Quella del lavoro, si sa, è una storia di riscatto ed insieme di ricatto. Però, il ricatto non ha mai avuto limpudente visibilità, la durezza e lestensione che ha acquistato da Pomigliano in qua. E sotto gli occhi di tutti, ma non sta bene dirlo. E politicamente scorretto. Infatti, come era inevitabile, liniziativa referendaria in materia di lavoro di cui si occupano le cronache ha suscitato le irate reazioni della politique politicienne. Improponibile, inopportuna, scriteriata. A prescindere dal merito delle questioni sollevate dai quesiti depositati in Cassazione pochi giorni fa: un po perché i nostri politici sono soliti comportarsi così e un po perché essi ritenevano che i faticosi, ma avanzati compromessi raggiunti non potessero essere rimessi in discussione o, in omaggio alla regola per cui non si disturba il manovratore, tuttal più toccava soltanto a loro aggiustarli.
Viceversa, listanza referendaria e la campagna che seguirà per la raccolta delle firme servono per sottrarre la regolamentazione del lavoro allopaco bricolage delle transazioni private e restituire alla politica del diritto del lavoro la centralità che le spetta nel dibattito pubblico. Insomma, la politique politicienne non è stata nemmeno sfiorata dal sospetto che il responso popolare venga sollecitato per trasmettere ad una popolazione che, non conoscendo ancora con quale legge elettorale si andrà a votare, non può nemmeno immaginare i connotati del futuro governo del paese, un messaggio di conforto e di speranza. Il conforto di sapere che il ripristino della normale dialettica politica della cui autenticità si sta perdendo il gusto e il ricordo non solo è lecito, ma è possibile qui ed ora e la speranza di contribuire a dare una stabile prospettiva di sviluppo in unarea cruciale dei rapporti sociali: il lavoro dipendente cui il Dottor Stranamore che per una decina di anni ha fatto parte della compagine governativa voleva togliere il diritto ad avere diritti.
Dicendo questo, mi riferisco non tanto al quesito referendario che, rivisitando criticamente la disciplina del licenziamento risultante dalla riforma Fornero, ipotizza il ritorno alla versione originaria dellart. 18, quanto piuttosto al quesito sullart. 8 di uno dei numerosi decreti-anticrisi emanati negli ultimi giorni del governo dimissionario.
Vero è che il primo quesito ha prodotto (per inerzia, pigrizia mentale od anche ignoranza) un effetto-vampiro sulla stampa quotidiana, ma la normativa presa di mira dal secondo è senzaltro più devastante. E ciò perché minaccia la stessa esistenza del diritto del lavoro come partizione dellordinamento generale provvista di una propria identità e organicità. E un semi-lavorato che, confezionato nel pieno di una concitazione accostabile (non a caso) a quella che accompagna la ritirata di un esercito in fuga, deve avere creato seri imbarazzi persino a chi ne approvò la conversione in legge, visto che votò simultaneamente un ordine del giorno presentato dallopposizione contenente la promessa di riesaminare la questione.
In effetti, prevedendo che la contrattazione di prossimità (ossia, periferica: aziendale e/o territoriale) abbia la licenza di derogare in peius non solo ai contratti nazionali, ma anche a gran parte della legislazione applicabile al rapporto di lavoro, la norma sancisce il definitivo e pressoché totale abbandono del principio dinderogabilità delle regole prodotte dalle fonti costituzionalmente legittimate del diritto del lavoro nonché levaporazione del principio per cui a lavoro uguale devono corrispondere uguali diritti, economici e non. Come dire: è la prima volta che un legislatore svende il suo ruolo a soggetti privati.
In effetti, nella storia dei Parlamenti moderni non ci sono antecedenti del genere. Per questo, nessuno mi può incolpare di farmi prendere dalla militanza per partito preso se, avendo il privilegio di poter parlare allopinione pubblica in nome di qualcosa che abbia a che fare con cultura e politica, commento con favore linvito alla consultazione popolare. Vero è che, come Gustavo Zagrebelsky ha scritto su la Repubblica del 19 luglio, nel clima pesante di questo fine legislatura occorre resistere alla chiamata alle armi e non è facile. Ma lautorevole giurista non avrebbe mai creduto che potesse essere così poco complicato mantenere le giuste distanze anche parlando di un referendum abrogativo che, a suo modo, implica di per sé una chiamata alle armi. Il fatto è che stavolta labrogazione ha per oggetto una scelta normativa che non danneggia una parte sola: danneggia tutti. Anche gli imprenditori; tranne quelli che hanno uno spiccato istinto predatorio e amano più il mercato delle regole che le regole di mercato. Strano: il governo Monti non se ne è accorto e non ha disinquinato lordinamento.
Tuttaltro che originale, invece, è il segmento della riforma-Fornero che i referendari propongono di ripulire. Dellinnovazione, contrariamente ai propositi dichiarati, può dirsi che, se nuoce parecchio ai lavoratori, non giova nella stessa misura al mondo delle imprese. La norma che ha sostituito lart. 18 è labirintica, contorta, contraddittoria. Si direbbe che è il prodotto delleccesso di consapevolezza che tormenta linsicuro ministro in carica: sta lì a testimoniarlo la zelante e poco meno che maniacale ricerca di distinguo pseudo-concettuali e di iper-correttismi la cui intricata matassa fa del dettato legislativo un concentrato di irragionevolezze. Forse, soltanto ai pandettisti dell800 una manifestazione tanto spinta di astratto formalismo non sarebbe dispiaciuta. Ma anche i sudditi di ieri, se avessero potuto manifestare la propria opinione con la libertà dei cittadini di oggi, ne avrebbero dette di tutti i colori.