Blair vincerà aumentando le tasse

Dopo gli anni del thatcherismo e del 'blairismo liberista' gli inglesi sono ad una svolta: vogliono più servizi pubblici, e i sondaggi danno favorito Bair che ha detto che aumenterà le imposte per finanziarli

Pur senza assumere i toni apocalittici tipici del nostro paese, in Inghilterra si è svolta una vivace ed interessante campagna elettorale. Riuscirà il New Labour ad ottenere un terzo mandato? Sarebbe la prima volta nel Regno Unito e sancirebbe la definitiva affermazione del nuovo partito, di una "terza via" capace di accontentare gli imprenditori - tanto che 63 tra i grandi business leader inglesi hanno sottoscritto un appello a suo favore pubblicato dal Financial Times - e allo stesso tempo di lottare efficacemente contro le forme peggiori di esclusione sociale. Quale sono i nuovi obiettivi dell'attuale governo inglese?

A partire dal 1997, anno della prima vittoria di Blair, la disuguaglianza assoluta in termini di reddito ha continuato a crescere. Tuttavia, se paragonata ai precedenti diciotto anni dominati dalla destra Thatcheriana, è aumentata ad un ritmo molto più lento. In termini semplici, durante i governi conservatori la popolazione compresa nel dieci per cento più ricco d'Inghilterra ha visto il proprio reddito aumentare di oltre il 50%, mentre il dieci per cento più povero di un misero 10%; allo stesso tempo venivano tagliate le pensioni, si riducevano i servizi sociali mentre i prezzi delle case, particolarmente nella capitale, non finivano di aumentare. Negli ultimi anni questo trend è cambiato, ora tutti i gruppi sociali accrescono il proprio reddito nella stessa proporzione. Questo significa che le distanze continuano ad aumentare, ma più lentamente.

I più poveri, in particolare se giovani madri single, hanno visto invece la loro situazione migliorare notevolmente. Si tratta probabilmente dell'unico risultato visibile prodotto dall'aumento della spesa sociale voluta dal governo Blair, concentrata in sgravi fiscali per famiglie monoreddito, e legata  dunque alla condizione di lavoratore. In altre parole, solo chi paga le tasse e quindi ha un lavoro, per quanto mal retribuito, può avere dei crediti d'imposta. In tal modo si cerca di stimolare la ricerca del lavoro, che rimane il veicolo primario di inclusione sociale. L'introduzione del salario minimo è stata funzionale a questo disegno di lotta alla miseria nella quale la politica della Thatcher aveva fatto precipitare le fasce più deboli del mondo del lavoro.

Questa campagna elettorale tuttavia pone agli elettori, ma soprattutto ai politici, degli obiettivi più impegnativi. L'Economist pubblica un sondaggio che spiega come la preoccupazione centrale degli elettori britannici sia il Servizio Sanitario Nazionale. Il Labour ha certamente aumentato la spesa sanitaria e prevede di continuare ad aumentarla. Le decine di migliaia di nuovi medici e infermieri non sono infatti ancora sufficienti per dotare nuovamente l'Inghilterra di una assistenza medica all'altezza di una grande nazione europea. Dopo anni di monolitismo culturale, durante i quali era praticamente impossibile non magnificare le qualità del privato contro il pubblico, le cose sembrano davvero cambiare, come se l'opinione pubblica, dopo l'ubriacatura neoliberista, si fosse risvegliata con il mal di testa, o hangover  come si dice a Londra.

Gordon Brown, il ministro dell'economia, ha spiegato chiaramente ai lettori del Guardian che la differenza fondamentale tra gli Inglesi e gli Americani è che i primi hanno scelto di avere un sistema sanitario pubblico, con le differenze che questo comporta in termini di tassazione e spesa pubblica. Al terzo posto dopo la sanità e il crimine, gli inglesi pongono l'educazione come priorità. Al quarto le pensioni, perché quelle pubbliche sono stagnanti ormai da troppo tempo.

Questo quadro, e il cambiamento di atteggiamento nei confronti della spesa pubblica, danno il senso di due significative affermazioni di Gordon Brown. La prima in conferenza stampa accanto al direttore del Fondo Monetario Internazionale, Rodrigo Rato. Commentando uno dei famigerati report del Fondo, che gli intimava di tagliare la spesa e fare correzioni di bilancio pena terribili squilibri macroeconomici, il ministro dell'economia ha semplicemente detto che il Fondo si sbaglia, che non capisce nulla dell'economia inglese e che, pertanto, egli non ne seguirà le raccomandazioni. Inoltre, quando gli è stato chiesto di affermare che non aumenterà la tasse se eletto ad un nuovo mandato, Gordon Brown ha opposto un netto rifiuto: le uniche regole che egli seguirà saranno quelle che lui stesso si è imposto: pareggio di bilancio nel medio periodo, ovvero al netto del ciclo economico; debito pubblico solo per finanziare investimenti, nei quali trovano spazio le nuove attrezzature mediche e le spese per le infrastrutture.

Se il Labour vincerà anche le prossime elezioni, Brown sarà probabilmente primo ministro quando Blair, come ormai ha promesso pubblicamente, si dimetterà dopo aver condotto il partito alla terza vittoria. Il leader in pectore sembra meno propenso del suo predecessore a vicinanze ideologiche con la destra americana in politica estera e pare meno subalterno al grande capitale quando si tratta di motivare e difendere le ragioni profonde della spesa pubblica, sia pure nella sua concezione moderna che enfatizza le responsabilità individuali accanto ai diritti.

In attesa di comprendere in che modo si tradurrà in pratica il programma di spesa del Labour - che prevede di aumentarla del due per cento del PIL durante il prossimo mandato - è tuttavia da sottolineare che permane una profonda differenza nel modo in cui la destra e la sinistra affrontano le loro battaglie, una differenza che potrebbe risultare fatale alle ambizioni di Brown. Per avere un senso del vero dibattito, più che i conservatori, che non riescono a recuperare l'antico smalto, bisogna leggere con attenzione sia l'Economist che il Financial Times, autorevoli espressioni dell'economia ortodossa. Annusando il cambiamento d'aria e veloci al contrattacco, questi hanno rispolverato nelle ultime settimane una antichissima proposta politica liberista: l'introduzione di una unica aliquota fiscale al posto delle attuali tre.

L'argomentazione è sempre la stessa, da alcuni decenni ormai. L'aliquota unica è più semplice, evita molte spese di gestione, fa persino aumentare il gettito (tesi mai provata da studi econometrici). In ultima analisi, è più equa. I due giornali britannici si spingono ad affermare che la progressività potrebbe essere assicurata dal fatto che tale aliquota potrebbe essere alta, come potrebbe essere similmente alta la soglia per l'esenzione totale. Tralasciando di soffermarmi sulle motivazioni contrarie a questa proposta, ciò che colpisce è la forza e la spavalderia che vengono adoperate per difenderla, a costo di sfiorare il ridicolo dato che gli esempi scintillanti che si riportano per dimostrarne la bontà sono alcuni nuovi stati membri della UE, come la minuscola Estonia, e persino la Russia, terreno di crescente conflitto sociale, e uno dei pochi Stati al mondo dove la speranza di vita sta diminuendo.

Il punto è che c'è ancora molto da imparare dalla destra liberista, al di là delle buone intenzioni di Brown, e della speranza che il ministro suscita in molti ambienti politici e sindacali per una rinascita in senso compiutamente moderno di un'impostazione politica capace di valorizzare il ruolo dello Stato nella costruzione di una società che sia meno dominata dagli interessi particolari.

C'è da imparare che le idee e i progetti forti non si possono perseguire in sordina per paura di essere scoperti o contando sulla distrazione degli avversari. Gli articoli del FT e dell'Economist mostrano che gli avversari sono ben attenti. Come loro, bisogna essere decisi, spiegare le ragioni, mostrare con più chiarezza quali finalità vanno raggiunte e con quali mezzi. Questo dovrà forse fare Brown, quando e se aumenterà le tasse per far fronte alla domanda di adeguamento della spesa sociale.

Mercoledì, 4. Maggio 2005
 

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