Per una nuova identità del sindacato

La tradizionale difesa del lavoro dipendente deve combinarsi con l'acquisizione per tutti i lavoratorri dei diritti sociali di cittadinanza

Come ha sintetizzato con la consueta lucidità Giuliano Amato in una recente intervista rilasciata a Repubblica, i "no" che hanno nettamente prevalso nei referendum celebrati in Francia e Olanda per la ratifica del trattato costituzionale siglato nel corso del summit romano dell'Europa dei 25 nell'ottobre dello scorso anno "erano non tanto contro la costituzione" - che peraltro è un monumento cartaceo di ecumenismo affabulatorio - "quanto piuttosto contro l'Europa che non cresce, che appare poco democratica, che si è allargata in modi che suscitano una ansietà direttamente proporzionale alla scarsa crescita e alla scarsità di posti di lavoro".
Però, la risposta che i cittadini europei si attendono non scenderà dall'alto come lo Spirito Santo. Sarà invece il prodotto di una attenta, paziente, sistematica costruzione di consenso collettivo che non potrà realizzarsi se, nel frattempo, la parola "sindacato" non guarirà dalla malattia che la sta consumando: la parola non parla più. Difatti, quanti seguitano ad usarla non sanno più con precisione se parlano della stessa cosa o di altro. La parola insomma è malata perché non possiede più un significato univoco e costante.
La polisemia che l'ha aggredita non è originata da snobismo intellettuale o dalla nevrosi di pochi. Lo stesso sindacato non sa più quale sia la sua identità. Sa soltanto di non essere più quello di ieri, senza però sapere come sarà domani, perché l'immagine di sé che in qualche modo si auto-rappresenta o gli viene appiccicata addosso ha contorni sfuggenti. Anche per questo, è frequente che, al termine di incontri pubblici o privati in cui si è discusso - in quasi tutti, più mestamente che animatamente - del sindacato e del suo ruolo nella società contemporanea, i parlanti che gli sono tuttora affezionati si congedino con la sensazione di avere celebrato i funerali d'un caro estinto e col presentimento che ormai non resti nient'altro da fare che elaborare il lutto.
Una conclusione del genere, invece, è più emotiva che razionale.
Quando un essere umano è colpito da un'infermità grave, ma è risanato da terapie appropriate, si suol dire che sembra rinato. Per questo l'emotiva conclusione non mi soddisfa. Anzi, poiché ogni crisi racchiude un'opportunità e quindi è probabile che anche il sindacato ne abbia una, mi piace pensare che un giorno si dirà che la parola "sindacato" è nata due volte.
Dico subito che il cambio di stagione terminologico-concettuale non avrà bisogno né di arcaici esorcismi né di penose abiure.
E' noto quanto sia esosa la "strategia europea per l'occupazione". A dare retta ai più zelanti, il sindacato sarebbe tenuto a modificare praticamente tutte le sue tecniche e tutti i suoi modelli d'azione: meno conflitto e più partecipazione; meno intransigenza e più moderatismo rivendicativo nella ri-regolazione dello scambio tra  lavoro e retribuzione; meno standardizzazione vincolante dei trattamenti economico-normativi e più deregolazione assistita; meno astratto universalismo valoriale e più pragmatismo legato ai grandiosi problemi della quotidianità.
Vero è che - come non si stanca di ammonire Tony Blair - "gli ideali sopravvivono attraverso il cambiamento ed è l'inerzia di fronte alle sfide che li uccide". Però, non si cancellano di colpo memorie collettive che obbligano le istituzioni ove esse sono custodite a muoversi come galeoni: anche questi natanti virano, ma impiegano tempo. In ogni caso, poiché anche un lungo viaggio comincia con un passo, è assolutamente pregiudiziale che  il sindacato ristabilisca un giusto rapporto con la società che dice di volere rappresentare nella sua globalità, oltre i limiti del mandato associativo degli iscritti.
Per rivitalizzare il suo ruolo con la coerenza desiderabile il sindacato deve anzitutto avere l'umiltà di riscoprire l'ombrello. Sissignori, deve saper tornare ad essere utile, come in origine, a quanti sono costretti a misurarsi in totale solitudine con una divinità irascibile e tuttora misteriosa come il mercato del lavoro.
Per questo, il sindacato deve attivarsi non solo quando un posto di lavoro l'interessato lo ha già trovato, ma anche quando lo sta cercando senza riuscire a trovarlo e dunque anteriormente all'instaurazione del rapporto di lavoro. Il che gli sarà possibile a condizione di attrezzarsi per erogare prestazioni di informazione-orientamento-formazione professionale in sintonia con un onesto ed efficiente monitoraggio permanente del mercato del lavoro; diversamente, i vuoti saranno colmati da altri, con finalità e per motivazioni che ne rendono problematica l'affidabilità.
L'ovvio rilievo che si tratti di un complesso di attività rientranti nella sfera d'azione del sindacato e strettamente legate alle sue tradizionali idealità non comporta che esse costituiscano parte di una strategia sindacale in senso proprio. Anzi, nel corso dei decenni esse sono state o cedute ad apparati pubblici di scadente qualità (come in Italia) o delegate a soggetti para-sindacali (in Italia hanno conservato l'ottocentesca denominazione di "patronati") che danno luogo a prassi nei confronti delle quali la dirigenza del sindacalismo storico è di solito tiepida o freddina. Al di là, forse, delle sue intenzioni; e, più probabilmente, in conseguenza di un'enfatizzazione del primato della politica che rischia di far perdere il senso di una funzione professionale da svolgere conoscendo dati, fatti e problemi nella loro concretezza. Infatti, poiché il sangue che scorre nelle sue vene è caratterizzato da un elevato tasso di politicità, essa tende ad assumere nei confronti di un bricolage appiattito sulla quotidianità e perciò giudicato di basso profilo un atteggiamento di cauto distacco, come se si trattasse di scheletri da nascondere nell'armadio.
Per questo, è accaduto che lo stesso sindacato abbia aiutato a sbagliare anche chi, come me, è bravissimo a sbagliare da solo. Infatti, anch'io per decenni ho valutato quell'esperienza di secondaria importanza, contribuendo così ad emarginarla al limite dell'insignificanza.
Viceversa, dopo i tempi eroici del titanismo rivendicativo del popolo degli uomini col colletto blu e le mani callose, è arrivato quello del popolo degli uomini e delle donne con abbigliamenti multi-colorati e in tasca un diploma magari di laurea, occupati più o meno precariamente in lavori non-standard di difficile classificazione. E' il tempo in cui la lealtà dei devoti su cui fa affidamento un sindacato di militanza è una merce rara, mentre spadroneggiano i calcoli di convenienza di cui un sindacato di servizi può giovarsi. Come dire che è il tempo in cui un sindacato disposto a ripensare se medesimo è tenuto ad integrare il suo ruolo di rappresentanza dei cittadini in quanto lavoratori dipendenti nella direzione di articolare, differenziare, specializzare le sue funzioni per promuovere l'industriosità della generalità dei lavoratori in quanto cittadini. Infatti, se per modernizzazione delle regole del lavoro s'intende precarietà e insicurezza delle persone, il diritto del lavoro è destinato, ora più che mai, ad evolvere a misura del cittadino che guarda al lavoro (non solo subordinato, ma anche autonomo) come all'unica o principale risorsa con la quale costruirsi un progetto di vita e dunque il diritto di lavorare nei paesi dell'Unione Europea è indissociabile dal diritto a fruire del pacco-standard di diritti sociali - ossia, di risorse e beni pubblici - che materializzano lo status di cittadinanza, indipendentemente da natura, modalità e durata del rapporto di lavoro.
Ove non risultasse questa la politica del diritto vincente perché i governanti dell'Unione Europea hanno scelto il ruolo del convitato di pietra, avremmo un'Europa all'americana e il diritto comunitario del lavoro non sarebbe più europeo.
Ha quindi ragione Jeremy Rifkin a scrivere che "gli europei farebbero bene a chiedersi quali nuove idee debbano essere messe in atto per migliorare il loro modello attuale". Ma hanno ragione anche quanti si aspettano analogo contributo dai sindacati di tutti i Paesi dell'Unione Europea.


 

Sabato, 30. Luglio 2005
 

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