Grecia, l'ultimo affondo dell'Europa reazionaria

Continua il balletto delle "riunioni decisive" che non decidono, ma il 30 giugno è davvero la data limite: o ci sarà l'accordo che permetta il rimborso al Fmi o sarà default. Bruxelles non ha cambiato linea: chiede ancora la fallimentare austerità, solo più attenuata. Alla fine è probabile che l'accordo ci sarà, per non rischiare un drammatico sconquasso

Il negoziato con la Grecia si trascina da un "penultimatum" all'altro, ma è chiaro che la  vera scadenza è il 30 giugno, la data del rimborso al Fondo monetario: a quel punto o ci sarà un accordo o ci sarà il default. Nel frattempo continua la guerra di nervi e i depistaggi come raramente si erano visti in situazioni del genere, con le parti che si scambiano l'accusa - in modo esplicito da parte europea, più sfumato da parte greca - di cambiare le carte in tavola da una riunione all'altra, rimangiandosi concessioni che erano state date per acquisite. Impossibile dire se davvero una delle parti - o magari tutte e due - giochi sporco o se la cosa derivi da una reciproca sordità politica tale da impedire di intendersi chiaramente.

Dalle indiscrezioni seguite al Consiglio europeo di lunedì 22 sembra che ormai le posizioni siano davvero vicine. L'Europa chiede un surplus primario del 2% nel 2015, per arrivare al 3,5% nel 2018, e sottolinea che l'austerità richiesta è stata ridotta rispetto al piano precedente. I greci, a quanto pare, hanno ceduto o quasi, nonostante che quello che si chiede è di proseguire la politica restrittiva, solo un po' attenuata. Esattamente quello che fin dall'inizio Tsipras e Varoufakis hanno posto il problema di cambiare, visto il disastro che ha provocato finora, con tutti gli obiettivi previsti dai cervelloni della Troika mancati clamorosamente un anno dopo l'altro. Ma evidentemente non basta per decidersi a cambiare strada.

La Commissione vorrebbe poi risparmi sulle pensioni dell'1% del Pil all'anno, una cifra che richiede interventi consistenti. E di interventi sulle pensioni ne sono già stati fatti, sia sugli importi (eliminando 13a e 14a mensilità), sia sull'età pensionabile. A questo proposito torna utile un grafico elaborato da Karl Whelan, un economista che insegna a Dublino. Whelan, dopo aver letto un artcolo sul Financial Times di Francesco Giavazzi, non si sa se più disinformato o più canagliesco, ha scritto a sua volta per confutare punto per punto le sue affermazioni. Questo è il grafico sull'età pensionabile in Europa:


Come si vede la Grecia (sigla EL) aveva un'età pensionabile tra le più basse, ma dopo la riforma ce l'ha tra le più alte (per inciso, appena più di noi). E' probabilmente vero che quell'età pensionabile di 68 anni che si vede dal grafico è ancora in gran parte teorica, sia per la gradualità prevista, sia per i prepensionamenti di lavoratori delle imprese in crisi. Ma in una situazione di disoccupazione stratosferica (oltre il 25%, 50 tra i giovani) spesso una pensione è l'unica entrata su cui campa un'intera famiglia, magari pure allargata. Si capisce che di altri tagli pesanti il governo greco non voglia sentir parlare. Altra questione aperta è la rimodulazione dell'Iva, che su alcuni consumi indispensabili (medicine, energia elettrica) Tsipras vuole mantenere con un'aliquota ridotta.

Anche se negli ultimi tempi non se n'è parlato si sa poi che aleggia anche la questione degli impiegati pubblici. Ma anche qui, c'è prima di tutto una leggenda da sfatare, ossia che la Grecia ne avesse un numero esorbitante. Questa era la situazione al 2007, cioè prima della crisi:


Come si vede, non erano pochissimi, ma nemmeno così tanti: appena sopra la media dell'Eurozona (sigla EZ). Poi però ci sono stati i tagli: è ancora Whelan a farci vedere cos'è successo.

 

Anche fermandoci al dato del 2014, come si vede la riduzione è stata pesantissima. Anche questo "compito a casa", a quanto pare, è stato svolto eccome.

Che cosa ancora si pretenda da un'economia allo stremo, a questo punto davvero non si capisce. Non si capisce quale possa essere la logica di continuare a chiedere tagli mentre tutti i dati urlano che semmai si dovrebbero dare forti aiuti.

Ora abbiamo davanti un'altra settimana durante la quale è presumibile che continui il balletto. Nonostante  che i segnali siano contrastanti, è ragionevole pensare che alla fine l'accordo si farà, perché la tesi che un'uscita della Grecia dall'euro non avrebbe conseguenze sistemiche è quantomeno dubbia (per non dire che fa parte delle pressioni psicologiche su Atena). Potrebbe invece provocare un disastro maggiore di quello del caso Lehman, come ha di recente ripetuto un economista autorevole come  Jeffrey Sachs. Davvero qualcuno ha voglia di verificarlo?

Martedì, 23. Giugno 2015
 

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