Sul Def il fantasma di Haavelmo

Breve nota metodologica per capire se il Documento di economia e finanza prefiguri o no un rilancio dell’economia. Risultato del ragionamento: non inciderà sul trend recessivo. Intanto a Bruxelles ci si occupa di decimali e formule esoteriche

Molti lettori di E&L discutono non sulle misure precise dei provvedimenti governativi, ma sul loro segno: il Def, cioè, è espansivo o restrittivo? Poiché si tratta di un’incertezza non da poco, vorrei dare un piccolo contributo metodologico.

 

1)     Il teorema di Haavelmo. Una spesa pubblica per beni e servizi, o per investimenti diretti (cioè tipo quelli che non si sono fatti a Genova) finanziato da un pari ammontare di imposte dirette, ha un effetto espansivo. L’effetto è esattamente pari all’unità, se consideriamo un sistema senza import-export, e se l’aumento di prelievo tiene adeguato conto delle maggiori entrate che si ottengono dall’aumento del reddito (quindi un miliardo di spese ma, ex ante, solo 667 milioni di entrate, le altre 333 verranno dall’effetto automatico).

2)     Se invece ad aumentare sono le imposte indirette, allora l’effetto moltiplicativo si annulla quasi del tutto. Se le spese sono spese di trasferimento, di nuovo l’effetto sarà quasi nullo, a meno che i trasferimenti vadano a vantaggio delle classi più basse, ed il prelievo gravi su quelle più alte.

   

Quando nelle università si insegnava la macroeconomia keynesiana del modello semplice, senza settore monetario e funzione degli investimenti, queste erano nozioni largamente conosciute.  

 

Il Def prevede un deficit del 3%, o poco sotto, per il 2015, quindi esattamente come quello di quest’anno. Poco meno di cinquanta miliardi di spesa in più, e ciò dovrebbe assicurare un effetto espansivo. Però circa settantacinque miliardi sono costituiti dalla spesa per interessi. Un terzo circa va a Fondi e banche estere e quindi l’effetto moltiplicativo è zero. Il resto va a banche e Fondi interni, e, in minor misura, a famiglie. Quale è l’effetto moltiplicativo? Molto basso, direi, forse tra un 5% e un 10% . L’impulso quindi sarà tra tre e cinque miliardi.

 

Se togliamo la spesa per interessi, ovviamente le entrate superano le spese. E questo, di per sé, avrebbe un segno negativo. Ma qui le cose si complicano, perché la principale imposta, l’Irpef, è progressiva, e il 10% più ricco (in termini di redditi dichiarati) versa il 51% degli oltre 150 miliardi di gettito, mentre il 25% più povero non versa nulla. Se l’Irpef fosse trasformata in un’imposta flat-tax, con aliquota al 20%, come vuole Salvini, l’effetto recessivo sarebbe molto più forte, mentre ora il carattere progressivo attenua sensibilmente l’impatto de-moltiplicativo.

 

Ci sono molti dettagli complicati. Prendiamo l’Irap; ufficialmente è classificata come imposta indiretta, quindi con impatto de-moltiplicativo alto, ma gli imprenditori la considerano un prelievo sugli utili. Se hanno ragione, allora il calo dell’Irap (stimata in cinque miliardi di cassa; qui ci sono dei misteri che tralascio) farà aumentare gli utili. Ma questo spingerà le imprese a maggiori investimenti? Almeno per il prossimo anno è lecito dubitare, perché finché non riparte la domanda, interna ed esterna, è difficile che le imprese si muovano, anche se il Def prevede, nel tendenziale, un +0,5% di investimenti.

 

Allora che segno ha il Def? Probabilmente vicino allo zero, come quello di quest’anno. Si tratta cioè di una politica di bilancio che non riesce ad incidere sulla tendenza depressiva data dalla domanda interna, nonché da quella estera, dove le esportazioni rallentano. Nel prossimo anno è lo stesso documento governativo a ritenere che la manovra, rispetto al tendenziale, determinerà un più 0,1%, portando la crescita del Pil da 0,5 a 0,6. Purtroppo sono cifre che già ora si presentano molto ottimistiche. Va tenuto presente che nei cinque anni dal 2007 al 2012 la propensione al consumo è aumentata, ma poi nel 2013 il segno è cambiato: i consumi sono scesi di più della caduta del reddito disponibile. Quest’anno i primi dati indicano che non vi è una ulteriore caduta, ma questo non basta. Le nubi recessive che si spandono sull’Europa non fanno intravedere nulla di buono; si prospetta un altro anno a crescita zero, se non con segno meno. E intanto a Bruxelles si discute su quale sia il prodotto potenziale, il deficit strutturale, e se Padoan debba compiere qualche ritocchino di due o tre miliardi.    

Venerdì, 24. Ottobre 2014
 

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