Dov’è la polpa per i tagli al bilancio

Più che con il mitico recupero dell’evasione i conti pubblici potrebbero avere un forte aiuto con una razionalizzazione a livello delle amministrazioni locali, sia sul versante degli eletti che da quello della struttura amministrativa. I possibili risparmi potrebbero raggiungere cifre impensate, fino a 50 miliardi di euro

In alcuni articoli su giornali e riviste (qualche tempo fa, anche uno mio) vengono discussi i programmi di sviluppo formulati da gruppi politici, sindacati e associazioni imprenditoriali. Ciò avviene nel più totale disinteresse della pubblica opinione, pilotata da una struttura informativa poco attenta ai problemi reali. La sensazione è che non vi siano ancora idee chiare sulla "quadra" (per dirla alla Bossi) e cioè sul come ottenere le entrate necessarie a coprire le spese per lo sviluppo e l'ammodernamento strutturale del Paese, tenendo conto del livello molto alto raggiunto dalla pressione fiscale.

    

In questo contesto un vento di pazzia sembra aver colpito la nostra classe dirigente. Gli amanti dei fumetti ricorderanno che in una cupa Gotham City un avversario del protagonista Batman, chiamato Jolly Joker, flagellava i cittadini con azioni lucidamente folli. Il nostro Joker non ha solo operato tagli lineari nei costi pubblici, ma ha infierito su università, ricerca, scuola, trasporto dei pendolari e assistenza sociale, astenendosi scrupolosamente dall'incidere sulle fonti degli sprechi, dalla corruzione negli appalti ai costi della presidenza del Consiglio (raddoppiati in un anno). Più recentemente, dopo aver affermato che il turismo costituisce una grande risorsa per il Paese, si è ritenuto opportuno colpirlo con l'imposta di soggiorno e la tassazione delle seconde case, così come sono stati drasticamente ridotti i flussi finanziari verso i musei, i teatri e la cultura in genere, dopo averli retoricamente dipinti come la "miniera" italiana. Last but not least, appurato che l'unico serio sbocco occupazionale era costituito dalle energie rinnovabili, se ne è, speriamo temporaneamente, bloccato lo sviluppo.

 

Nel frattempo assistiamo all'incredibile spreco costituito dai cosiddetti "trasferimenti statistici" in materia di energie rinnovabili. Poichè l'Italia non raggiungerà i livelli previsti dagli accordi internazionali (e men che mai se gli incentivi saranno ridotti) pagherà la differenza ai Paesi virtuosi. Il che è quanto dire che i contributi in bolletta dei consumatori di energia italiani (tanto deprecati) rimarranno probabilmente immutati, ma l'occupazione primaria e l'indotto si creeranno a nostre spese in altri Paesi.

 

Scarsa o nulla attenzione viene posta per individuare possibili cospicue riduzioni di costi. Sgombriamo innanzi tutto il campo da un equivoco che implicitamente sussiste anche in alcuni programmi del Centro-sinistra. Le proposte di quadratura del bilancio e, quindi, di sostegno della politica di sviluppo fanno spesso riferimento al recupero dell'evasione fiscale, cifrata talora con numeri fantasiosi (centinaia di miliardi come bruscolini). Qualunque rientro di imposte evase, mantenendo eguale il gettito dai contribuenti onesti si traduce in un aumento della pressione fiscale complessiva, con effetti recessivi ben noti. Meno noto, o forse meno ricordato, è l'impegno formalmente preso da questo come da precedenti governi, di destinare le somme recuperate per ridurre l'onere fiscale sui contribuenti fedeli. Supponendo comunque anche un intensificarsi della lotta all'evasione, che frutta attualmente 9 miliardi l'anno, si potrebbe arrivare a 15 miliardi o poco più, da restituire eventualmente alle amministrazioni locali, per evitare l'inasprimento di tickets e contributi.

    

Inoltre l'eccessivo infittirsi dei controlli anti-evasione incontra un limite nel rapporto fra i costi di tali controlli (diminuita attività imprenditoriale ed eventuale migrazione di contribuenti) e il ricavo del debito, rapporto che potrebbe assumere valenza negativa. Ne consegue che la strada preferibile è quella della riduzione dei costi. In questo campo vi sono opportunità che sembrano grandi nell'immaginario collettivo, ma sono trascurabili nella realtà. La pretesa neghittosità dei pubblici dipendenti non è certo sanata spingendo torme di impiegati febbricitanti a curarsi il raffreddore nel luogo di lavoro, per consentire quei tagli lineari che in qualche caso riducono l'efficienza al di sotto dell'operatività. Per contro un aumento oculato o mirato della spesa in amministrazione, controllo del territorio, ricerca, scuola, università e nella cosiddetta economia di manutenzione (che riduce i costi degli interventi ex post),aumentando il tasso di sviluppo di fatto affievolisce la pressione fiscale.

 

Rimane dunque un solo grande cespite di costo da esplorare, come hanno fatto altri ricercatori, tra cui l'Ufficio sudi degli Artigiani di Mestre: quello del costo della politica.

    

Spesso l'attenzione viene portata sul Parlamento. Ma anche se si accettasse la proposta Renzi (dimezzamento del numero dei parlamentari e delle indennità) difficilmente il risparmio ottenibile supererebbe un miliardo di euro. La "polpa" è altrove ed è nelle amministrazioni locali che la riforma federale vorrebbe ringalluzzire. Alcune ricerche forniscono il dato di 160.000 eletti a livello locale, con un costo complessivo di 25 miliardi di euro. Ritengo questa cifra fortemente sottostimata. Fermo restando l'apparato amministrativo funzionale, occorre calcolare gli oneri costituiti dal sottobosco di assistenti, segretari, autisti, intermediari e imprenditori "amici", vincitori di appalti più o meno fasulli o gonfiati. Si otterrebbe allora una cifra fra i 75 e i 100 miliardi di euro. Questa fascia di privilegiati conta più di un milione di persone, dato che trova conferma nella dinamica di una certa tipologia di consumi medio-alti.

    

Si può incidere su questo bubbone generando una robusta leva allo sviluppo ed anche al riequilibrio della distribuzione dei redditi e della ricchezza? A livello teorico certamente si (la volontà politica è un discorso a parte). La dimensione economica ottima delle unità amministrative elementari (i Comuni), tenendo conto sia della particolare struttura orografica di questo Paese che del ruolo decisivo delle nuove tecnologie, si può valutare intorno ai 50.000 abitanti (100.000 per i municipi metropolitani, alcuni dei quali andrebbero ridimensionati). Andrebbero comunque abolite le province. Il numero dei politici eletti potrebbe scendere, quindi, a 25.000. Ridimensionando le indennità di carica intorno allo stipendio medio di un professore di liceo (con eventuali livelli analoghi a quelli dei Presidi per assessori, sindaci e presidenti di Regione) si otterrebbero non meno di 50 miliardi di risparmi, anche per la corrispondente riduzione della corte di nani e ballerine. Il controllo anti-corruzione ne risulterebbe inoltre facilitato.

 

In conclusione:

- Non riteniamo che si possano accrescere rapidamente gli introiti da evasione, che comunque vanno impiegati per ridurre la pressione fiscale.

- L'amministrazione centrale e i settori colpiti (fra cui la cultura) vanno rimpolpati, per non ridurre l'efficienza del sistema.

- Una massa di manovra di 50 miliardi renderebbe possibili interventi strategici nella politica industriale, nella ricerca avanzata ed anche nelle piccole opere manutentive. Inaugurare strade nuove lasciando che vadano in rovina quelle vecchie è sintomo di cattiva politica e cattiva economia. Una riserva dovrebbe essere tenuta, inoltre, per far fronte al già incombente aumento dei tassi sul debito pubblico.

- In definitiva, la riduzione del rapporto deficit/Pil si otterrebbe, come invocano anche i sindacati, ampliando il denominatore e non strozzando la spesa produttiva.

Sabato, 19. Marzo 2011
 

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