Quel Messaggero da battaglia

C’è stato un periodo, negli anni ’70 e ’80, in cui il giornale romano visse una stagione battagliera e indipendente che coincise in buona parte con la direzione di Vittorio Emiliani, che in un libro di memorie racconta tutto, dalla vita di redazione ai retroscena politici di molti avvenimenti importanti

Nel 1973 ero uno studente di filosofia alla Sapienza. Una mattina all’ingresso della facoltà c’era un banchetto dove si raccoglievano firme, cosa peraltro quasi quotidiana a quel tempo. Quello che si chiedeva quella volta era di esprimere solidarietà ai giornalisti del Messaggero, e io firmai con entusiasmo. Il Messaggero era il giornale di casa, come per buona parte delle famiglie romane, e io avevo seguito con grande interesse la battaglia che vi si stava svolgendo attorno da qualche tempo. Metà della famiglia Perrone, allora proprietaria della testata, aveva venduto il 50% delle azioni a Edilio Rusconi, editore cattolico reazionario, ma il direttore-editore Sandrino Perrone, che deteneva l’altro 50%, aveva rifiutato di cedere e farsi da parte, sostenuto da tutta la redazione che aveva respinto fisicamente, con tanto di lancio di monetine, il tentativo di insediamento del nuovo direttore mandato da Rusconi, Luigi Barzini jr., un liberale molto moderato. Lo scontro fu durissimo e i giornalisti del Messaggero lo sostennero con lo sciopero forse più lungo della storia del media, ben un mese e mezzo.

 

Alla fine Rusconi fu costretto a rinunciare. In seguito a una mediazione politica condotta dall’allora segretario del Psi, Francesco De Martino, tutto il giornale passò alla Montedison, al tempo di proprietà pubblica e guidata da Eugenio Cefis. La redazione ottenne un impegno sulla futura linea politica del giornale, “laica, democratica e antifascista” - di cui lo stesso De Martino si fece garante - e un “patto integrativo” che dava ai giornalisti poteri mai visti prima, tra cui un parere vincolante sulla nomina di due vice direttori. Cefis, personaggio discusso e però ex partigiano, affidò la direzione a un suo compagno della lotta di liberazione, Italo Pietra, licenziato poco prima dal Giorno perché troppo progressista. Queste vicende trasformarono un giornale che era sempre stato politicamente molto cauto e filo-governativo in un foglio di impronta decisamente progressista: memorabile la prima pagina del giorno del referendum contro il divorzio, nel 1974, con quel NO alto sedici centimetri che sarà poi copiato da tanti altri in altre occasioni.

 

Pietra assunse dal Giorno, che il nuovo direttore Gaetano Afeltra aveva spinto nell’area moderata, alcuni colleghi di valore. Tra questi Vittorio Emiliani, un inviato di economia e politica, socialista non allineato di area Lombardiana. Emiliani non immaginava neanche lontanamente che di lì a cinque anni sarebbe diventato direttore. Lo racconta in un suo libro appena uscito, “Cronache di piombo e di passione – L’altro Messaggero, un giornale laico sulle rive del Tevere (1974 –1987)”.

 

E di piombo lo furono davvero, quegli anni, segnati dalle stragi e dai continui attentati del terrorismo rosso e nero, con una quantità impressionante di vittime che Emiliani puntualmente ricorda, nel testo o nelle note che lo accompagnano per precisare in modo minuzioso i fatti ma soprattutto le notizie sulle persone (colleghi, conoscenze professionali, amicizie), tante, tantissime, molte protagoniste di quegli anni, altre al di fuori della notorietà.

 

Non si pensi a un pretenzioso (e magari anche noioso) libro di storia. E’ invece il diario di un pezzo di vita del giornalista venuto dal nord nella capitale che gli pare “senza ossa”, composita per la forte immigrazione e le tante borgate abusive, che racconta al di là di qualsiasi formalismo. Entriamo con lui in redazione, dove sempre si prendono le misure a un nuovo arrivato, gli spazi bisogna conquistarseli, nascono simpatie o antipatie anche al primo approccio, ci sono “cordate” (professionali o politiche, o entrambe) non sempre immediatamente percepibili. Seguiamo il suo lavoro di inviato, con le tante inchieste che gli servono per conoscere quella realtà complicata e anche le regioni centrali dove il Messaggero ha il suo bacino di diffusione. Ma anche la sua attività di sindacalista nella Federazione della Stampa, in cui da sempre è impegnato.

 

Non passa molto tempo prima che Pietra subisca il suo secondo licenziamento politico. Gli succede Luigi Fossati, ma non durerà: il giornale è in pesante passivo e Mario Schimberni, che ha preso il posto di Cefis alla guida della Montedison, anch’essa piuttosto in difficoltà, vuole un cambio di mano che lo risani, altrimenti sarà venduto. E dal cappello - è la fine del 1979 -  tira fuori proprio Emiliani. Tutti sanno che è socialista e gli appiccicano il giudizio di una nomina politica, ma in realtà, come si racconta nel libro, il Psi lo viene a sapere a cose fatte e non dimostra certo entusiasmo, anche per una certa ruggine che c’è con Claudio Martelli, braccio destro di Craxi. In realtà, spiega Emiliani, la scelta è dovuta al fatto che Schimberni è al corrente dei suoi buoni rapporti nel mondo sindacale, anche con i tre leader Lama, Carniti e Benvenuto, e punta su questo per una soluzione del vero problema del giornale: una pletora di tipografi (arrivarono a 800 nel momento di massima) con alte retribuzioni e bassissima produttività, e in compenso una conflittualità esasperata, che li porterà persino a cacciare i sindacalisti nazionali che tentano di farli ragionare.

 

Ci vorrà più di un anno, funestato da scioperi continui che massacrano le tirature del giornale e riducono le vendite, per venire a capo del problema. Ma Emiliani intanto si dà da fare anche sul piano giornalistico, prende iniziative, recluta forze nuove e grandi firme di commentatori. Ha capito, spiega, che si deve muovere su due livelli. Da una ricerca commissionata al Censis è risultato che la maggior parte dei lettori è di livello culturale molto basso, quindi il giornale deve essere accessibile e appetibile per loro, ma poi deve avere una parte “alta”, per acquisire anche una dimensione di quotidiano di rilevanza nazionale. E questo doppio binario dev’essere molto congeniale ad Emiliani, perché in fondo è lo stesso che ritroviamo nel libro, dove aneddoti e note di cronaca si mescolano continuamente con i grandi avvenimenti di quel periodo turbolento, di cui spesso ci racconta retroscena che solo chi li ha vissuti in modo diretto può conoscere.

 

In quel periodo al Messaggero ci arrivo anch’io, come borsista, grazie a un concorso Fieg-Fnsi . Sarò assunto l’anno successivo. Anno terribile, quel 1980: la strage di Ustica, il terremoto dell’Irpinia, il rapimento del giudice D’Urso. Specialmente quest’ultimo evento è una sorta di battesimo del fuoco per il neo direttore. Come due anni prima per il sequestro Moro, si fronteggiano il “partito della fermezza”, contrario ad ogni trattativa con i terroristi, e quello del dialogo che, pur senza cedimenti, ritiene che si debba tentare tutto il possibile per evitare l’assassinio del rapito. Anche il mondo dell’informazione è diviso, si arriva a ipotizzare - e in vari casi a praticare, dal Tempo al Corriere della Sera, dal Giornale alla Rai - un black-out delle notizie sul terrorismo in base alla singolare teoria che servirebbe da disincentivo alle loro azioni clamorose.

 

Emiliani, che racconta dettagliatamente quelle fasi drammatiche, è nel partito del dialogo. La sua posizione diventa determinante quando le Br chiedono la pubblicazione di un loro documento come condizione per il rilascio di D’Urso. Quasi tutta la grande stampa rifiuta, il fronte dei possibilisti comprende anche Michele Tito (Secolo XIX), Roberto Villetti (L’Avanti!), Giuliano Zincone, che perderà per questo la direzione del Lavoro. La decisione del Messaggero, il giornale più importante, è fondamentale. Nel momento decisivo si riunisce l’assemblea dei redattori nel salone della cronaca nazionale. Non tutti sono d’accordo, ma dopo una tormentata discussione si decide di appoggiare la pubblicazione del comunicato. Il Cdr va da Emiliani per comunicarglielo, ma il direttore ringrazia e dice fermamente: “La responsabilità del giornale è mia e la rivendico pienamente, nel bene e nel male. Se pubblicheremo, la responsabilità sarà soltanto mia e di nessun altro”. E pubblicheremo, dopo aver avuto una sia pur indiretta conferma dai brigatisti che rispetteranno il patto. D’Urso viene liberato: Le Monde uscirà con una vignetta che lo ritrae mentre vola verso la libertà su un foglio del Messaggero.

 

Non sono le sole pagine drammatiche del racconto di Emiliani, dato che in quegli anni burrascosi capita di tutto. Ma si alternano continuamente a quel che succede dentro il giornale, alle iniziative popolari come le “biciclettate”, premiate da subito da una partecipazione oltre ogni aspettativa, o le “ramazzate”, per pulire dapprima alcune zone di Roma e poi gli argini del Tevere, anche queste con una grandissima partecipazione popolare. Il giornale dell’inquinatrice Montedison è diventato anche il più “verde” tra la stampa che conta. Si inventano campagne come quelle contro gli enti inutili e le auto blu. I risultati arrivano. Le vendite, scese ai minimi durante il terribile periodo degli scioperi, salgono costantemente: alla fine della direzione di Emiliani saranno a circa 315.000 copie, una record mai toccato prima e che non sarà mantenuto nel futuro (oggi sono poco sopra le 170.000). I conti sono da tempo risanati e anzi, come dice una volta pubblicamente Gianni Agnelli, il giornale “fa bei profitti”.

 

Chi cambierebbe una squadra di tanto successo? Eppure si addensano le prime nuvole. Alla segreteria della Dc c’è Ciriaco De Mita, a cui quel Messaggero proprio non va giù. E la Montedison, che non ha risolto i suoi problemi, non può permettersi di ignorare le richieste dell’uomo politico in quel momento più potente. Il primo colpo è indiretto. Schimberni convoca Emiliani e gli chiede di sostituire il condirettore con un uomo gradito alla Dc. Ma il condirettore è Silvano Rizza, un professionista come ce ne sono pochi, oltre che un grande gentiluomo. Assunto per un settore importantissimo al Messaggero, la cronaca di Roma,  il suo lavoro è stato così prezioso che poco dopo Emiliani lo ha voluto accanto a sé come numero due. Rizza, insieme al caporedattore Pino Geraci, ha tenuto saldamente in mano la macchina del giornale e anche il suo lavoro è stato determinante per il rilancio. Emiliani rifiuta e lascia l’incontro da dimissionario Ma poco dopo ci sono le elezioni politiche, e la Dc di De Mita subisce un crollo del 5,4%. Dopo questo risultato di cambio di direzione non si parlerà più per un bel pezzo.

 

Per circa tre anni e mezzo, per la precisione, quando partirà un attacco concentrico, non solo da De Mita che non dimentica, ma anche da parte di esponenti del Pci come Emanuele Macaluso, allora direttore dell’Unità, e da nemici “interni”, sia nel giornale che nella Montedison. Tra le accuse esplicite, quella di fare “il giornale dei socialisti”. Il bello è, scrive con amara ironia Emiliani, che Craxi e Martelli non la pensavano affatto così. E infatti il segretario del Psi dà il via libera all’operazione.

 

Schimberni farà offerte alternative sontuose, il consiglio di amministrazione del Messaggero e insieme quello della Rizzoli, poi si aggiunge la presidenza della concessionaria di pubblicità. Un sacco di soldi, che farebbero gola a chiunque. Fanno gola anche a Emiliani, che ci pensa su un giorno. Ma poi rifiuta. La Montedison sarà costretta a licenziarlo.

 

Non si resta direttori per sette anni dicendo sempre “no” a tutte le richieste, che vengano dalla proprietà o dai potenti. Ha detto un autorevole giornalista: “I direttori si dividono in due categorie: quelli che fanno i compromessi e quelli che danno il c…”. Emiliani appartiene evidentemente alla prima categoria, ma la sua vicenda dimostra che, se qualche compromesso ha accettato, non sarà stato di certo né importante né disonorevole, perché pochi avrebbero scelto di andare a una rottura che sarebbe stata evitabilissima. E pagherà questa sua indipendenza anche in seguito, perché – incredibilmente – un posto da giornalista non glielo offrirà più nessuno. Dopo di lui a Via del Tritone ci sarà il diluvio; in seguito il giornale veleggerà tra alti e bassi e avrà anche alcune direzioni più che dignitose. Ma il giornale portabandiera di molte battaglie laiche non tornerà più. Per quel che mi riguarda, poco prima della cacciata (annunciata) di Emiliani ho ricevuto un’offerta da Repubblica e non ho vissuto quella meno entusiasmante stagione.

 

Vittorio Emiliani

L’altro Messaggero – Un giornale laico sulle rive del Tevere (1974-1987)
Donzelli 2013 – pp. 361 - € 34

 
www.carloclericetti.it
Lunedì, 9. Dicembre 2013
 

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