I regimi democratici hanno molti difetti, che nei periodi di crisi diventano flagranti. Negli anni della crisi abbiamo visto aumentare gli squilibri sociali, linsicurezza, la disoccupazione di massa, la diseguaglianza. Ma rispetto ai regimi autoritari hanno un privilegio invidiabile: la possibilità dei cittadini di poter esprimere liberamente con il voto il loro giudizio sulle politiche dei governi.
E il caso che si presenta con le elezioni europee. Le politiche delleurozona sono state negli anni della crisi, senza ombra di dubbio, fallimentari. Le politiche portate avanti con ossessiva ostinazione dallasse Berlino-Bruxelles non solo non hanno contrastato gli effetti della crisi, ma ne hanno enormemente aggravate le conseguenze sociali.
La politica di austerità doveva correggere, avviare a soluzione i problemi della finanza pubblica e rilanciare su basi nuove la crescita. I risultati sono stati per la maggior parte dei paesi catastrofici. Se si esclude la Germania che ha in mano le leve di comando della politica delleuro, in tutti i principali paesi delleurozona assistiamo allaumento del debito pubblico e della disoccupazione di massa.
Quando la crisi esplose negli Stati Uniti con il collasso della Lehman Brothers e con la sua proiezione in Europa, nellautunno del 2008, la Grecia aveva un debito pubblico intorno al 110 per cento del Pil; oggi, dopo la devastante cura della troika (Fondo monetario, Bce e Commissione europea), il debito ha raggiunto il 175 per cento!. La Spagna aveva un debito inferiore al 40 per cento, il più basso tra i grandi paesi delleurozona, inferiore anche a quello tedesco; ora è più che raddoppiato toccando il 93 per cento del Pil. Contemporaneamente in Grecia come in Spagna la disoccupazione ha superato un quarto della forza lavoro, un livello che non si era più visto dopo la Grande Depressione degli anni Trenta. Sono due esempi, non gli unici, ma forse i più significativi, del fallimento della politica di austerità, definita da Stiglitz in una recente intervista a Repubblica criminale.
Ma anche la critica dellausterità rischia di essere monca e fuorviante, se non si guarda allaltra faccia della medaglia: la politica delle cosiddette riforme strutturali. Che, in effetti, sono il vero obiettivo strategico, a lungo termine, della politica e dellideologia neoliberista che domina a Bruxelles. In altri termini: la deregolazione finale del mercato del lavoro, il taglio dello Stato sociale e le privatizzazioni. Il caso spagnolo è indicativo. Chiunque direbbe che lausterità ha avuto un effetto rovinoso sulleconomia e sulla società spagnola. Invece, no. Per Berlino e Bruxelles, la Spagna è un esempio di successo e un modello da seguire. La ragione di questo paradosso sta nelle riforme strutturali del governo Rajoy: libertà di riduzione dei salari e, in alternativa, libertà di licenziamento, nonché compressione del welfare in relazione alle pensioni e alle indennità di disoccupazione.
Lausterità è costata allItalia la perdita del 9 per cento del reddito nazionale, laumento del debito fino al 135 per cento, il raddoppio della disoccupazione da poco più del 6 al 13 per cento. Ma quando Mario Monti ha detto che lItalia doveva fare i compiti a casa, ha cominciato dalle pensioni, operando la più pesante e sconsiderata riforma delle pensioni mai attuata in Europa. E oggi che Matteo Renzi vuole presentarsi a Bruxelles come un leader capace di attuare le riforme che i suoi predecessori hanno esitato a mettere in atto, ha imposto per decreto legge (una misura che sarebbe legittima solo in caso di necessità e urgenza) una riforma del lavoro che istituzionalizza la precarietà, facendo del lavoro a termine il nuovo generalizzato paradigma contrattuale. E, per rassicurare Bruxelles, promette di procedere con privatizzazioni ad ampio raggio, aprendo lo shopping internazionale nei confronti di ciò che rimane delle grandi imprese italiane.
Austerità e riforme strutturali sintrecciano. E, tuttavia, fra le due facce della medaglia vi è una differenza fondamentale. Lausterità può essere imposta dalla Commissione europea con lappoggio politico di Berlino. Ma le riforme strutturali hanno bisogno, per realizzarsi, del concorso decisivo e della complicità dei governi e delle elite nazionali. Sotto questaspetto il voto del 25 maggio rifletterà incontestabilmente un giudizio sulle politiche europee e insieme sulla subalternità delle politiche nazionali.
Tre paesi diversamente importanti dellUnione europea come la Gran Bretagna, la Polonia e la Svezia, che non fanno parte delleurozona, hanno amministrato ciascuno a suo modo le conseguenze della crisi, e hanno chiuso il 2013 con una crescita intorno al 3 per cento, mentre leurozona ha continuato a languire, prigioniera di una crescita inconsistente dello 0,5 per cento.
La crisi è nata negli Stati Uniti e, a giudizio di molti economisti di tendenza democratica, non è stata ancora risolta. Ma in America la maggiore responsabilità può essere ragionevolmente imputata allopposizione repubblicana. La differenza è che negli Stati Uniti i repubblicani sono allopposizione e, controllando un ramo del Congresso, possono ostacolare la politica dellamministrazione (si veda il blocco delliniziativa di Obama per aumentare del 40 per cento il salario minimo legale, portandolo da 7,25 a 10,10 dollari lora), mentre nelleurozona la politica reazionaria dei repubblicani è quella praticata a Bruxelles.
In ogni caso, il voto del 25 maggio non è sullalternativa: uscire o rimanere nelleuro. Questa è la versione del salto nel buio, volutamente forzata e allarmistica dei governi e della grande stampa. Le elezioni riguardano la perpetuazione o il rovesciamento del disastroso binomio austerità-riforme strutturali imposto dal consenso Berlino Bruxelles. Da questo punto di vista, la piattaforma dellAltra Europa, la lista per Alexis Tsipras, come candidato per il Partito della Sinistra Europea alla presidenza della Commissione europea, si presenta come la più limpida, inequivoca e coerente.
Le previsioni indicano a livello europeo una forte ascesa dei partiti euroscettici. Questo risultato potrà cambiare lassetto del Parlamento europeo. Ma non basterà a cambiare le politiche fondamentali delleurozona. Paradossalmente, la contromossa più probabile diretta a neutralizzare lesito elettorale potrebbe essere la costituzione di una Grande alleanza fra socialisti e popolari sullesempio della Germania, in un rapporto di sostanziale continuità con lattuale politica delleurozona.
Ma questo scenario è condizionato da unincognita. Lincognita è in due risultati elettorali: quelli della Francia e dellItalia. Si tratta di due dei tre grandi paesi che hanno fondato lUnione europea, e di cui non può fare a meno leurozona, salvo suicidarsi. Se in Italia e in Francia si registrerà, come i sondaggi lasciano prevedere, un voto maggioritario contro lattuale politica dellasse Berlino-Bruxelles, lo scenario sarà scosso dalle fondamenta.
Non sarà stato un voto contro lUnione europea, e nemmeno per uscire dalleuro, ma per il ripudio dell'attuale politica delleurozona. I governi di Hollande e di Renzi dovranno prenderne atto. Non è mai successo che le zioni europee abbiano avuto una portata così decisiva: cambiare la politica europea per cambiare le politiche nazionali, e viceversa. Unoccasione straordinaria, da non disperdere Forse lultima per salvare lUnione europea dal rischio di essere travolta dal naufragio delleuro.