La perversa produttività di Monti

L’accordo favorito dal governo, che prevede un meccanismo di incentivi o disincentivi fiscali, è un invito alle aziende a sbarazzarsi del contratto nazionale. Così la maggior parte dei lavoratori rimarrà priva di tutele e il sindacato subirà un inarrestabile declino

Ora Monti può veramente dire “ missione compiuta”.  Con l’accordo separato sulla produttività il triangolo si chiude. Prima la riforma delle pensioni, poi la liberalizzazione dei licenziamenti individuali, ora l’attacco alla contrattazione collettiva nazionale. Nessuno dei tanti governi di destra che abitano l’eurozona era riuscito a tanto in un tempo così breve.

La chiusura del triangolo avviene in modo spudorato. In pratica il governo invita le aziende a disertare la contrattazione nazionale. Se non ne escono formalmente, come ha insegnato Marchionne, possono ugualmente liberarsene. Nel mezzo della crisi, le aziende possono operare licenziamenti individuali e di gruppo adducendo ragioni economiche senza il controllo di una parte terza, com’era il giudice previsto dall’articolo 18. E possono utilizzare la Cassa integrazione per ridurre organici e costo del lavoro.

E’ tutto reso più semplice dal fatto che, a livello aziendale, i lavoratori hanno sempre minore potere contrattuale. A loro tutela rimangono, tuttavia, i trattamenti minimi fissati dal contratto nazionale di categoria in tema di salario e condizioni di lavoro: gli orari, gli straordinari, i turni, il rapporto fra mansioni e qualifiche, le condizioni ambientali e, in generale, tutti gli aspetti fondamentali della prestazione di lavoro.

Fino a quando? Il governo progetta, anche con un sorprendente impegno finanziario, Il progressivo smantellamento del contratto nazionale di categoria, senza il quale quelle tutele tendono a svanire. I lavoratori saranno sempre più soli in una fase nella quale il sindacato è per ragioni oggettive, la crisi, e soggettive, la divisione, sempre più debole.

Da anni si discute sull’elevato livello di tasse che colpisce il salario. Ora il governo Monti indica la più perversa delle soluzioni. L’invito alle aziende a sbarazzarsi del contratto nazionale non potrebbe essere più esplicito. Se diserteranno la contrattazione nazionale, il governo rinuncerà a una parte rilevante del prelievo, e le aziende potranno negoziare lo stesso aumento netto con un cospicuo minore esborso. L’alternativa è semplice. Se un aumento salariale sarà stato negoziato in sede di contrattazione nazionale, il governo colpirà l’aumento con l’aliquota progressiva che al margine può oscillare fra il 30 e il 40 per cento. Ma se lo stesso aumento è fissato a livello aziendale, l’aumento subirà un prelievo fisso del 10 per cento. Non potrebbe esservi incentivo più esplicito e potente per dissuadere le aziende dal partecipare alla contrattazione nazionale. Gli stessi lavoratori saranno confusi e disarmati. La contrattazione nazionale che è chiamata a garantire almeno il salario reale col recupero dell’inflazione già realizzata o prevista, diventa in questo disegno uno strumento inefficiente e punitivo.

Ma non è l’unico vantaggio per il sistema delle imprese. C’è di più. La contrattazione aziendale riguarda non tutto il mondo del lavoro ma quel segmento sempre più ristretto, dove la presenza sindacale è ben radicata e sufficientemente forte per negoziare bene o male un accordo aziendale. La maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici è priva di rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro. Il contratto nazionale li ricomprende. La contrattazione aziendale li esclude.

Poiché, storicamente, la contrattazione aziendale riguarda un numero limitato di aziende e di lavoratori, con lo smantellamento della contrattazione nazionale o con la sua riduzione a un simulacro, destinato a dissolversi nel tempo, aumenterà a dismisura la quantità di lavoratori e lavoratrici senza tutele. In balia di rapporti di forza che, sempre di più, penderanno dalla parte che dispone di maggiore forza, se non altro per il ricatto sull’occupazione.

Si afferma che altri paesi si sono mossi  in questa direzione, e l’esempio ripetuto è la Germania. Ma è falso. I contratti dell’industria e dei servizi rinnovati nel 2012 in Germania hanno fatto segnare aumenti fra il quattro e il sei per cento per scadenze comprese fra dodici e diciotto mesi.

 

L’esempio più significativo del funzionamento della contrattazione a livello aziendale è quello americano. E’ una pratica fondata su una lunga tradizione. Ha funzionato nelle fasi di ascesa economica e di splendore sindacale fino agli anni Settanta. Negli ultimi trent’anni si è assistito a un declino inesorabile della contrattazione aziendale. Ormai ridotta al sette per cento del settore privato. Per il rimanente 93 per cento non c’è contrattazione collettiva. E non vi è nemmeno più la rappresentanza sindacale, una volta che è stata privata della sua funzione.

La dissoluzione del sindacalismo americano è stata il triste seguito della progressiva disintegrazione della contrattazione. E’ il modello che segue il governo Monti mettendo in campo i mezzi di cui dispone, l’incentivazione-disincentivazione fiscale. Nell’immediato, l’obiettivo è lo svuotamento della contrattazione nazionale. Ma all’orizzonte s’intravvede il lento e inesorabile deperimento del sindacato. A meno che l’opposizione della CGIL non diventi l’opposizione della sinistra che si candida a governare.

Martedì, 27. Novembre 2012
 

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