che ha un reddito maggiore, ma questa ipotesi è utile nel caso in cui uno dei due sia incapiente. Gli ANF invece seguono una logica diversa: si valuta tutto il reddito del nucleo familiare (purtroppo qui va inteso come coniugi con figli e non genitori) compresi tutti i redditi che non entrano in Irpef, proprio perché si vuole fornire un sostegno al reddito complessivo della famiglia.

La proposta del PD stabilisce che la detrazione-assegno spetta al genitore con reddito più alto; sembra quindi scegliere l’impostazione individuale propria delle detrazioni Irpef. Questa scelta è stata giustificata argomentando che in tale modo si favorisce la scelta lavorativa del coniuge. In realtà se si segue il criterio individualista dell’Irpef, attribuire la detrazione-assegno a chi ha un reddito maggiore riduce la somma erogata rispetto all’ipotesi di divisione a metà. In realtà in questo caso la divisione a metà è più favorevole dal punto di vista del secondo reddito familiare, che il più delle volte è quello della donna.

A mio avviso peraltro per quanto riguarda il sostegno al reddito familiare la scelta di considerare tutto il reddito familiare (come avviene con gli ANF) è più coerente con l’obiettivo che si persegue. Non solo ma il reddito complessivo va ponderato per il numero dei componenti del nucleo, secondo la logica del reddito equivalente, che tiene conto delle economie di scala. Questo è ciò che accade nella proposta di LeU, dove l’assegno è stabilito a valore pieno fino ad un reddito equivalente di 6.000 euro, per poi decrescere fino a 28.000. Questo vuol dire che per una famiglia con due figli il limite supera gli 80.000 euro.

L’obiettivo di favorire i redditi medio-bassi (quindi spesso di giovani e donne) viene inoltre accentuato con una ristrutturazione dell’Irpef, che prevede l’introduzione di più scaglioni con aliquote più basse. Le aliquote diventano maggiori di quelle attuali dopo i 70.000 euro, con un’aliquota al 48% e una al 50% dopo i 300.000. Peraltro il vantaggio acquisito negli scaglioni bassi e medi e la presenza di detrazioni fisse fanno sì che fino a 100.000 euro non vi siano aggravi.

La revisione dell’Irpef e il nuovo assegno a sostegno dei nuclei familiari di LeU costa una ventina di miliardi, ben di più della detrazione-assegno del PD. Il costo di quest’ultima viene indicato in circa nove miliardi, ma probabilmente c’è una sottostima di quanto costino oggi  le detrazioni e gli ANF, che vengono riassorbiti. Quindi il costo netto scende a cinque miliardi; forse è un caso più unico che raro della sovrastima del costo di un provvedimento in campagna elettorale.

Nel programma di LeU vi è una seconda misura che accentua la progressività del sistema fiscale; quella di una imposta ordinaria sul patrimonio che assorbe le imposte sui redditi immobiliari (compresa l’IMU) e mobiliari, per un ammontare di una trentina di miliardi. Una deduzione dall’imponibile permette di esentare i patrimoni di circa la metà dei contribuenti, con uno sgravio per i redditi minori. Una serie di misure piuttosto articolate (dove si vede la mano di Vincenzo Visco) sono indirizzate alla riduzione dell’evasione, che, come è noto, incomincia con l’Iva per poi passare alle imposte sui redditi: l’obiettivo è di recuperare una trentina di miliardi.

Ma forse le novità maggiori consistono i) nell’abolizione dei contributi pensionistici (per i datori di lavoro e per i lavoratori) e la sostituzione con un prelievo generale su tutti i redditi prodotti; un aumento degli investimenti pubblici di cinquanta miliardi in quattro anni, cioè in pratica un aumento del 50%. Per il primo punto in sostanza il prelievo previdenziale sul monte salario scende dal 33% al 15% (oltre cento miliardi) e quello sui redditi da capitale sale per un gettito equivalente. Il secondo punto permette di portare la crescita del PIL oltre il 2% dal 2020, ottenendo di arrivare ad un bilancio in pareggio per la fine della legislatura, e di ridurre il rapporto debito-PIL di una ventina di punti.

Wow! Troppo bello per essere vero? Si possono discutere molti aspetti, compresi i moltiplicatori che sono stati usati nelle simulazioni macro, moltiplicatori che sono peraltro quelli stessi del modello econometrico del MEF. Il punto più critico, a mio avviso, è la possibilità di un così cospicuo aumento degli investimenti pubblici.  A parte il finanziamento degli enti di ricerca (o delle università), che dovrebbero tradursi rapidamente in spese, l’intervento a tutela del territorio e degli edifici pubblici (a cominciare dalla scuole) richiedono collegamenti con Regioni ed Enti locali. In tutti questi anni abbiamo visto le lentezze nell’attuazione di programmi di spesa, e il codice degli appalti non ha migliorato la situazione, anzi. Non parliamo poi delle grandi opere d’iniziativa statale; anche laddove siano previste opere sicuramente utili (non il ponte sullo stretto per intenderci), i tempi sarebbero lunghissimi.

Peraltro sono dubbi che non sarà possibile verificare nel prossimo futuro; se mai avremo un governo, si troverà a fare i conti prima con Bruxelles e poi con le clausole di salvaguardia di oltre 30 miliardi in due anni.      

Lunedì, 26. Febbraio 2018
 

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