Eppur la nostra idea...

Un libro di Lorenzo Tibaldo, "Sotto un cielo stellato" ricostruisce la biografia e la storia di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, dall'Italia all'America fino al loro assassinio legalizzato

Il 22 luglio 1987 la Rai trasmise il film di Giuliano Montaldo sulla tragedia di Sacco e Vanzetti. Chi ha visto la pellicola nell’edizione originale del 1971, sa che nella struggente scena finale, prima di salire sulla sedia elettrica, Bartolomeo Vanzetti (interpretato da un magistrale Gian Maria Volontè) spezza il silenzio di quegli attimi con un ultimo grido di fiera rivolta: “Viva l’anarchia”. Quel grido, gli spettatori del 22 luglio 1987 non hanno potuto risentirlo, perchè furtivamente cancellato da un miserabile intervento censorio della Rai che pensò bene di azzerare l’audio. Forse era troppo certa di poter contare sull’indifferenza generale.

 

Sospinto dal disgusto per quel povero furto con destrezza, il 5-6 settembre dello stesso anno raggiunsi Villafalletto, paese natale di Vanzetti. Gli anarchici cuneesi avevano voluto un convegno per denunciare che, sotto altra forma, quella scarica di 19mila volt di giustizia legale durava ancora dopo sessant’anni. Celebrato alla presenza degli amici pugliesi di Nicola Sacco, il convegno si svolgeva in un clima di sereno e non rabbioso minoritarismo. In fondo alla sala, seduto vicino ad una vecchia stufa, riconobbi Nuto Revelli che ascoltò in religioso silenzio tutti gli interventi senza smettere di fumare. Non osai rivolgergli la parola. Invece abbracciai il pinerolese maestro elementare Lorenzo Tibaldo, che era venuto a Villafalletto richiamato come me dalla devozione verso i due martiri, dal rifiuto della pena capitale, dall’odio per il razzismo già allora strisciante, dalla curiosità per il pensiero anarchico sempre deciso a dire che la libertà viene prima di tutto il resto e che non puoi sacrificarla sull’altare della dittatura proletaria. La complicità tra Lorenzo e me scoppiò gioiosa perché non avevamo per niente combinato di vederci.

 

Ma Lorenzo quel giorno deve aver contratto un debito interiore che è riuscito a pagare solo vent’anni dopo. Questo volume (“Sotto un cielo stellato” edito dalla Claudiana con prefazione di Giuliano Montaldo) è dedicato ad una ricostruzione agile e rigorosa della biografia dei due assassinati: una meritevole fatica solitaria, che si aggiunge alla pubblicazione di una commovente antologia degli scritti di Bartolomeo Vanzetti (“Una vita proletaria”) edita nel 1987 dalla salernitana casa editrice Galzerano.

 
Dallo scavo che Tibaldo ha compiuto nelle copiose fonti inedite reperite presso l’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo e presso l’Archivio storico “Camillo Berneri” di Reggio Emilia, esce un ritratto a tutto tondo di due personalità diverse. Bart si sentiva sposato con l’anarchia, mentre Nick aveva la moglie Rosina, il figlio Dante e la piccola Ines, nata durante la sua prigionia. In entrambi, però, colpisce la mirabile fusione fra fede politica e poesia che, attraverso i crolli della sofferenza, condusse il pescivendolo di Villafalletto e il calzolaio di Torremaggiore a scoprire un valore universale per la loro detenzione. Le tappe del loro calvario si trasformarono in un orgoglioso romanzo di formazione che avrebbe portato i due anarchici a diventare protagonisti, loro malgrado, di una titanica prova di amore per le libertà e per l’uguaglianza. E suggestiona il distillato limpido dell’umanità dei due condannati: possono parlare di sindacalismo, di violenza, di nazionalismo o di affetti famigliari, ma sempre sono capaci di spezzare le catene del loro tormentato isolamento e di trasmettere al mondo messaggi pacifici e secchi di straordinaria semplicità e singolare efficacia didattica. 

 

Ancora prima di diventare eroe, Bartolomeo Vanzetti rivela già tutta la grandezza della sua moralità quando nel 1909 scrive alla sorella Vincenzina. “Sii educata verso i signori e i superiori, ma molto più educata e buona verso i poveri e i lavoratori. Coi primi sii fiera. Coi secondi umile”.  Una robusta legalità interiore che sembra riecheggiare e tradurre i valori codificati dal Programma della Prima Internazionale del 1864: “Nessun diritto senza doveri e nessun dovere senza diritti”. Incisiva – e di bruciante attualità - la sua condanna del nazionalismo. “Gli umili sono tenuti nell’ignoranza delle virtù degli altri popoli, e sono avvelenati d’assurdo orgoglio da coloro che speculano sul loro patriottismo”.

 

Anche quando discute di violenza, Vanzetti pesa e alleggerisce le parole, sapendo che nel movimento anarchico c’è chi vuol affidare al militante rivoluzionario il dovere di indossare i panni di un implacabile missionario della vendetta proletaria e della violenza purificatrice: “Sempre più io credo che la violenza in quanto violenza non possa risolvere i problemi della vita. E più amo, più imparo che il diritto di tutti alla violenza, non va d’accordo con la libertà, ma comincia invece quando la libertà finisce”.

 

Memorabile l’estremo saluto che Nicola Sacco invia al figlio Dante: “Nel gioco della felicità non prendere tutto per te, ma scendi di un passo e aiuta i deboli che chiamano al soccorso, aiuta i perseguitati e le vittime, perché sono i tuoi migliori amici(..) In questa lotta della vita troverai molto amore e sarai amato”. Anche le gioie più intime della vita famigliare sono raccontate con la disarmante potenza dell’ingenuità: “…quando erano le nove rientravamo e Dante, a quell’ora, era sempre addormentato, allora lo prendevo tra le mie braccia per portarlo a casa e qualche volta Rosina mi aiutava a portarlo, e allora, quando lei lo teneva tra le braccia, ci fermavamo a baciare il suo visetto roseo”.

 

Pasticciere a Cuneo, confettiere a Cavour e a Torino, negli States Vanzetti fu sguattero, cavatore di pietra, bracciante agricolo, lavorante alle fornaci, manovale alle ferrovie e agli acquedotti. Tagliò il ghiaccio, spalò neve per le strade e carbone per le caldaie. In carcere, trascorse i suoi sette anni di agonia studiando accanitamente la Bibbia, “Il Capitale”, “I promessi sposi”, Spencer, Darwin, Tolstoi, Hugo, Mazzini e Labriola. “Singhiozzò” con Leopardi e trovò un’impolverata Divina Commedia. “Ahimè! I miei denti – commentò – non erano fatti per tal osso: tuttavia mi accinsi a rosicchiare disperatamente e, credo, non inutilmente”. Da Carlo Pisacane ricavò la convinzione che “il popolo non sarà libero quando sarà educato, ma sarà educato quando sarà libero”.

 

Lesse inoltre Bakunin, Malatesta, Kropotkin, come Pisacane divorati anche da Bruno Trentin in Francia, da Giuseppe Di Vittorio a Cerignola, da Emilio Pugno a Torino, da Idolo Marcone a Vercelli: gli anni giovanili di non pochi tra i più robusti sindacalisti dell’Italia repubblicana furono caratterizzati dal retroterra di una formazione anarchica che faticò non poco a incontrare l’egemonia comunista, ma fu forse ingrediente sotterraneo e non secondario di molte delle più travagliate innovazioni, a volte feconde per il risorgimento sindacale, altre volte accolte con diffidenza sul terreno della politica. E’ proprio un caso che Trentin abbia voluto titolare l’ultima sua opera “La libertà viene prima”?

 

Dobbiamo essere grati a Lorenzo Tibaldo per questa impresa. Essa non è solo un doveroso tributo di giustizia postuma ai due anarchici, ma sa intrecciarsi con le mille forme che oggi assumono le lotte quotidiane per l’uguaglianza tra i popoli, per la tolleranza, per la sacralità della vita, per la dignità del lavoro. E Lorenzo mi perdonerà se confesso tutta la mia affettuosa invidia per questa sua opera che ho divorato e non cesso di coccolare tra le mie mani come solo un caro amico concede di fare con il suo ultimo nato.

 

 

P.S. Da quando ho appreso che, raccolte in una sola urna, le ceneri di Sacco e Vanzetti in viaggio per Villafalletto sono transitate  sulla ferrovia Airasca-Cuneo, tutte le mattine guardo quelle stesse rotaie con altri occhi.

 

Lorenzo Tibaldo

Sotto un cielo stellato
Claudiana, Torino 2008, euro 19,50.

 

Mercoledì, 24. Dicembre 2008
 

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