Che i dati del mercato e delleconomia cambino rapidamente è del tutto naturale, ed è anche necessario, se non si vuole cadere nella stagnazione. Di recente, sembra che si vadano però accelerando i cambiamenti di aspetti strutturali delleconomia mondiale, una tendenza che è cominciata qualche anno fa, e non sembra destinata a scomparire, né ad attenuarsi. Ci fronteggiano ormai dei problemi a dimensione planetaria, e non sembra esserci oggi unistituzione dotata dei poteri necessari su di una scala sufficiente per poterli risolvere. I paesi ricchi, e quelli che lo stanno diventando, dovrebbero essere i più preoccupati, perchè la situazione minaccia proprio la way of life che loro godono oggi o vorrebbero godere domani. Invece, essi sono abbastanza sordi su una e sullaltra faccia del problema.
Il problema che ci sta di fronte ha infatti due facce. Da un lato è necessario ed urgente ridurre linquinamento e le emissioni di CO2 nellatmosfera; dallaltro, si cominciano a profilare indizi crescenti di una scarsità di petrolio, non immediata ma che sembra avvicinarsi, e minaccia di diventare reale già fra un decennio. Il che, dati i tempi necessariamente lunghi dellindustria petrolifera, vuol dire che la situazione si dovrebbe affrontare oggi senza attendere domani. Gli indizi di cambiamento e le preoccupazioni che essi creano sono così importanti da far pensare che si prendano rapidamente decisioni operative. Ciò non è avvenuto, e cè da temere che non avverrà neanche nel prossimo futuro. Personaggi e governi continuano a pensare che questi siano due problemi diversi. Invece il problema è uno solo e significa una cosa molto difficile, non dico a fare, ma anche soltanto a pensare: dovremo, in pochi decenni, cambiare a livello globale il modo di produrre e di consumare le fonti di energia.
Non è certo un problema da poco. Dallepoca della rivoluzione industriale leconomia mondiale è indissolubilmente legata allimpiego di combustibili fossili, prima il carbone e poi il petrolio ed il gas. LEuropa, senza giacimenti petroliferi in terraferma, rimase ancorata al carbone fino alla seconda guerra mondiale. Quando, negli anni 50, sintensificò la concorrenza dellolio combustibile al carbone, lEuropa prese delle misure, come ad esempio
Ma la risposta è già venuta. Il mercato ha reagito alla futura scarsità non a quella attuale, che non esiste facendo schizzare il prezzo del petrolio fino a livelli mai visti prima. Ci possiamo chiedere che effetti potrà avere questa risposta. Arricchirà gli speculatori, aumenterà le già enormi entrate dei paesi produttori e gli altissimi profitti delle compagnie petrolifere internazionali, ma non risolverà affatto né luno né laltro dei due problemi. Lesperienza del primo e secondo shock petrolifero negli anni settanta ce lo fa pensare. Questa volta lelasticità della domanda si va mettendo in moto ancor più lentamente di allora, dato che il reddito dei consumatori è molto più alto di quanto non fosse allora, ed il trasporto è un settore molto meno flessibile dellindustria, che fu negli anni settanta e nei primi anni ottanta il principale agente della conservazione dellenergia e della riduzione della domanda di petrolio.
Lindustria utilizza oggi per la maggior parte gas naturale e non petrolio, e leffetto prezzo si fa valere più lentamente. Daltro canto, le grandi compagnie petrolifere lamentano che i loro investimenti sono rallentati o impediti da tanti fattori, fra cui linflazione dei prezzi dei beni capitali, che ha provocato grandissimi aumenti nei costi dei grandi progetti di sviluppo; ed il fatto che i paesi petroliferi non accettano di lavorare con loro né nel proprio territorio né altrove. È quindi probabile che gli investimenti non risponderanno se non lentamente allandamento del prezzo del greggio.
Laltra faccia della medaglia è anche peggio. Il problema delle emissioni nellatmosfera non si può affrontare su scala sufficientemente ampia per avere successo, e rimane sempre più incerto date le posizioni dei maggiori paesi interessati, alcuni fra i quali negano addirittura lesistenza del problema. La struttura istituzionale degli Stati, ricchi o poveri che siano, non offre lo strumento per affrontare un problema che è planetario: nessun paese è in grado di risolverlo, nei suoi due aspetti, per sé solo. Noi parliamo, a ragion veduta, di globalizzazione delleconomia come motore dellaumento del reddito mondiale. Essa riguarda però il movimento dei capitali e delle merci. Solo su questi due temi, o, almeno, su uno di essi, essa ha creato istituzioni capaci di definire un consenso a livello globale sufficiente a risolvere problemi di grande rilievo.
Paesi ricchi e paesi poveri, paesi produttori e paesi consumatori, paesi virtuosi e paesi spreconi, paesi che, come lEuropa, in qualche modo cercano di affrontare i problemi e paesi che li ignorano, sembrano tutti avere interessi diversi: e nessuno di loro riesce a impostare la questione in modo da creare un consenso anche solo di una maggioranza di paesi. Cè da sperare che il prossimo futuro porterà qualche miglioramento. Cè da augurarselo, perché il duplice problema che abbiamo di fronte ha unimportanza davvero vitale per leconomia di tutto il mondo.