Una via per ricostruire le relazioni industriali

Il sistema contrattuale che abbiamo conosciuto è già alle nostre spalle e sarebbe inutile e perdente cercare di ricostruirlo. Si può pensare a nuove forme di partecipazione dei lavoratori all’impresa con un nuovo organismo che non sia formato dalle stesse persone che fanno la contrattazione

C’è una nuova convergenza di intenti tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria che ha prodotto l’avvio di un confronto i cui contorni non sono del tutto chiari. Questa ritrovata volontà di dialogo tra le parti e, giocoforza, intersindacale è di buon auspicio per porre la centralità del lavoro nella difficile congiuntura economica. Ed è positivo che siano le parti sociali a ricercare buone pratiche per una politica attiva del lavoro e dello sviluppo mentre il governo è dedito a tutt’altro: è un segno dei tempi.

Per restare agli attori sociali, ci si può legittimamente chiedere se si è alla ricerca di una convergenza per individuare una nuova cultura dell’agire nell’impresa di fronte alla più serrata competizione internazionale. Più precisamente, sembra di assistere alla ricerca di una nuova "cultura produttivistica" propedeutica alla ripresa produttiva e occupazionale.

Ci sono numerosi segnali in tal senso.

Nel padronato italiano l’assenza dell’azione del governo verso i problemi dell’industria ha prodotto un forte accento sul fare da soli. Cioè nel cercare, " rimboccandosi le maniche", di approntare misure e iniziative per non essere emarginati nella nuova competizione internazionale e di associare a tale impegno i sindacati dei lavoratori. Possiamo annoverare tra queste le posizioni espresse dall’Ad della Fiat, i ripetuti richiami della presidente di Confindustria, le dichiarazioni di numerosi imprenditori. Sul versante sindacale alla conclamata disponibilità di Cisl e Uil si è unita la Cgil. Ne è scaturita la decisione di un negoziato che spazia tra molti argomenti, dalle problematiche fiscali alla rappresentanza dei sindacati nei luoghi di lavoro. Una agenda ampia, che allo stato viene esaminata dalle parti in tavoli di confronto specializzati.

Non sempre la buona volontà produce risultati all’altezza delle aspettative, anche perché esse appaiono, dall’analisi delle posizioni espresse dai protagonisti, difficilmente unificabili.

Un esempio eclatante, in questa direzione, sono le posizioni espresse da Sergio Marchionne sulla fine del conflitto, che contrastano con la realtà e che sottintendono una irrealistica idea di collaborazionismo del tutto avulsa dal contrasto di interessi insito nel conflitto industriale e indifferente al rispetto della dignità dei lavoratori.

Quanto alla Cisl, che si proclama il sindacato dell’autonomia, sarebbe utile che dicesse qualche cosa in più circa la propria impostazione di politica economica, in modo da far capire compiutamente in quale disegno sono inquadrate le disponibilità verso accordi controversi, almeno nel loro apprezzamento tra i lavoratori, e le recenti affermazioni pubbliche del segretario generale che adombrano scambi tra diritti e occupazione.

Anche dalla Cgil si attende concretamente di conoscere la disponibilità ad un negoziato che appare difficile proprio per la ristrettezza dei margini economici e sindacali e che sembra avviato verso l’approdo a un modello di relazioni sindacali più " partecipativo". E questo è un punto controverso per la Cgil e ancor più per la federazione dei metalmeccanici della Confederazione.

In ogni caso è dall’accordo sul "nuovo modello contrattuale " che si partirà per verificarne i limiti applicativi ed eventualmente mettervi mano e acquisire cosi il consenso della Cgil sull’accordo che appare indispensabile per ulteriori passaggi negoziali.

Cosa si può fare di più sul versante delle relazioni industriali? Se le idee che animano i protagonisti del negoziato vanno nella direzione di una "nuova cultura produttivistica", e questa non si incammina verso uno scambio improprio tra diritti e occupazione, l’unica strada percorribile appare quella di una maggiore responsabilizzazione dei lavoratori e dei sindacati verso gli obiettivi di miglioramento della qualità, della produttività, della flessibilità e nella gestione dei processi produttivi. E questo unitamente ad una assunzione di responsabilità del management sui temi della sicurezza del posto di lavoro e delle condizioni di lavoro.

Le azioni messe in atto fino ad ora dagli accordi e dai provvedimenti governativi e accettate con più o meno entusiasmo da Cgil, Cisl e Uil hanno privilegiato l’incentivazione salariale al fine di ottenere una disponibilità dei lavoratori alla flessibilità (detassazione delle ore di prestazioni straordinarie ) e di adattabilità alle esigenze aziendali (detassazione del salario erogato a livello aziendale o collegato al miglioramento della produttività). Questi sistemi, unitamente agli accordi che derogano per certe aziende o per distretti industriali dalle norme fissate dai contratti nazionali, mettono in discussione la funzione solidaristica e unificante di questi ultimi, cosi come si è affermata dopo l’incerto avvio del primo decennio del dopoguerra. Come è stato acutamente osservato, la convergenza tra localismo (specie nelle aree del Nord) e contrattazione aziendale o territoriale può innescare una pericolosa deriva nella quale a perdersi è l’universalismo dei diritti. Occorre quindi cercare nuove strade in grado di tutelare meglio i diritti di tutti i lavoratori, anche perché è bene convincersi che il sistema contrattuale che abbiamo conosciuto è già alle nostre spalle e sarebbe inutile e perdente cercare di ricostruirlo.

La prospettiva è allora quella della "partecipazione" nell’impresa, come un nuovo strumento che si aggiunge alla contrattazione per rafforzare il sistema delle relazioni industriali e promuovere un apporto dei lavoratori e dei sindacati alle "performance" dell’impresa.

Sulla partecipazione a livello aziendale è stato scritto molto, come pure su quella economica attraverso i Fondi complementari previdenziali o all’azionariato dei lavoratori. Un punto dolente, almeno in Italia ,è l’indisponibilità fino ad ora dimostrata dal padronato e dalle forze economiche verso queste questi contenuti.

Quindi la prima e decisiva verifica è rappresentata dalla disponibilità del padronato ad aprire su questo tema. Anche perché senza questa disponibilità non si va da nessuna parte e il negoziato prende la strada di un elenco di richieste ad un governo che è poco disponibile. Se si vuole innovare nelle relazioni industriali la strada è segnata.

Si tratta di introdurre un organismo a livello aziendale dotato di poteri, in grado di discutere di investimenti e delle altre scelte strategiche dell’impresa, sul modello già presente in Germania nelle imprese maggiori o come è previsto nello Statuto dell’impresa europea. Allo stesso tempo occorre aprire ad una partecipazione efficace dei lavoratori, tramite rappresentanti eletti, alle decisioni a livello aziendale nel caso di modifiche alla organizzazione del lavoro, del regime degli orari, ecc.

Su questi ultimi aspetti ci sono state sperimentazioni a partire dalla Fiat con l’accordo del 1988; inoltre alcuni contratti di categoria prevedono commissioni bilaterali a vari livelli.

Queste sperimentazioni sono fallite perché i protagonisti sono gli stessi che fanno la contrattazione con gli stessi mandati dalla stessa base elettorale.

Per partecipare è necessario conoscere e quindi avere a disposizione informazioni preventive alle decisioni, il che comporta l’obbligo alla riservatezza soprattutto per le società quotate. Oltre a ciò, il dialogo e l’obiettivo di trovare convergenze e posizioni comuni hanno come fine il miglioramento dei risultati aziendali. Ora, per rispondere a questo profilo, i rappresentanti dei lavoratori non possono essere gli stessi che poi vanno a contrattare.

Si può definire un sistema articolato su due rappresentanze distinte non solo organizzativamente, ma anche per corpo elettorale e per mandato.

  • una rappresentanza per la partecipazione eletta da tutti i lavoratori articolata a livello di unità organizzativa e che ha una propria rappresentanza nel consiglio di sorveglianza;
  • la seconda, sostanzialmente le attuali Rsu, ma elette dai lavoratori iscritti ai sindacati con le prerogative negoziali. A questo proposito va ricordata la natura privatistica del contratto che è stipulato su mandato degli iscritti al sindacato.

Una nuova cultura delle relazioni sindacali implica anche la definizione delle strutture ad essa funzionale. Ma è una strada che è possibile imboccare se le parti, imprese e sindacati, guardano al futuro e non si attardano a voler ricostruire ciò che ormai è passato. Le improvvisazioni e gli interventi estemporanei hanno già modificato il sistema di relazioni impostato quasi venti anni fa. D’altra parte i risultati che quel sistema ha prodotto per lavoratori sono noti in termini sia economici che di peso in azienda.

Occorre una dose di fiducia nel futuro e la volontà di costruire un sistema bilanciato nei poteri e nelle responsabilità e che ridia alle relazioni industriali il ruolo di una risorsa per il paese.

Lunedì, 8. Novembre 2010
 

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