Quanto può dare una tassa sui ricchi

Una nuova ipotesi di imposta sulle grandi fortune viene dalla Cgil, che però per il gettito fa riferimento ai valori patrimoniali dell’indagine Bankitalia, calcolati a prezzi di mercato, mentre in Italia si utilizzano oggi i valori catastali pari a circa un terzo. Anche dopo le necessarie modifiche, comunque, con il ricavato si dovrebbe ridurre l’Irpef

La recente proposta della Cgil sull’introduzione nel nostro sistema tributario di un’imposta sulle grandi ricchezze ha riscosso una certa attenzione da parte dei media; l’imposta si ispira a quella francese, detta di solidarietà “sur la fortune”, che quando fu introdotta nel 1982 dal governo socialista (presidente Mitterand, primo ministro Mauroy) si chiamava proprio imposta “sur les grandes fortunes”. La struttura dell’imposta è semplice: si prende la ricchezza netta familiare, si deducono 800mila euro e si applica un’aliquota. Il documento stima una base imponibile di 1.786 miliardi, per cui applicando un’aliquota pari  all’1% si ottiene un gettito di 17,9 miliardi, mentre con un’aliquota di 0,55% il gettito è di 9,8 miliardi. La stima della base imponibile deriva dai dati della Banca d’Italia: le famiglie interessate sono circa un milione e duecentomila (il 5% delle famiglie), con una ricchezza di 2.753 miliardi. Escludendo per ciascuna la soglia esente, si ricava la base netta.

 

La proposta ha ricevuto subito una bordata di critiche. Ovviamente la prima è che, come al solito, la sinistra vuole aumentare le imposte, mentre invece bisogna ridurre le spese. Tornerò più avanti su questo punto; per ora vorrei sottolineare che sulla rete vi sono siti che spacciano plateali falsità, affermando che secondo la Cgil appena si supera il limite di 800mila euro l’imposta cade sull’intera base imponibile, sicché un contribuente con 799.999 euro non paga nulla, mentre uno con 800.001 paga 8.000 euro. Ovviamente non è vero.

 

Vediamo ora il primo problema: l’imposta francese ha dato un gettito di 4,2 miliardi nel 2008 e 3,6 nel 2009, con basi imponibili stimate in 566 e 560 miliardi rispettivamente. Dunque l’aliquota media (1) era 0,74% nel 2008 e 0,64% nel 2009. Come è possibile (2) che il gettito stimato sia così alto, anche nel caso di un’aliquota pari allo 0,55%? Come dice la nota della Cgil, il rapporto tra ricchezza netta e reddito netto disponibile è del 7,84 in Italia e 7,52 in Francia. Poiché il reddito è più alto in Francia, l’ammontare assoluto della ricchezza è di un ordine pressappoco uguale nei due paesi. Difficile anche pensare che la ricchezza sia talmente più concentrata in Italia, rispetto alla Francia, da determinare una base imponibile più che doppia.

 

Vi possono essere varie ragioni, ma le principali sono a mio avviso le seguenti:

a) nel determinare la base imponibile una serie di attività sono oggetto di una rettifica al ribasso, come ad esempio i valori delle imprese individuali. La principale rettifica però è sicuramente la riduzione del valore della casa d’abitazione, dal cui valore si toglieva il 20% fino al 2007, ed ora il 30% dal 2008 (3). Già questo aumento del 10% ha un forte effetto: supponiamo che la casa d’abitazione a Parigi valga 1 milione e 200mila. Con la riduzione del 20% (e la soglia di esenzione) il contribuente versava 880 euro; con l’aumento al 30% il contribuente ne versa 220, cioè un quarto.  

b) come è noto in Francia l’imposta sul reddito si basa sul quoziente familiare, che identifica il foyer fiscal, in sostanza il nucleo familiare (4) del quale non fanno parte i figli maggiorenni (5); ma nel caso dell’imposta patrimoniale i coniugi che hanno optato per la separazione dei beni e quelli che hanno avviato separazione legale presentano separatamente la dichiarazione patrimoniale, così come fanno i figli maggiorenni, ai quali i genitori abbiano donato una parte del patrimonio. In questo modo, legalmente (6), un patrimonio di 4,2 milioni può venire diviso in quattro parti e non versare imposta (7).    

 

In Italia vi è però un problema più serio. I valori patrimoniali (Ici, Registro, Successioni) sono valutati sulla base delle rendite catastali, mentre i dati della Banca d’Italia si riferiscono ai prezzi di mercato. Il rapporto tra i primi ed i secondi si colloca mediamente intorno ad un terzo. E’ come se vi fosse un abbattimento di due terzi del valore, non solo per le case di abitazione ma per tutti gli immobili. Non solo, ma dietro questo rapporto medio si nascondono delle oscillazioni molto forti per immobili che hanno valutazioni di mercato simili ma valori catastali diversi; capita anche  spesso che case di periferia costruite in tempi più recenti abbiano rendite più alte di case dei centri storici che però hanno un valore di mercato maggiore. Se le rendite catastali si collocassero nell’intorno di un terzo per tutti gli immobili il problema sarebbe risolvibile con aliquote più alte per il settore immobiliare rispetto a quelle sulle attività finanziarie, ma così non è.

 

Per ottenere quindi un gettito maggiore, ma soprattutto per non creare iniquità distributive che minerebbero il consenso all’imposta, un passo indispensabile è introdurre la valutazione a prezzi di mercato per gli immobili. Se questo è possibile in Francia (o negli Stati Uniti), non si vede perché non dovrebbe essere possibile in Italia. Tra l’altro da studi effettuati risulta che con pochi parametri, tipo metri quadri, località, altezza e stato di conservazione, si approssimano con buona accuratezza i valori di mercato.

 

Ammettendo comunque di aver risolto il problema della valutazione, il gettito che si potrebbe ricavare è, anche nel caso di un’aliquota  pari all’1%, più vicino a 5-6 miliardi che ai 17,9. Ciò significa che l’imposta sulle grandi ricchezze può dare un contributo a riequilibrare la struttura del prelievo, ma da sola non è sufficiente. D’altra parte vi è necessità di diminuire il peso dell’Irpef, che è l’imposta che ha retto meglio nel periodo di recessione e a cui Comuni e Regioni faranno ricorso nei prossimi anni, secondo quanto stabiliscono i decreti attuativi del federalismo in materia di addizionali Irpef. La quale imposta, come è ben noto, grava essenzialmente sui redditi da lavoro dipendente e da pensione. Pertanto è opportuno non dimenticare il tema dell’aumento della ritenuta secca del 12,5% sui redditi finanziari (e diminuzione di quella al 27% sui conti correnti), e affrontare anche quello di un’imposta comunale sugli immobili, su tutti gli immobili. Oltre a rientrare perfettamente nella logica del federalismo, anche una taxe d’habitation alla francese contribuisce al riequilibrio del prelievo fiscale.

 

Da quanto detto è chiaro che a mio avviso l’imposta sulle grandi ricchezze, e le altre su redditi diversi dal lavoro, dovrebbe servire essenzialmente a ridurre l’Irpef. Le proposte non mancano, sia da parte della stessa Cgil e anche degli altri sindacati, sia da parte dei partiti (Pd), che di istituti di ricerca come il Nens. Su E&L ne ha scritto Alfredo Recanatesi. Brevemente si tratta di diminuire la prima aliquota (dal 23% al 20%) e la terza (dal 38% al 36%), rendere meno decrescenti, al limite costanti, le detrazioni per lavoro e per carichi familiari. Poiché è chiaro che nei prossimi anni il bilancio pubblico sarà sottoposto a sforzi notevolissimi, le tappe di attuazione di questa revisione dell’Irpef dovranno essere graduate, ma in modo coerente con una visione organica del prelievo.

 

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Note

 

1) Il sistema francese è a scaglioni, con aliquote che vanno dallo 0,55 all’1,8%, ma già l’1% si applica per contribuenti con oltre quattro milioni di euro, un numero molto limitato. Pertanto l’aliquota media è solo un po’ più alta di quella di base.

2) Questa è la prima domanda che si pone Sandro Brusco su Noise FromAmerika; si tratta dell’intervento più approfondito tra quelli che ho potuto vedere.

3) Inoltre Sarkozy ha introdotto il limite del 50% del reddito come ammontare massimo della somma delle imposte dirette.

4) Il nucleo familiare è quello di fatto, che ci sia o regime matrimoniale o pacs. Un altro aspetto importante è l’accesso diretto che le Finanze hanno ai conti correnti dei contribuenti, misura ad alto contenuto di deterrenza che sarebbe necessario introdurre anche da noi.

5) Salvo gli studenti universitari durante il periodo di studio (con limite).

6) Ovviamente nel momento in cui il patrimonio viene donato scatteranno delle imposte, che però sono una tantum. L’illegalità potrebbe caso mai esserci nel caso di finte separazioni legali.

7) Questa considerazione suggerisce l’ipotesi che l’imposta venga applicata su base individuale; nel caso di coniugi in comunione dei beni si divide per due il patrimonio. Ovviamente il limite esente andrebbe opportunamente ridotto.    

              

Sabato, 2. Aprile 2011
 

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