Un'indignazione liberatoria

La manifestazione del 13 febbraio è servita riportare alla luce la questione femminile, saldando la questione democratica con quella sociale. Ma bisogne impedire che il recupero di protagonosmo si esaurisca al di fuori di un rinnovato orizzonte politico.

Il 13 febbraio la manifestazione  “se non ora quando” è' stata una manifestazione incredibile. Non solo per il numero dei partecipanti ma per la loro tipologia, e per il suo significato intrinseco che non mi sembra sia stato del tutto colto.

Dico come l'ho vista, consapevole di esprimere  una opinione individuale inevitabilmente condizionata dal contesto locale nella quale è maturata. Vi ho preso parte a Bologna,  dove il solito manipolo ostinatamente minoritario di donne femministe che ci condiziona tutte, era riuscito a organizzare  la manifestazione sostenendo nel contempo che non si aderiva a quella nazionale. Dubito che qualcuno dei partecipanti abbia colto la distinzione.

Non avevano concesso la piazza Maggiore  e quindi si è optato per il corteo nelle strade del centro  con una conclusione in una piazza piccola vicino alla stazione e questa scelta alla fine ha favorito la partecipazione. Il corteo si è tramutato infatti in breve tempo in un fiume di folla che si è inserita strada facendo, gente che arrivava a gruppi come attirata dal pifferaio magico mentre dalle finestre si partecipava battendo sulle pentole. Appunto incredibile.  Piene via Marconi e via Ugo Bassi contemporaneamente vuol dire circa quarantamila persone.

Ma era un corteo in gran parte silenzioso, piccoli gruppi con il loro slogan ma la maggioranza taceva e mi è parsa felice anche solo di esserci. Cosa ci ha portato fuori, cosa ci ha unito? Direi l'indignazione come sentimento condiviso e la dignità come valore. Dignità di donne e di uomini, tanti uomini nonostante le organizzatrici ne avessero in qualche misura scoraggiato la partecipazione.

Aggiungo la volontà di far vedere che non tutto il paese si ritrova nella narrazione che ci viene fatta di un Italia complice del premier, invidiosa delle sue conquiste  femminili o meglio dei soldi che le permettono, libertina nei comportamenti sessuali, indifferente alle responsabilità pubbliche. Una presa di distanza netta. “Non nel mio nome”. E di conseguenza il dileggio della politica, vista come appropriazione indebita di risorse comuni, la causa della nostra vergogna internazionale.

Non ho percepito invece quella questione moraleggiante che ha animato la discussione sui giornali, non c'era condanna puritana dei comportamenti piuttosto la rabbia di una società bloccata. Certo c'era anche una questione femminile riportata finalmente alla luce. Donne caricate del peso sempre maggiore di famiglie più piccole e più complicate. Private dal susseguirsi delle finanziarie di una adeguata rete di servizi. Rappresentate sui media nel modo più becero e maschilista, mero corpo. Donne giovani costrette a combattere nel mondo del lavoro contro pregiudizi che consideravamo superati e si ripresentano più arroganti di prima. Donne costrette a subire ricatti sessuali sul posto di lavoro in misura sempre maggiore perché giustificati dal “così fan tutte.” La maternità che per molte  non è più tutelata.

La crisi che in altri paesi ha mandato a casa più gli uomini da noi condanna invece le donne. Me ne sono accorta anche andando in giro a parlare di lavoro nei circoli Pd nei giorni difficili del referendum della Fiat e avendo come controparte e nel pubblico iscritti Fiom ( da noi la stragrande maggioranza). Siamo il secondo distretto manifatturiero di Italia e la crisi ha colpito duro. Ti dicono apertamente se qualcuno deve andare a casa ci vadano le donne.  Prima ancora che gli immigrati.

Il  sito delle suore  comboniane in apertura accoglieva la denuncia delle stanchezze che esasperano le donne: "Stanche di essere più istruite e meno occupate. Stanche di non potersi concedere più di 1,4 figli a testa, per impossibilità di guardare il futuro. Stanche di arrivare sui giornali, quotidianamente, per mesi, ancora e solo per un machismo che pensavano superato. Stanche di essere maggioranza muta. Stanche di firmare contratti di assunzione accompagnati da lettere di dimissioni in caso di maternità. Stanche di sopportare da sole il peso della cura dei familiari. Stanche di dover scegliere tra lavoro e famiglia per colpa di uno Stato assente. Stanche, indignate, ma ancora una volta forti e in piedi, a mostrare l’autorevolezza di un genere che nel quotidiano sceglie tutti i giorni strade forse normali, comuni, ma di una dignità impagabile che oggi, più che mai, deve mostrarsi. Mostrare il volto migliore di un’Italia che resiste e che necessita la faccia di ciascuna di noi."

Non aggiungono stanche di questa chiesa governata da uomini che non tengono in conto la dignità delle donne ma neppure la propria, compromettendo le ragioni di una scelta religiosa. Un chiesa che accetta la contestualizzazione della bestemmia prima e della prostituzione minorile poi e non accetta la contestualizzazione delle scelte individuali del moribondo, mi sconvolge.

In quel corteo nessuno slogan attecchiva, salvo forse la richiesta di dimissioni. L'unità si è avuta nel liberatorio grido iniziale. Un urlo senza parole, un urlo contro. Pochi applausi nella fase finale in piazza, la portavoce dell' Anpi quella che ha avuto più seguito e mi dicono sia stato così anche a Modena.
Questo mi fa dire che manca la politica, la direzione di marcia, la guida. Se chi ha dato vita all'iniziativa non saprà cogliere i limiti e cullerà l'illusione della nascita di nuovo movimento femminista avrà delle delusioni e ancor di più se prevarrà un ala radicale. Di sicuro quella non era una manifestazione contro gli uomini. In nuce si è verificato ciò che Bersani auspica da tempo: la saldatura della questione democratica con quella sociale ma ciò è avvenuto senza il Pd, riducendo il partito al ruolo di supporto logistico, con la presenza partitica azzerata  salvo l'eccezione fatta (in alcune città e non in tutte)  per le leadership femminili di destra ( Buongiorno e Perina).

Il veleno della antipolitica è penetrato a fondo, infesta, abilmente alimentato dalla propaganda e dalle nostre stesse debolezze, ogni ambito, è oggettivamente un ostacolo a qualsiasi possibilità di cambiare la maggioranza costituendo nel paese e in parlamento una alternativa. A nessuno viene riconosciuta l'autorevolezza necessaria, comunque a prescindere chi ha a che fare con la politica non è degno di fiducia soprattutto nel centrosinistra.

Il rischio è quindi che la manifestazione rimanga una esplosione momentanea, appunto un grido senza parole, che il rancore cresca ed esploda poi chissà quando e chissà come. La responsabilità di noi che facciamo politica ora, è grande. Non vedo altra strada che esserci, tradurre le richieste in proposta politica, ripetere fino allo sfinimento lo stesso messaggio. Aggiungo che questo implica unità, più che sui singoli contenuti sulle parole d'ordine, e più ancora implica rispetto reciproco e orgoglio di appartenenza. E' ciò che avevo intravisto nella manifestazione del 11 dicembre ma che nei giorni successivi si è di nuovo disperso.

Se ho colto nel segno, se cioè si è smosso nella società un sentimento confuso,  del quale la questione femminile è una parte,  di dignità delle donne e del  paese delle sue istituzioni e dei suoi leader allora dovremo costruire, oltre l' 8 marzo e il 17 marzo nuovi momenti di aggregazione e di rilancio.  

* Deputata Pd 
Martedì, 22. Marzo 2011
 

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