Vita e morte di Immacolata Orlando

Chi era l'operaia rimasta vittima della macchina etichettatrice dell'impresa conserviera di Angri. E le domande ancora senza risposta dei suoi cinque figli

E’ una delle tante vittime di un male poco oscuro: il lavoro. Lei, Immacolata Orlando di 46 anni, con una famiglia di cinque figli, faceva parte dell’esercito dei lavoratori stagionali a mille euro il mese.  Nella sua azienda, la Feger d’Angri, erano in 700 nelle sue condizioni. Quelli a posto fisso solo 70. E’ una fabbrica specializzata nella lavorazione, anche per conto di grandi marche, di pomodori, frutta e legumi. Escono da quell’impresa circa 150 mila bottiglie il giorno, spedite sui mercati di tutto il mondo. Un potente impero conserviero dove il sindacato ha scarse radici. Eppure qui, dove dovremmo essere al cospetto di macchinari sofisticati, la morte ha colpito e ancora non sono chiare le ragioni.

 

L’assassino è un “palettizzatore”. Un pezzo di catena di montaggio, una colonna semirecintata con una piattaforma calamitata girevole, fornita di fotocellule. E’ lei a prelevare le bottiglie di conserva e a sistemarle su una piattaforma per essere etichettate. Immacolata Orlando è rimasta schiacciata. Come?  Hanno raccontato i suoi compagni di lavoro che può capitare che una bottiglia si rovesci o resti sulla pedana. Allora basta passare la mano sulla fotocellula e il motore va in emergenza. Che la fotocellula non abbia funzionato e decretato così la morte? L’elemento singolare consiste nel fatto che la donna era sola, abbandonata. I suoi compagni, il carrellista, l´addetto alle etichette, quello al confezionamento nella plastica, non le erano accanto. Hanno sentito un urlo e l’hanno vista prigioniera del braccio meccanico. Tra i primi a raggiungere il luogo dove giaceva Immacolata è stato proprio il marito Francesco Fabbricatore, di professione camionista, 30 anni di matrimonio. La casa della vittima è proprio quasi di fronte alla fabbrica.

 
Certo, una tragedia che colpisce, ha colpito, l’opinione pubblica. Come molte altre, ormai quasi quotidiane. E spesso i giornali ascoltano gli appelli del presidente della Repubblica e via via d’altre autorità. Ma poi che cosa succede? Le cause di questi che un tempo erano chiamati “omicidi bianchi” sono appurate? E i colpevoli in carne ed ossa sono accertati, processati, puniti? Qualcuno sa di una qualche sentenza esemplare? E quanto costa agli appositi enti preposti alla tutela una morte così? Sono domande senza risposta. Perché nessun giornale, nessuna televisione accorre non sul luogo del fatto sanguinoso, ma del dopo-fatto. Per vedere, appunto il seguito.
 

Ho parlato di questo, per conto di E&L, con la figlia più grande di Immacolata. Si chiama Tina e ha 26 anni. Lei al momento del fatto era in una casa di riposo, tra Padova e Venezia, dove presta la sua opera come assistente. Ha fatto 800 chilometri per raggiungere Angri. Ma quando le chiedo notizie sul “dopo”, ad esempio sui risarcimenti, ha uno scatto di collera. “Risarcimento per me è una parola orrida. Non m’interessa neanche in questo momento. Forse non riesco a spiegarmi. Quello che io vorrei è una sola cosa: vorrei che mia madre fosse qua. Noi quello che vogliamo è la verità su come è morta, su che cosa è veramente successo”. Anche Tina ha lavorato in quella fabbrica, nello stesso posto dove lavorava Immacolata. Ora la famiglia, racconta, vorrebbe fare un appello alle istituzioni. Perché? E lei risponde sostenendo che lo Stato, le istituzioni hanno il potere che lei non ha per cambiare le cose, per impedire che simili fatti si ripetano. E si sfoga così: “In questa casa è come se fosse passato un uragano. Ha spazzato via tutto e adesso ricostruire tutto è una cosa difficile da immaginare”.  Tina descrive la sua famiglia, con i fratelli: Giuseppina, Sara, Bernardo, Valentina e Riccardo. Quest’ultimo ha solo nove anni, mentre la penultima ne ha 15. Altri due di, 23 e 22 anni, lavorano al nord. Immacolata Orlando era un personaggio forte. C’erano fra me e lei, racconta ancora Tina, “19 anni di differenza, ma lei per me è stata mamma, sorella, consigliera, amica”. E quindi ora hanno ingaggiato un avvocato, Carlo Laghi di Napoli. Soprattutto per sapere quella verità su quella tragedia.

 
Ed è proprio Carlo Laghi, più tardi, a confermarmi che, certo, sono già partiti degli avvisi garanzia e l’Inail ha promesso un intervento. A quanto pare quella macchina non era a norma. Ma restano numerosi altri interrogativi. ”Qualcosa di strano è successo”. Nessuno ha assistito a quella morte: “Se ne sono resi conto perchè ad un certo punto hanno visto che le bottiglie non passavano più. Hanno così trovato la signora sotto il macchinario”.  I procedimenti sono avviati, ma ci vorranno almeno sei mesi per avere le risposte. Qualcuno pubblicherà il resoconto delle indagini, la sentenza? Bruno Vespa farà di questo fatto, come di altri che ci martellano con ritmo quotidiano, una puntata di Porta a Porta? Non è abbastanza sensazionale, non vale il delitto di Cogne?
 

I motori di ricerca in Internet hanno segnalato attorno alla fine di Immacolata un fiorire di commenti, nei vari forum di discussione. Ho trovato anche questa amara conclusione: “E’ inutile che i sindacalisti continuino a fare tanto rumore per niente! Sanno bene come vanno le cose in Italia, le leggi parlano chiaro, e sopratutto in materia di sicurezza sul posto di lavoro. Le aziende sono tenute a fare continuamente corsi di aggiornamento per i propri dipendenti (quando? solo sulla carta), i controlli sono passati alle Asl, le quali molto spesso non sanno neanche di cosa parliamo. Tanto è vero che si servono di società private, le quali prima avvisano e poi passano a campione per i controlli, e molto spesso quando rilevano insufficienze sulla sicurezza, non fanno le dichiarazioni …”.

 

Giovedì, 15. Novembre 2007
 

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