I sindacati e lo 'strappo' sul Tfr

Beniamino Lapadula della Cgil, Pier Paolo Baretta della Cisl e Adriano Musi della Uil commentano l'inaspettato rinvio e replicano a chi sostiene che sarebbero state lese le regole del mercato
Le compagnie di assicurazione, fuori del governo e dentro il governo, hanno fatto saltare il banco, accantonato, almeno per ora, la soluzione della vicenda Tfr. Qualche ministro, come Alemanno, parla di una pausa di riflessione. Un altro ministro, Maroni, strepita. Eppure quel testo, presentato e bocciato al Consiglio dei ministri, aveva sollevato e solleva molte obiezioni (di carattere diverso) da parte di altri protagonisti (sindacati e imprese). Le Compagnie avevano già ottenuto molto, ma hanno voluto stravincere. Ed ora che succederà? Lo chiediamo ai sindacalisti che più da vicino si occupano di questa materia, Pier Paolo Baretta della Cisl,  Adriano Musi della Uil e Beniamino Lapadula, responsabile economico Cgil.

"Chiederemo un incontro alla commissione parlamentare per spiegare le ragioni di milioni di lavoratori", annuncia Baretta. Altri incontri avranno luogo con le 23 associazioni firmatarie del documento comune sulla riforma del Tfr. L'intenzione, come spiega anche un documento delle tre Confederazioni, è quella di sensibilizzare l'opinione pubblica su quanto sta accadendo. I sindacati, spiega ancora Baretta "non sono portatori di interessi privati, non sono i gestori ma i creatori del mercato. I gestori sono sempre e solo banche e assicurazioni. E a loro vogliamo dire che la responsabilità che si stanno prendendo è davvero grande". Loro volevano l'impossibile, spiega.  Cioè la pretesa di impedire che i contratti di lavoro, come adesso avviene, possano disporre dei contributi da destinare alla previdenza complementare.
 
Ma possibile che i sindacati, durante le trattative, non abbiano percepito il rischio di un colpo di coda della lobby assicurativa? Adriano Musi nega qualsiasi ingenuità e ricorda come fosse stato sollecitato più volte un chiarimento.  Era stato il ministro al Welfare Roberto Maroni a garantire a più riprese che l'intera partita dipendeva soltanto da lui. Il sospetto della parte sindacale si era fatto più consistente nell'incontro generale, una settimana prima dello "strappo". Qui il ministro aveva accennato al fatto che non era in grado di garantire il percorso parlamentare. Era possibile intravedere, insomma, il pericolo di un cambiamento di rotta.
 
Ma qual è il motivo del contendere? Non ha una qualche ragione chi scrive che i lavoratori dovrebbero essere posti nelle condizioni di scegliere liberamente dove vogliono destinare il Tfr? "Siamo noi i primi a difendere questa libertà -  risponde Musi - ma la cosiddetta libertà di mercato si verifica quando il lavoratore ha tutte le carte in mano ed è in grado di orientarsi autonomamente senza essere condizionato dalla pubblicità o dai promotori finanziari. In questo settore ancora c'è molto poca trasparenza".

Chi non si fa molte illusioni sul futuro è Beniamino Lapadula. Anche perché, sostiene, la questione Tfr è entrata nella vicenda politica più generale. Lo stesso sciopero generale di cui si discute, se si farà, non potrà non tener conto dell'atteggiamento del governo anche su questo tema. Il dirigente Cgil tiene a sottolineare il fatto che comunque la soluzione adottata da Maroni avrebbe trovato un giudizio negativo dei sindacati. Molte le questioni che non andavano bene. La principale era rappresentata dalla moratoria decisa per le piccole imprese. Eppure era stato stabilito di ricorrere al cosiddetto silenzio-assenso proprio per le piccole imprese. Questo perché nelle grandi aziende i Fondi si sono già consolidati ed hanno trovato estese adesioni. Nelle piccole il lavoratore difficilmente chiede di partecipare ad un Fondo perché non è informato. Inoltre spesso, in casi in cui è stato chiesto, l'imprenditore ha risposto picche per non perdere la liquidità che gli deriva dalla gestione delle liquidazioni.
 
Tuttavia anche Lapadula appare sorpreso per l'alzata di scudi delle Compagnie. Avevano ottenuto molto. "Fino ad oggi", fa notare "non potevano gestire il Tfr.  Con la legge il Tfr poteva andare anche nelle polizze individuali. Certo non potevano usufruire del silenzio-assenso, ma questo non può che essere riservato ad uno strumento collettivo. Se manca una scelta precisa del lavoratore, il suo salario differito non può andare ad una polizza qualsiasi, a caso".
 
Ma il meccanismo previsto non era lesivo delle regole del mercato? Lapadula risponde ricordando alcune brutte esperienze, come quella inglese. Qui molti lavoratori avevano creduto alle promesse delle Compagnie, erano usciti dai Fondi collettivi. Poi, delusi dai risultati, sono stati costretti a far causa alle assicurazioni, che alla fine hanno dovuto rimborsare 13 miliardi di sterline. In Australia hanno replicato il sistema britannico ma, resi più prudenti dalla lezione inglese, hanno stabilito norme severissime su come devono essere venduti i prodotti individuali.  Per esempio un promotore che vende una polizza e non chiarisce le differenze tra il Fondo contrattuale e quello che lui propone, e non spiega bene i costi, rischia 5 anni di reclusione e 220 mila dollari australiani di multa.

E in Italia?  Secondo Lapadula nelle polizze vendute (quasi un milione,  di cui un 20 per cento se l'è aggiudicate Mediolanum) non si capisce nulla. Le commissioni sono altissime. Esiste inoltre, per molte, il sistema del "preconto": "Tu paghi quasi tutte le spese il primo anno quindi se esci dopo pocotempo dirimetti. Se invece ci stai tutta una vita il costo non è più così esoso, ma è un modo per tenerti intrappolato. Alla faccia del mercato e della mobilità…".
 
Lunedì, 10. Ottobre 2005
 

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