Una bufala atomica

E' giusto diversificare le fonti di energia e il nucleare merita attenzione e investimenti: ma non quello con l'attuale tecnologia. L'uranio si esaurirà entro 40-50 anni, le scorie prodotte dovranno essere gestite per 500mila anni. Inoltre costa più delle alternative. L'Italia dovrebbe piuttosto raggiungere gli altri paesi per l'utilizzo delle altre fonti

Nell’affrontare una discussione sull’energia bisogna avere consapevolezza che stiamo pur sempre parlando di una tecnologia e non di una risorsa. La discussione deve quindi riguardare le potenzialità insite nella vera risorsa, quella umana (il cervello), che deve saper sviluppare tutte le attività di ricerca necessarie ad individuare quella quantità e qualità di energia funzionale ai bisogni sociali, economico-produttivi,ecologici ecc. del nostro tempo (è utile ricordare che prima dell’invenzione del motore a scoppio il petrolio non serviva a niente).

 

Inoltre la ricerca va diversificata tenendo conto sia delle specifiche necessità dei tre grandi settori di consumo - industria, trasporti, civile (mediamente consumiamo il 25%  di elettricità e il 75% di combustibili energetici); sia delle possibilità ed opportunità fornite dal territorio.

 

In tutto questo non si può escludere l’opportunità offerta dal nucleare. Anzi, urge domandarsi perché non vi sia maggiore continuità e solerzia di ricerca sull’utilizzo del Torio (più abbondante e con scorie meno tossiche), sul nucleare da fusione, sulle centrali di IV  generazione, su come ricavare l’idrogeno ecc…

 

Affermato che si tratta di tecniche definite strategiche, classificabili come servizio indispensabile, bisogna ricordarsi dell’insegnamento di Platone che diceva: “la tecnica sa come si fanno le cose, ma non sa perché si devono fare”; di conseguenza subordinava la tecnica alla “tecnica regia” (che non era nient’altro che la politica). E’ infatti la politica che promuove senso, apre scenari di speranza riportando l’economia e la tecnica al ruolo di strumento per realizzare gli scopi politici. Le scelte politiche devono quindi avere questo respiro strategico, tenendo anche presente che non sempre si tratta di scegliere tra alternative rischiose/sicure, ma tra diverse alternative rischiose.

 

Per esempio questo vale anche tra l’attuale energia atomica e la politica climatica (nel senso che l’una risolverebbe l’altra). In realtà non è così perché l’atomo non è eco-energetico e anche il raddoppio di centrali nucleari ridurrebbe solo del 6% l’emissione di CO 2, mentre è ovvio che la probabilità di incidenti catastrofici crescerebbe con l’aumentare degli impianti.

 

Fatte queste considerazioni di premessa la politica deve agire all’interno di queste consapevolezze:

- Non esiste un’energia che sia in grado di coprire da sola sia la richiesta futura (raddoppio), sia la sostituzione del 40% di quella prodotta da petrolio. Realisticamente nei prossimi 30 anni non avremo né “la società dell’idrogeno”, né “la società della fusione”.

- In attesa e accelerando sul futuro, per gestire la fase di transizione serve quindi una moltitudine di soluzioni e di tecnologie. Il mix va costruito rispondendo alle specifiche esigenze settoriali e territoriali. Gli assi strategici ovviamente devono essere le complessità delle energie rinnovabili e del risparmio-efficienza energetica. L’uso delle fonti tradizionali va considerato come elemento complementare e transitorio quindi meno rigido possibile per essere costantemente sostituito con le novità  ecocompatibili che emergono dalla ricerca.

- Inoltre bisogna ipotizzare una produzione di energia che sempre più passi dall’era delle centralizzazioni all’era delle decentralizzazioni, consentendo un notevole risparmio di energia dovuto alla dispersione delle reti.

 

Dentro questo schema e facendo riferimento all’impegno europeo 20 – 20 – 20 (risparmio, rinnovabili, riduzione CO2) l’Italia deve, a mio avviso, individuare questa scala di priorità:

 

a) deve concentrarsi molto di più sugli assi strategici: rinnovabili – risparmio efficienza.

Tenendo presente che siamo il fanalino di coda in Europa. Infatti, la produzione di energia dall’eolico è dell’1% in Italia, mentre in Danimarca è il 7%, in Spagna 9%, Germania 7%; il fotovoltaico in Germania è 30 volte quello dell’Italia ecc…

 

L’Enea ha calcolato che investendo 8,2 miliardi di euro per un programma di riqualificazione energetica degli immobili pubblici (efficienza – fonti rinnovabili) si avrebbe un risparmio di 28 miliardi di euro, rilanciando inoltre una vera e propria filiera produttiva utile all’economia e all’occupazione e realizzando un aumento del Pil dello 0,6% (perché non farlo subito?). Analogamente si potrebbe ragionare su un sistema di trasporti pubblici ecocompatibili funzionali allo sviluppo di una politica industriale in tal senso.

 

Andando oltre i soliti ragionamenti sul solare e sull’eolico, biomasse ecc, si tratta di esplorare tutte le potenzialità insite nella geotermia. Tutti sanno che la Toscana produce il 25% del proprio fabbisogno energetico con questa risorsa, ma molte altre regioni hanno analoghe opportunità (60% Lazio, Sardegna; 45% Veneto, Emilia Romagna; 30% Lombardia, Sicilia, Campania);

 

b) Per quanto riguarda le fonti tradizionali, assodato che il processo di sostituzione del petrolio (per produrre elettricità) va perseguito, in assoluto si tratta di scegliere tra gas, carbone, nucleare.

 

La scelta del gas è già fatta da tempo, in questo senso bisogna, caso mai, contenerla per evitare che si passi da una dipendenza (petrolio) ad un’altra (gas). La priorità riguarda quindi la costruzione di rigassificatori per ridurre la dipendenza, i rischi geopolitici e per aumentare le possibilità di approvvigionamento.

 

Per quanto riguarda il carbone è utile sapere che il nostro utilizzo è solo del 12% e ci costringe ad un uso di petrolio e gas  pari all’85% contro una media Europea del 50%.

Un equilibrio più consistente sul carbone pulito permetterebbe di avere una materia prima a basso costo, con riserve per oltre un secolo la cui provenienza è di aree geopolitiche più sicure. Inoltre potenziando l’uso dei termovalorizzatori (solo 8% in Italia, 56% in Danimarca) si attiverebbe un percorso virtuoso ed efficiente per risolvere il problema dei rifiuti. Penso che un sistema energetico bilanciato ed equilibrato su questi percorsi risponderebbe in modo compiuto al bisogno di questa fase di transizione senza avventurarsi nella costruzione di centrali nucleari di III generazione che al momento del loro uso risulteranno obsolete.

 

La critica che viene fatta è che si tratta di produzioni, che per quanto si possa limitare, producono comunque CO2 e quindi si sostiene che l’equilibrio debba avvenire con il nucleare considerata la ricetta vincente così come ha scelto tutto il mondo. Se è in parte vera la critica, non mi convince la tesi della ricetta vincente, penso invece che siamo sempre nel dover scegliere tra alternative rischiose. (Da considerare che la Germania che ha il mix ipotizzato è più vicina agli obiettivi europei della Francia concentrata sul nucleare).

Non è poi vero che il mondo abbia fatto questa scelta, infatti si è passati da una media di 17 centrali costruite all’anno (tra il 1970 – 1990) ad una media di 1,7 centrali per lo più fatte nei paesi emergenti. Inoltre la quota di produzione di energia nucleare scenderà di 6 punti entro il 2030 attestandosi attorno al 9%. Da considerare poi che esse utilizzano una materia prima (uranio 235) che potrebbe durare tra i 30 e i 40 anni e non c’è nessun paese europeo che lo produca. Scegliere - per chi come noi deve rientrare nel nucleare - un percorso già vecchio, ritengo sia sbagliato, soprattutto perché possiamo aspettare le centrali di IV generazione che perlomeno risolverebbero due problemi: quello della materia prima e quello dello stoccaggio delle scorie perché esse verrebbero riutilizzate nel ciclo.

 

Ma soprattutto occorre fare i conti con i costi. Ora se il ruolo dello Stato rimane quello di garantire i processi autorizzativi e i vincoli di sicurezza, di individuare i siti per le centrali e per lo smaltimento delle scorie, lasciando al mercato la valutazione delle convenienze, si scoprirebbe che tanto conveniente non è. I costi per la costruzione di una centrale variano da 4,6 miliardi di euro (Moody’s) a 5,2 miliardi (Power e Light) ai quali vanno aggiunti i tassi di interesse per un finanziamento che incomincia ad essere remunerativo dopo 15 – 20 anni, senza calcolare che servono 7 anni per saldare il debito di energia consumata per produrre una centrale.

 

I costi per lo smaltimento delle centrali a fine esercizio sono altrettanto significativi, per esempio lo smantellamento delle nostre vecchie centrali è calcolato in 12 miliardi di euro.

Per quanto riguarda l’irrisolto problema dello stoccaggio delle scorie, l’unico impianto individuato al mondo (quello di Yucca Mountain negli Stati Uniti) è costato fino ad ora 60 miliardi di dollari e sarà operativo nel 2020. Sarà utile porsi il problema che per produrre 50 anni di energia bisogna preoccuparsi di 500 mila anni di gestione?

 

Un’ultima annotazione riguarda i costi della nostra bolletta. Fatto 100 il costo finale, il 39% è dovuto al combustibile e agli oneri di produzione compresi i dipendenti e il 61% sono margini dei produttori e i cosiddetti costi ancillari. Inoltre il costo per produrre il Kwh è pari a 6,3 centesimi per il nucleare, a 5,5 per il gas e a 5,6 per il carbone.

 

Morale: le convenienze di mercato disincentivano oggi gli investimenti sulle attuali centrali nucleari; il che non significa escludere il nostro rientro su questa tecnologia. Bisogna farlo in un orizzonte internazionale, recuperando il troppo tempo perduto, costruendo una strategia di ricerca capace di trovare la soluzione giusta per il nostro tempo in quel mix che gli esperti identificano nel solare diretto e indiretto (rinnovabili) nella energia nucleare da fusione e fissione più sicure (IV generazione) e dalla energia termica intrappolata nelle viscere della terra.
Venerdì, 24. Aprile 2009
 

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