Federalismo, un pasticcio pericoloso

Idee per un programma/ La riforma costituzionale del centro-destra è perniciosa e bisogna opporvisi. Ma anche in quella varata dal centro-sinistra del 2001 ci sono errori e bisogna fare proposte concrete per correggerli

Salvo imprevisti, entro la metà del mese di ottobre la maggioranza di destra approverà, in prima lettura, la sua riforma della Costituzione. Passati tre mesi essa potrà essere definitivamente approvata in seconda lettura. Dal canto suo il centro-sinistra intende affidarsi al "referendum confermativo" per scongiurare danni altrimenti irrimediabili, in termini di: ineguaglianze territoriali; di diritti sociali; di aumento dei costi; della burocrazia; dei conflitti di giurisdizione e di competenze tra Camera e "Senato Federale";  tra Stato e Regioni.


Fare il possibile per evitare un disastro annunciato è un dovere. Politico e civico. Fa bene quindi l'opposizione a contestare la portata rovinosa delle "pasticciate" innovazioni costituzionali escogitate dalla destra. Tuttavia, anch'io come molti altri, penso che il centro-sinistra potrebbe risultare più persuasivo se vi aggiungesse anche l'esplicito riconoscimento che le modifiche al Titolo V della Costituzione (adottate dalla sua risicata maggioranza alla fine della passata legislatura) hanno, a loro volta, costituito una decisione improvvida. Anzi, se vogliamo dirla tutta, un serio errore.


Intanto perché, di fatto, hanno avallato il principio scriteriato e pericoloso che la Costituzione può cambiare ad ogni cambiamento di maggioranza. Conta poco che le modifiche del centro-sinistra avessero alle spalle un voto quasi unanime della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali e fossero condivise dai presidenti delle Regioni e da molti sindaci, mentre quelle targate centro-destra sono invece nate in un incontro eno-gastronomico (in una baita del Cadore) di quattro parlamentari della maggioranza. Pur senza alcuna sottovalutazione della differenza tra una modalità e l'altra, si deve riconoscere che la diversità ha più rilievo estetico che politico. Ha più rilievo sul piano della forma, che della sostanza. Infatti per la legittimità di un risultato, ciò che conta, non è solo come si parte, ma anche come si arriva.


Oltre tutto, il più ampio consenso iniziale non ha impedito che  le decisioni varate nel 2001 si rivelassero improvvide anche nel merito. Al punto che, tra coloro stessi che ne sono stati i promotori, si riconosce ora, apertis verbis, la necessità di significative correzioni ed integrazioni.  Secondo Bassanini (che è stato uno dei principali artefici di quella riforma) occorre: riportare a competenza esclusiva dello Stato un certo numero di materie imprudentemente trasferite alle regioni; introdurre una clausola generale di supremazia che consenta al Parlamento di legiferare anche nelle materie di competenza regionale, quando lo richieda l'unità della nazione o la garanzia dell'universalità dei diritti costituzionali; istituire un Senato federale allo scopo di armonizzare interessi generali ed istanze territoriali. Per parte mia aggiungo che non andrebbero ignorati nemmeno i problemi di costo e le relative implicazioni fiscali. Per impedire, o uno spiacevole peggioramento dei disavanzi dei bilanci pubblici, oppure un indesiderabile aggravamento delle differenze tra Regioni "ricche" e "povere". Con le prime che potrebbero persino ridurre la pressione fiscale, mentre le seconde si vedrebbero invece costrette a ridurre la "spesa obbligatoria". 

 
In ogni caso, anche rimanendo soltanto all'elenco di Bassanini, si capisce bene che non siamo in presenza di semplici problemi di "manutenzione", ma di veri e propri "difetti di costruzione". Difficile quindi non chiedersi: era proprio così necessario ed urgente approvare quella "riforma" del Titolo V della Costituzione? Personalmente sono tra coloro  che non sono mai riusciti a capire le ragioni di "necessità ed urgenza" che ne avrebbero consigliato la decisione.


Non mi stupisce perciò che Giovanni Sartori (Corriere della Sera di martedì 21 settembre) esorti, in particolare Fassino e D'Alema (considerati responsabili della stupefacente teoria "Lega, costala della sinistra" e perciò di atteggiamenti troppo corrivi verso le "mattane" dei padani) a riconoscere di avere sbagliato e di avere ora cambiato idea. O che Mario Pirani (La Repubblica di lunedì 27 settembre) intimi ai leaders del centro-sinistra: "Volete almeno chiedere scusa?"


Si possono tranquillamente condividere tutte le richieste di autocritica, tuttavia mi permetto di rilevare che sarebbe ancora più utile se i dirigenti del  centro-sinistra incominciassero ad essere meno elusivi ed indeterminati circa le soluzioni che intenderebbero mettere in campo per correggere il corso delle cose. In particolare: quali tra le competenze trasferite alle Regioni nel 2001 dovrebbero essere riportate allo Stato? Inoltre, si continua a pensare che la seconda Camera debba essere trasformata in Senato Federale? Se sì (come sembra di capire), su quali basi si dovrebbe formare  la rappresentanza del Senato Federale? Territoriale e quindi uguale per ciascuna regione, come avviene negli altri Stati federali, dagli Stati Uniti alla Germania? Oppure basterà semplicemente battezzare "Federale" il Senato, lasciando che continui ad esprimere una prevalente rappresentanza individuale? Come, del resto,  previsto dall'ircocervo prospettato dalla destra?

 Infine, come sarà organizzato il procedimento legislativo? Il modello Calderoli-Berlusconi, imperniato sul groviglio tra: leggi monocamerali a volontà prevalente della Camera; leggi monocamerali a volontà prevalente del Senato; leggi bicamerali a partecipazione paritaria; prefigura un intrico che promette soprattutto conflitti di competenza. Come dovrebbe invece essere articolata l'alternativa del centro-sinistra? Per ultimo, ma non certo da ultimo, sono stati valutati i costi-benefici del "federalismo all'italiana"? E se non si può o non si è in grado di valutarli, perché mai si dovrebbe insistere ad inseguire un confuso "federalismo" invece di impegnarsi concretamente a rafforzare decentramento ed autonomie territoriali?


Sono tutte domande alle quali penso che il centro-sinistra farebbe bene a cercare di dare una risposta. Tanto più considerato che le più recenti indagini demoscopiche mettono in evidenza che la maggioranza degli italiani si dichiara progressivamente contraria o, quanto meno, fortemente preoccupata in ordine alle conseguenze della cosiddetta "riforma federalista". A mio avviso, le ragioni di questa contrarietà e di questo allarme non sono da ricercare nelle dispute teoriche circa la "forma dello Stato", che pure alimentano interessanti discussioni sui media. Esse appaiono piuttosto il frutto di una semplice constatazione. Si tratta della presa d'atto che il principale prodotto del fervore federalista (almeno finora) è consistito soprattutto in una ipertrofia degli apparati amministrativo-burocratici. Sia regionali, che nazionali. Di cui nessuno sentiva francamente il bisogno.

 
Ovviamente si può opinare che questo esito abbia poco a che fare con il "federalismo" e molto più con una sua incongrua gestione politica. Sarà! Comunque, nella vita politica e sociale un fatto vale sempre di più di una montagna di chiacchiere. E, negli ultimi tre anni, l'aumento degli apparati pubblici è un fatto.


Poco importa quindi che, secondo il dentista di Bergamo, responsabile dell'ingegneria costituzionale per conto della destra, gli Stati federali siano da considerare meno costosi di quelli centralizzati. Anche perché l'affermazione è rimasta indimostrata. Ed, in ogni caso, dati alla mano, gli italiani  si stanno rendendo direttamente conto che il "federalismo padano" sfugge comunque a questa a questa presunta regola. Non fosse altro che per la buona ragiona che l'aumento degli apparati burocratici ha comportato, non solo un aumento dei i costi a carico dei bilanci pubblici, ma anche una parallela crescita delle afflizioni burocratico-amministrative sulla vita dei cittadini.

 
Anche per questo, nulla dovrebbe indurre a ritenere che si tratti di uno sviluppo inevitabile. Tuttavia, il centro-sinistra aiuterebbe a coltivare più ravvicinate ragioni di ottimismo se, assieme alla denuncia dei guasti connessi alle riforme istituzionali volute dalla destra, si mettesse in condizione di formulare proposte chiare e concrete. Perché è sul terreno concreto, è sul merito delle questioni, che si può più facilmente smascherare l'imbroglio, o l'illusione, di chi si illude ed illude che sia possibile risolvere problemi veri (di funzionalità ed efficacia delle decisioni pubbliche) con soluzioni finte. Con invenzioni estemporanee.

 

Martedì, 12. Ottobre 2004
 

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