Fiat, cosa serve per battere il declino

E' riconosciuta da tutti l'eccellenza del Lingotto nell'innovazione nei motori diesel, nell'ibrido e nel metano. Ma se la prima necessità sono le risorse finanziarie, questo non basta: la competitività è un problema di sistema che deve coinvolgere tutti gli attori, sindacato compreso. E il governo non può stare solo a guardare
 "Oggi per noi e' un giorno importante. Perché oggi la Fiat è di nuovo tutta italiana. O se preferite, l'Italia si è ripresa la Fiat. Si e' ripresa un bene che le appartiene da sempre. Si è ripresa un patrimonio che da oltre un secolo fa parte della nostra storia, della nostra cultura. Perché gli italiani le auto le hanno sempre sapute fare. E' un passo decisivo per affrontare le sfide che ora ci attendono. Noi ci crediamo. Continuate a tifare per noi". (Luca di Montezemolo - Sergio Marchionne, comunicazione pubblicitaria da La Stampa del 15 Febbraio 2005)
L'incipit un po' estemporaneo di questa riflessione sulla Fiat serve a segnalare come l'attenzione che si è accesa sulle sorti dell'alleanza tra Fiat e Gm, con il portato di aspettative, incertezze ed inquietudine collegato, rischia di mettere in secondo piano una serie di problemi altrettanto importanti che possono segnare il futuro della Fiat e le prospettive del settore auto in Italia.
Sicuramente, in questa fase, l'aspetto del reperimento di risorse economiche per il gruppo Fiat continua ad essere un'esigenza cruciale, sia per sostenere il percorso di riequilibrio dell'andamento di Fiat Auto (per la gestione di cassa del 2005 e per l'implementazione di ulteriori investimenti) sia per far fronte alla questione del convertendo con le banche creditrici.
Tuttavia, permangono una serie di questioni di carattere strategico, industriale e gestionale che rappresentano elementi centrali per il rilancio di Fiat Auto e che fanno riferimento alle questioni delle alleanze, del prodotto, delle aree di mercato e della "globalizzazione", della competitività, dell'innovazione e dello sviluppo, della rete commerciale e della qualità, del personale e delle relazioni sindacali, industriali e istituzionali.
La definizione del rapporto con Gm, che gli osservatori avevano descritto in termini un po' manichei (o c'è un rapporto o non c'è niente),  ci ha fatto assistere non ad un divorzio tout court: ma, piuttosto, ad un'evoluzione ed una diversa articolazione.
Per semplificare, direi che si è passati "dal matrimonio alla coppia aperta". Infatti, il valore che ha la ripresa di un'autonomia di Fiat nelle alleanze industriali non può fare dimenticare o sottovalutare alcuni benefici effetti del mantenimento di un rapporto con Gm seppure con un'articolazione diversa.
Forse, è stato il modello di alleanza fatto con Gm che mostra la corda, come, del resto, è anche successo ad altre alleanze tra produttori di auto effettuate in quel periodo. La necessità per Fiat di recuperare capacità di movimento verso alleanze con altri produttori è data anche dal quadro che si viene delineando nel settore dell'auto a livello mondiale: pur permanendo un'esigenza di spalmare su economie di scala gli ingenti costi di investimenti necessari per essere competitivi, si osservano sempre meno scelte esclusive e vanno diffondendosi intese a geometria variabile.
La futura strategia di Fiat dovrà orientarsi, in questo ambito, a ricercare intese e sinergie per singoli marchi, modelli, prodotti o aree di mercato. Questa scelta appare non solo più opportuna, ma anche più realisticamente praticabile: l'intesa su un singolo progetto o segmento rende più forte Fiat, la ricerca di un partner esclusivo potrebbe essere infruttuosa (stante l'attuale debolezza di Fiat; in genere ci si allea con i più forti o con i pari grado e Fiat adesso è debole) o potrebbe riprodurre le dinamiche negative già vissute con Gm.
La strategia di promozione e caratterizzazione dei singoli marchi che Fiat ha avviato delinea il profilo delle possibili sinergie che si possono mettere in campo con i produttori europei; Maserati (che ha già un'intesa con Audi) accorpata ad Alfa Romeo può guardare verso produttori tedeschi, Fiat potrebbe intrecciare collaborazioni con i francesi; Lancia potrebbe aprire rapporti con Mercedes.
Permane per Fiat l'esigenza di sviluppo di motori a benzina di media e alta cilindrata, che potrebbe essere oggetto di specifici progetti di sviluppo con altri produttori; l'indubbio successo del motore diesel Multijet e la riconosciuta eccellenza di Fiat nell'innovazione e nello sviluppo delle motorizzazioni diesel  rappresentano forti strumenti di capacità competitiva ed elementi di attrazione non solo a livello europeo.
Vale la pena ricordare, a proposito di questo, che uno degli elementi di frizione del rapporto tra Fiat e Gm è stato rappresentato dall'indisponibilità della casa torinese a consentire l'utilizzo del Multijet sui modelli Daewoo (ora Cadillac) che era fuori dal perimetro dell'alleanza con Gm. Inoltre, sull'aspetto della ricerca, dell'innovazione e dello sviluppo, c'è un'ulteriore capacità di eccellenza che Fiat può sfruttare e che è rappresentata dalle competenze maturate sull'ibrido e sul metano.
Nel quadro descritto, pur "viziato" da un innegabile "ottimismo della volontà" che mi pare traspaia dalle considerazioni che ho fatto finora, permane comunque un'esigenza di risorse aggiuntive e di condizioni di sistema utili a concretizzare gli scenari tratteggiati: rimane, soprattutto, un problema di competitività di Fiat che, oltre a riguardarla in prima persona, investe l'intero settore dell'auto in Italia, le sue prospettive e le azioni che tutti gli attori coinvolti possono esercitare per evitare che il patrimonio rappresentato dall'automotoristica nazionale rischi di essere depauperato per inedia e si incammini sul viale del tramonto, nel crepuscolo dell'auto.
Si è denunciata più volte e su svariati argomenti l'assenza di politica industriale in Italia e Fiat rappresenta, in questo senso, un caso paradigmatico. La riconquistata "italianità" della Fiat, di cui si parla nel messaggio con cui ho aperto questa riflessione, non è un risultato dato per sempre. L'auto italiana bisogna sapersela guadagnare e meritare!
E, quand'anche questo avvenisse, non basterebbe: Fiat e il sistema dell'auto in Italia, devono saper assumere un profilo europeo da cui partire per guardare al mondo e alla globalizzazione.
L'attuale governo (ma è noto che il problema riguarda anche i governi che lo hanno preceduto), nel cui mandato si è palesata e sviluppata in modo virulento la crisi della Fiat, pare che sappia esprimere in proposito una concezione sostanzialmente "voyeristica" del ruolo delle politiche pubbliche in economia: è la linea dello "stare a guardare" più volte espressa dal capo del governo e dal ministro delle Attività Produttive. Qui non interessa fare la solita litania sull'assenza di politiche industriali o utilizzare in senso politico l'argomento Fiat per un attacco al governo: è in gioco, qui ed ora, l'interesse nazionale e, forse, alcuni numeri sono utili a comprendere meglio la situazione.
Nel 2003 in Italia si sono prodotte 1.033.194 automobili, a fronte di un mercato nazionale che si è attestato a  2.284.000 vetture vendute: il saldo negativo tra vetture prodotte in Italia e valore del mercato nazionale è stato pari a 1.250.806 automobili.
Se si confrontano questi dati con quelli dei principali paesi in cui sono presenti produttori nazionali, anche non più autonomi, si ha il seguente quadro:
Paese                     Auto prodotte        Auto vendute      Saldo                     
Francia 3.323.460 2.009.000 + 1.314.460
Germania 4.817.366 3.237.000 + 1.580.366
Spagna 2.660.588 1.466.000 + 1.194.588
Gran Bretagna 1.659.690 2.604.000 -     944.310
Stati Uniti 8.828.465 7.745.000 + 1.083.465
Giappone 8.884.024 4.480.000 + 4.404.024
Italia 1.033.194 2.284.000 - 1.250.806
 
Come impietosamente illustrato dalla tabella, l'Italia è il paese con il peggior saldo tra vetture prodotte in loco e valore del mercato nazionale. Tuttavia, questa sola constatazione illustra una sola parte della realtà: per capacità di sviluppo e di diversificazione, l'indotto e la componentistica auto italiana è presente sia negli oltre 2.000.000 di vetture vendute in Italia sia nei milioni di auto vendute in Europa e nel Mondo.
Si, ma che indotto è?
Una ricerca effettuata dalla Fim-Cisl di Torino può, a tale proposito, offrire alcuni interessanti strumenti di analisi. Abbiamo effettuato una ricerca sui fornitori di primo livello di 15 case automobilistiche che hanno presentato nuovi modelli nel corso del 2003 e del 2004 in Europa. Le case produttrici oggetto della ricerca sono state Alfa Romeo, Audi, Bmw, Citroen, Fiat, Ford, Lancia, Mercedes, Opel, Peugeot, Renault, Seat, Smart, Toyota, Volkswagen.
I moduli o sistemi più importanti, forniti dalle aziende di primo livello alle case produttrici, sono circa una quarantina per ogni modello: l'insieme delle forniture di primo livello effettuate per i 15 nuovi modelli di automobili presi in esame assommano complessivamente a 630. Tali forniture, per elencare solo quelle più significative, provengono nel numero di 239 da aziende tedesche, 185 da aziende statunitensi, 44 da aziende francesi, 40 da aziende italiane.
Raffinando l'analisi, abbiamo verificato che 10 aziende forniscono almeno la maggior parte o tutti e 15 i modelli di automobili prese in esame. Di queste 10 aziende, 5 sono tedesche (Bosch, Thyssenkrupp, Zf, Freudemberg, Brose), 2 sono statunitensi (Trw e Federal Mogul), una è francese (Valeo) e una è italiana (Automotive Lighting).
Questo è il quadro dell'indotto di primo livello in Europa: un quadro che vede la Germania saldamente in testa, una minore presenza di aziende degli Stati Uniti una presenza minoritaria di Francia e Italia.
E il tanto decantato indotto italiano dov'è allora?
L'indotto nazionale, che pure è forte e ha delle innegabili competenze, è rimasto strangolato dalle logiche di acquisizioni e di espansione delle multinazionali, scivolando a un ruolo di fornitura di secondo o di terzo livello. In questa collocazione, il rischio sempre più evidente è quello di una competizione giocata solo sui costi; l'altra leva di competitività, quella della ricerca e dell'innovazione, è stata progressivamente consegnata nelle mani di pochi, sempre più grandi e sempre più forti players mondiali di componentistica.
I dati presentati sinteticamente, le ulteriori analisi che si potrebbero dedurre, lo stato di difficoltà in cui versa Fiat e il settore dell'auto in Italia ci portano ad un'unica conclusione: siamo di fronte ad una situazione di emergenza, collegata ad un importante elemento di interesse nazionale, dalla quale si esce se si capisce che nel settore auto (e forse non solo in quello) la competitività si gioca a livello di sistema e, per tornare al ruolo che in questo possono avere le politiche pubbliche, è difficile vincere le partite stando in tribuna a guardare! La crisi della Fiat e del settore dell'auto in Italia non parlano solo al sindacato o agli addetti ai lavori, ma devono vedere il coinvolgimento attivo di tutti gli attori, pubblici e privati, istituzionali ed economici, associativi e sociali; ognuno per il suo ruolo e tutti coordinati tra di loro.
Ovviamente il tema della competitività riguarda, per alcuni aspetti, anche il sindacato: i dati sull'utilizzo degli impianti e sul costo di un'ora di produzione nei vari siti produttivi della Fiat in Italia hanno l'esigenza di essere affrontati con la Fiat non in modo ideologico (da nessuna delle parti) ma con la capacità di operare confronti anche tra i produttori europei per definire condizioni che consentano il recupero di capacità competitiva. Sarà una bella sfida per il sindacato italiano: spesso il dibattito sulla flessibilità è associato, quasi in automatico, ad un maggior utilizzo degli impianti.
Il confronto con gli altri produttori europei e le attuali condizioni di mercato di Fiat indicano che l'obiettivo da perseguire potrebbe essere non tanto un maggiore quanto un migliore utilizzo degli impianti; ovvero, passare da una valutazione quantitativa ad una qualitativa.
In questo quadro e con il livello di sfide insito nelle riflessioni fatte, è centrale aprire una nuova stagione delle relazioni sindacali in Fiat, che sappia riattivare e potenziare gli strumenti di partecipazione dei lavoratori e del sindacato alla vita dell'impresa.
Il rilancio del "sistema di partecipazione" in Fiat richiede a tutti gli interlocutori la capacità di fare un salto in avanti passando dal partecipare ai problemi al partecipare alle opportunità: Fiat deve capire che la partecipazione non è solo un modo diverso di gestire i contenziosi ma uno strumento efficace per prevenirli. La partecipazione orienta e fa crescere i lavoratori e l'azienda: la partecipazione può essere un'importante asset di competitività.
Riteniamo che si debba lavorare a ricostruire un senso di comunità e di appartenenza tra i lavoratori della Fiat: vanno costruiti percorsi concordati per recuperare un'identità sociale e aziendale di appartenenza alla Fiat, perché l'aspetto delle motivazioni, tra gli strali che hanno attraversato la crisi della Fiat, rischia di venire meno. Competitività è anche sentirsi parte di un'impresa come bene collettivo e veicolo di sviluppo e gli attori delle relazioni sindacali devono rendersi disponibili  a lavorare insieme perché  senso di comunità, coesione sociale, identità e appartenenza, oltre ad essere valori di carattere etico e sociale possano trasformarsi anche in stimoli motivazionali a superare il senso di frustrazione e disorientamento presente tra i lavoratori della Fiat.
In conclusione, il viale del tramonto e il crepuscolo dell'auto in Italia non sono segnati da un destino ineluttabile. Del futuro dell'auto e del rilancio di Fiat è responsabile, oltre che l'azienda stessa e la sua proprietà, tutto il sistema paese, ognuno per la propria funzione e nella misura in cui saprà assolverla meglio di quanto non sia propenso (sport nazionale molto diffuso) ad indicare in altri i "veri responsabili".
Fiat è ancora immersa  nelle vicissitudini per reperire le risorse economiche che le sono necessarie: ma solo queste non bastano. C'è bisogno della risorsa della politica (di quella pubblica e di quella sindacale), di quella del coraggio e della motivazione per  tenere insieme capacità competitiva e coesione sociale.
 
 
Martedì, 1. Marzo 2005
 

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