Chi complottò contro Berlusconi

La caduta del governo dell'ex Cavaliere fu il frutto di intrighi dei Palazzi in Italia e in Europa? A distanza di quasi cinque anni rileggiamo quegli avvenimenti per ricostruire le mosse dell'esecutivo, dei leader degli altri paesi e della Banca centrale europea

Si parva licet, vorrei ripetere il “io so” di Pasolini quaranta anni dopo, dicendo: io so chi complottò per far cadere il governo Berlusconi. Le persone coinvolte furono molte, ma principalmente fu il governo stesso, con Berlusconi (Presidente) e Tremonti (ministro dell’economia) in prima linea. Ma non solo, perché anche Merkel e Sarkozy ebbero un ruolo, ma non per i famosi sorrisetti nella conferenza stampa del 23 ottobre 2011. Piuttosto per la passeggiata di Deauville di un anno prima, che preparò la dichiarazione sul coinvolgimento dei privati (leggi banche) nel caso del default dei titoli sovrani di uno Stato membro dell’euro (il caso Grecia era scoppiato a inizio 2010).

I tassi d’interesse irlandesi e portoghesi incominciano ad impennarsi, mentre quelli spagnoli salgono sopra quelli italiani e belgi, praticamente affiancati. Comunque questi ultimi oscillano per tutto il 2010 e metà del 2011 intorno al 2% (200 punti base), con una leggera tendenza a calare. Cosa succede a metà 2011? Succede che Berlusconi e i suoi alleati perdono in primavera le elezioni amministrative, con la sconfitta emblematica a Milano, città sempre in mano alla destra.  

A questo punto si sviluppa una discussione (in particolare in Forza Italia) su come reagire alla sconfitta elettorale, e, se non erro, Brunetta e Ferrara sostengono che Berlusconi deve fare un sostanzioso taglio dell’Irpef. Tremonti non è d’accordo e il clima nel governo si fa difficile. Ora può essere che all’estero non ci si occupi molto dell’Italia, ma gli operatori finanziari non si fanno sfuggire nessuna notizia che possa avere ripercussioni sulle loro operazioni, sia per guadagnarci, sia per non perderci. E’ ormai chiaro che dietro i titoli sovrani dei paesi euro non c’è la BCE, e quindi i propositi del governo italiano sulla manovra finanziaria dell’autunno vengono messi sotto la lente di ingrandimento.

E le notizie che arrivano non sono rassicuranti. Litigi, balletti sulla manovra finanziaria, provvedimenti che appaiono e spariscono nel giro di 24 ore. Con l’inizio dell’estate i tassi italiani incominciano a salire, raggiungono e trascinano verso l’alto quelli spagnoli. A fine luglio superano i trecento punti base. La BCE, lo aveva già fatto in precedenza con Grecia e gli altri paesi sotto attacco, inizia a comprare titoli italiani per arginare l’ondata speculativa, ma, anche per l’atteggiamento del governo, invia il 5 agosto la famosa lettera (a firma Trichet e Draghi) chiedendo misure draconiane. L’effetto è esattamente opposto, a settembre i mercati si convincono che la rottura dell’euro è probabile, i tassi italiani a breve superano quelli a lunga, chiaro segnale di un default imminente. Berlusconi può scegliere tra due strade: andare ad un default, con (eventuale) uscita dall’euro, o varare una manovra lacrime e sangue, secondo i precetti dell’austerità made in Berlin. Non volendo optare per nessuna delle due, Napolitano dice a Berlusconi che conviene che si faccia sostituire da Monti; Berlusconi accetta. 

La domanda che ci si può legittimamente porre è: ma la situazione era poi tale da giustificare le preoccupazioni delle cancellerie nord-europee e i comportamenti dei mercati?

La mia risposta è no, la situazione non era affatto drammatica; è vero che il debito pubblico era sul 120%, ma Tremonti aveva tenuto il deficit sotto controllo (a differenza di quanto avvenuto nel periodo 2001-2006, quando lo spread era a 20 punti base): 5,5% nel 2009, 4,5% nel 2010, ed anche il 2011 si chiuderà con un deficit sotto il 4% (la Spagna chiude con 8,5%).

Fu la dichiarazione di Deauville, anticipata da una decisione segreta del Consiglio europeo del 7-8 maggio 2010, a creare la crisi; un mese dopo Deauville, in un incontro ristretto a Berlino con la cancelliera Merkel, il presidente della Deutsche Bank espresse il malumore del sistema finanziario tedesco. L'ipotesi che i privati dovessero pagare un default greco - o degli altri Paesi oggetto di salvataggio - dopo il 2013, ma non potessero vendere i titoli greci prima di allora, significava che fin da ora avrebbero dovuto calcolare il valore dei titoli in portafoglio come se già fossero colpiti dalla clausola di coinvolgimento nel default. Di fatto Ackermann preannunciò che la sua e le altre banche tedesche avrebbero ricusato l'accordo del maggio 2010 e avrebbero cominciato a vendere i titoli della periferia dell'area euro, cosa puntualmente avvenuta.

Come è noto, i mercati si calmarono solo dopo il “whatever it takes” di Draghi del 27 luglio 2012.

Lunedì, 29. Febbraio 2016
 

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