Le tasse deragliano in curva

La famosa “curva di Laffer”, secondo cui una pressione fiscale eccessiva finisce con il provocare comportamenti che fanno diminuire il gettito, non regge alle critiche scientifiche, ma nella particolare situazione italiana si prende una rivincita. Eppure una strada diversa è stretta ma esiste

In una brumosa giornata newyorkese di molti anni fa un giornalista ed un giovane e promettente economista scendevano i pochi gradini che portavano all'interno di un ristorantino italiano o presunto tale. Spiegando un tovagliolo di carta sulla caratteristica tovaglia a quadretti bianchi e rossi - secondo la vulgata tramandata dagli storici economici - l'economista, di nome Laffer, disegnò su quel tovagliolo con un carboncino una curva che da lui prese il nome. Quella che da allora venne chiamata curva di Laffer rappresenta graficamente un concetto non nuovo nella teoria economica generale, ma relativamente innovativo nella teoria finanziaria pubblica e, soprattutto, nelle opinioni prevalenti dei responsabili politici delle manovre fiscali. Secondo Laffer il punto di massimo gettito e cioè di maggiore incasso da parte degli enti percettori di tributi - Stato, Regioni, Province, Comuni, etc. - non coincide con il massimo della pressione fiscale. Anzi, se tale pressione supera un certo livello, il gettito non solo non aumenta, ma diminuisce.

    

Ciò si verifica per l'agire simultaneo di fattori diversi che operano in parallelo, con effetto sinergico: l'aumento dell'elusione e dell'evasione nonché, per le imposte dirette e per le famiglie e le imprese che ne hanno la possibilità, il fenomeno che negli USA prende il nome di "votare con i piedi", che consiste nello scegliere residenze fiscali meno oppressive. La reazione all'eccesso di imposte indirette, come Iva e accise, si manifesta contraendo bruscamente la domanda.

    

Abbiamo accennato al fatto che il fenomeno è tutt'altro che sconosciuto: si tratta, infatti, di un'applicazione della legge della domanda e dell'offerta. E' noto che all'aumento del prezzo di norma la domanda diminuisce in rapporto alla sua elasticità, che a sua volta dipende dal contesto socio-economico in cui la domanda stessa si colloca. E' ben vero che il tributo è un prezzo imposto (infatti si chiama proprio così); ma il contribuente ha comunque il modo legale di difendersi contraendo l'imponibile. Un famoso regista svedese reagì, anni or sono, all'eccessiva onerosità delle aliquote progressive sul reddito nel suo Paese, interrompendo la produzione di film. Il patrio governo, danneggiato non solo nel prestigio, ma anche nel venir meno degli effetti indotti di un grande film e quindi del relativo gettito, intervenne con un'apposita legislazione a favore delle attività a forte connotazione artistica.

 

Sulla curva di Laffer c’è sempre stato un acceso dibattito. La teoria è stata subito adottata dai conservatori per le loro battaglie anti-tasse, ma molti economisti hanno contestato il fatto che il punto teorico di equilibrio non è scientificamente determinabile e può variare a seconda del contesto sociale e istituzionale. I paesi scandinavi, per esempio, hanno un’altissima pressione fiscale ma anche un ridotto tasso di evasione, sia per motivi di etica pubblica, sia perché ne hanno in cambio un welfare efficiente a cui non rinuncerebbero.

 

Sta di fatto che oggi in Italia, dove il welfare è assai meno efficiente, la propensione all’evasione elevata e la crisi morde, la curva di Laffer sembra funzionare. Stretti nella tenaglia della disoccupazione, del blocco delle rivalutazioni per conguaglio monetario di salari e pensioni, dell'aumento della pressione fiscale (Imu, accise, Iva, tributi comunali e regionali, tariffe, etc.) i contribuenti hanno sensibilmente ridotto la domanda di beni e servizi, e quindi decurtato il relativo gettito fiscale. Sono stati rilevati fenomeni di massiccia delocalizzazione di capitali finanziari e imprese: acquisti di unità immobiliari da parte di cittadini italiani stanno aumentando in varie zone di Paesi esteri, dalla Provenza alla Slovenia e dalla Repubblica Ceca all'Ungheria. Sono stati colpiti da questa contrazione della spesa anche settori che, quando facevamo la primina in materie economiche, venivano considerati a domanda rigida, come l'odontoiatria e le spese sanitarie per analisi e controlli. Conseguentemente il gettito complessivo ha già dato segni di flessione e si aggrava il rischio di un avvitamento verso il basso.

 

In un articolo precedente avevamo disegnato un percorso virtuoso consistente in un'operazione di segno radicalmente opposto rispetto a quello attuale (ed anche alla filosofia per ora prevalente in una Unione Europea nella quale la Signora Merkel sembra voler continuare a calzare l'elmo a chiodo dei suoi lontani predecessori). La barra del governo sembra per ora orientare la rotta verso il "prima incassi e poi spendi". Ma se ci si dovesse render conto che più tasse e meno spese vuol dire nel medio periodo (ma ormai sta diventando breve) meno reddito, meno imponibile ed ancor meno gettito, il duro impatto con la realtà dovrebbe indurre a modificare la condotta della politica finanziaria pubblica. La manovra della riduzione radicale della spesa pubblica non è soltanto poco praticabile (come vedrete quando i provvedimenti specifici susciteranno le reazioni dei settori e delle località colpiti) ma i suoi effetti potrebbero comunque risultare negativi in termini di Pil e quindi di gettito.

 

Vi è tuttavia un problema che rende difficile, ma non impossibile, una politica che inverta le priorità, assumendo la spesa pubblica come generatrice di incrementi di entrate tramite il moltiplicatore delle attività produttive e alleggerendo la pressione fiscale fino al punto in cui il gettito di medio periodo è massimo. Si pensi, per analogia, al prezzo di monopolio che raramente tocca il valore più alto scegliendo piuttosto quel livello che moltiplicato per le unità vendute garantisce al monopolista il massimo profitto. Il fattore discriminante della manovra, che è quello che rende pensosi e prudenti non solo i nostri governanti, ma anche i più aggressivi economisti che supportano le auspicate scelte di Hollande, è l'elemento temporale. Ricorderete i dibattiti sull'alternativa tra la patrimoniale o la tassazione di redditi medi, abitazioni e consumi. Al di là delle contrapposizioni ideologiche, da cui apparentemente il governo dei Professori sarebbe immune (ma è proprio così?) è stato invocato il rischio dei "tempi". La raffinatezza concettuale ha sbracato nel "pochi, maledetti e subito": non è un'elaborazione teorica molto elegante, ma è stato forse il massimo immediatamente fattibile.

 

Il clima sta oggi gradualmente mutando; rimane comunque il problema-chiave della sincronizzazione delle manovre. I tempi della spesa e quelli dell'incasso effettivo del gettito sono sfasati dagli intervalli procedurali e dalla possibilità di rallentare la riscossione di certi tipi di tributi attraverso i ricorsi. In una fase di proteste più o meno pilotate nei confronti di Equitalia, l'affermazione che stiamo per fare sembrerà provocatoria: il successo di una politica fiscale più equa appare paradossalmente legato alla reintroduzione del principio del solve et repete. Se, come diceva Renzo Tramaglino, volessimo piantarla con questo "latinorum", vorrebbe dire pagare prima e ricorrere poi. Del resto il ricorso che ritardi il pagamento non è neppure ipotizzabile nei confronti di quei contribuenti soggetti a ritenute su stipendi e pensioni o che trovano le accise belle e pronte incorporate nel prezzo d'acquisto di beni e servizi.

 

In assenza di questa norma (a suo tempo ritenuta "iniqua"), i governi, pressati da bilanci in squilibrio, non avendo il tempo di attendere gli effetti positivi di una politica volta a rianimare produzione e consumi, privilegiano l'imposizione indiretta o quella che colpisce immobili o redditi da lavoro dipendente perchè i relativi incassi sono immediatamente esigibili, rinviando ad un futuro più o meno lontano la tassazione di ricchezze e rendite protette da una barriera di agguerriti legulei favoriti dalla lentezza pachidermica delle procedure. Coniugando, quindi, il massimo dell'iniquità con il massimo dell'inefficacia. Come volevasi dimostrare.

Mercoledì, 27. Giugno 2012
 

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