Fisco, sindacati divisi ma sbagliano uniti

La richiesta di Cisl e Uil di aumentare la detassazione del salario di produttività non ha senso in questa fase, ma anche la proposta Cgil (niente Irpef sulle tredicesime di lavoratori e pensionati) produrrebbe vari effetti negativi. Con 6 miliardi si potrebbe invece manovrare sulle detrazioni fino a 55.000 euro, con 9 fino a 75.000, con benefici percentualmente maggiori per i redditi più bassi

Nelle ultime settimane i sindacati hanno avanzato delle richieste che riguardano l’Irpef; la Cgil ha proposto la detassazione delle tredicesime (lavoratori dipendenti e pensionati), mentre la Cisl e la Uil (con l’approvazione della Confindustria) vorrebbero maggiore spazio per la detassazione del salario di produttività (oggetto di misure restrittive da parte del governo).

 

Ritengo che entrambe le proposte non vadano nella giusta direzione. La proposta della Cgil sembra una misura una tantum, volta a fornire di un po’ di potere d’acquisto a lavoratori e pensionati a Natale, ed infatti ha trovato l’approvazione degli operatori del commercio. Questo di per sé sarebbe un aspetto positivo, vista la caduta dei consumi che stiamo attraversando. Ma presenta due aspetti negativi: il primo è che esclude tutti i lavoratori para-subordinati che non hanno la tredicesima. Il secondo è che la distribuzione dei benefici è troppo sbilanciata verso i redditi alti (si applicherebbe alle remunerazioni fino a 150mila euro).

 

Consideriamo due lavoratori, uno con una remunerazione annua di 15mila euro ed uno con una remunerazione dieci volte maggiore: appunto 150mila euro. Detassando la tredicesima il lavoratore con alta remunerazione risparmia l’aliquota marginale (dell’Irpef, senza considerare le addizionali regionali e comunali), quindi (arrotondando) 4.962 euro, mentre il lavoratore con bassa remunerazione risparmia 265 euro. Mentre i redditi sono in un rapporto di uno a dieci, i risparmi d’imposta sono in un rapporto di quasi uno a diciannove. Anche in termini percentuali il lavoratore “alto” risparmia il 3,3%, mentre quello “basso” l’1,8%.

 

La proposta di spingere sulla detassazione del salario di produttività vorrebbe dare un maggior peso sistematico alla struttura della nostra Irpef, incentivando le misure che stabiliscono un maggior legame tra salario e produttività. Senza entrare nel merito di un tema così ampio, si può notare che la detassazione, inserita sperimentalmente dal governo Berlusconi nel 2008 per gli straordinari, si aggiunge ad una lunga serie di deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, tutti in sede Irpef, volti a incentivare, premiare, favorire questo o quel consumo, questo o quel comportamento. Sarebbe il caso di fare marcia indietro rispetto a questo processo alluvionale di misure che si contano ormai a decine.

 

Nello specifico la detassazione mira a incentivare lo sfruttamento degli impianti con lavoro notturno, festivo e con straordinari. Ovviamente si tratta di misure che servono alle imprese che hanno di fronte una forte domanda, e quindi di un tipo di misura che è tipicamente prociclica. Inoltre si presta, e si è prestata, ad abusi di vario tipo. Ma anche quando effettivamente la produttività aumenta per un maggior sfruttamento degli impianti, va considerato che il problema del recupero della produttività nel nostro paese è da ricercare nell’introduzione di nuove tecnologie di prodotto e di processo, piuttosto che nel maggior uso intensivo delle tecnologie esistenti, che sono tipiche misure di breve periodo, alla Marchionne.

 

Credo che siano possibili misure che favoriscano i lavoratori dipendenti (ed i pensionati), ma che tendano a ristrutturare l’Irpef in modo coerente. Attualmente le detrazioni per lavoratori dipendenti e pensionati presentano una caratteristica peculiare. Prendiamo il caso del lavoratore: fino a 8.000 euro la detrazione è costante e pari a 1.480, poi scende a 1.338 a 15.000 euro (si perdono 7,17 euro ogni 100 di aumento del reddito). Da 15.000 a 55.000 la detrazione continua a scendere (fino ad annullarsi ma più lentamente (3,34 euro ogni 100). Se fossero disponibili circa 6 miliardi la detrazione potrebbe scendere linearmente da 8.000 a 55.000. Tutti i lavoratori (oltre il 90%) compresi in queste remunerazioni avrebbero un vantaggio, che sarebbe massimo a 15.000 euro: 228 euro, ovvero 1,52% dello stipendio. Salendo verso i 55.000 il vantaggio si riduce fino ad annullarsi.

 

Se fossero disponibili altri 3 miliardi, si potrebbe spostare la fine delle detrazioni da 55.000 (limite del terzo scaglione) a 75.000 (limite del quarto scaglione). In questo caso il lavoratore a 15.000 guadagnerebbe 310 euro, 2,07% dello stipendio. Lo sgravio d’imposta continuerebbe peraltro a salire fino a raggiungere i 549 euro a 55.000, ma in percentuale lo sgravio sarebbe 1%, metà del lavoratore a 15.000.

 

Sempre nell’ipotesi di avere risorse ulteriori (dalla riduzione dell’evasione o da una patrimoniale o altro), si può tendere ad allungare il limite della decrescenza, fino all’infinito, cioè rendendo fissa la detrazione, così come era quando nacque l’Irpef. In questo caso il lavoratore a 15.000 euro avrebbe un guadagno di 502 euro, mentre quello a 75.000 avrebbe 1.840. Ma in percentuale il lavoratore a basso reddito otterrebbe il 3,34%, mentre l’altro il 2,45%.

 

In questo modo avremmo reso l’Irpef più trasparente, e le aliquote marginali (cioè quelle che contano per quello che riguarda gli aumenti delle remunerazioni) sarebbero più basse (da sette a tre punti percentuali), favorendo quindi le contrattazioni salariali, ma in modo omogeneo e pulito. 

Giovedì, 27. Settembre 2012
 

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