Un patto per la crescita: cosa direbbe oggi Tarantelli

In venti anni sono cambiate molte cose, e di grande rilevanza. Come e a quali condizioni è oggi possibile uno scambio politico tra le parti sociali per lo sviluppo e l'occupazione
Nei venti anni che ci separano dalla scomparsa di Ezio Tarantelli si sono verificati notevoli cambiamenti economici e politici: alcuni  lungo le linee da lui stesso suggerite,  mentre altri hanno modificato le premesse teoriche del suo pensiero. Fra le prime vi è il collegamento fra inflazione programmata e crescita dei salari, fra le seconde il patto di stabilità, la riforma del mercato del lavoro, e soprattutto, l'introduzione dell'euro. A prima vista i secondi superano di gran lunga i primi per cui questo mio articolo può sembrare un doveroso omaggio ad uno studioso e ad un amico, ma di fatto superfluo; il mio obiettivo è quello di dimostrare che un tale giudizio  sarebbe superficiale e di breve periodo.
 
La diffusa incapacità di ricordare il passato mi obbliga a ritornare a quegli anni difficili caratterizzati da una netta decelerazione della crescita del Pil, tassi di inflazione a due cifre, aumenti salariali leggermente superiori all'inflazione grazie agli automatismi, aumento della disoccupazione, crisi fiscale, tassi di interesse reali elevati per consentire al nostro Paese di restare nel sistema monetario europeo. In tali condizioni un rallentamento nel tasso di aumento dei salari avrebbe avuto come conseguenza una riduzione del salario reale poiché l'inflazione aveva un'isteresi che superava  l'anno in relazione ai tempi di reazione della scala mobile.
 
Da qui la resistenza dei sindacati, restii a credere nel contenimento dei prezzi da parte degli imprenditori e pertanto contrari  ad accettare un peggioramento della distribuzione del reddito senza contropartite.  Per evitare questo effetto aritmetico ma con conseguenze politiche ed economiche,  Tarantelli  suggeriva di avere un orizzonte temporale di due / tre anni durante i quali dovevano rallentare  insieme i salari monetari e l'inflazione ed entrambi dovevano seguire un sentiero stabilito da un accordo fra governo, confederazioni sindacali e imprenditoriali.
 
Questo processo avrebbe comportato una modesta riduzione dei salari reali ed una caduta della domanda con effetti deflazionistici sulla crescita della produttività, e pertanto lo scambio politico richiedeva che gli imprenditori si impegnassero a fare investimenti con gli obiettivi di sostenere la domanda e quindi l'occupazione ma soprattutto di migliorare la produttività del lavoro. Inoltre, la riduzione del divario inflazionistico nei confronti dei nostri partners nello SME, avrebbe consentito alla Banca d'Italia di allentare la politica  dei tassi di interesse reali elevati senza rischiare di cadere in una crisi di bilancia dei pagamenti, ossia poteva aumentare il potenziale di crescita dell'economia italiana.
 
In questo accordo spettava al Governo il compito di fare rispettare i patti e di impedire la diminuzione del benessere dei lavoratori mediante l'offerta dei beni pubblici ( istruzione, sanità, previdenza, ecc.).  Purtroppo la lettura corrente della proposta era stata limitata alla predeterminazione dell'inflazione attesa mentre lo scambio politico fra salari reali ed occupazione  era rimasto fra le cose importanti ma non essenziali  da fare.

Questo progetto politico ed economico si è realizzato solo in parte nel 1992 e ha consentito di superare la crisi valutaria e di allargare lo spazio fra prodotto potenziale e Pil reale, ma questo spazio di crescita potenziale era colmato dall'avanzo della bilancia dei pagamenti correnti, favorito dal dumping valutario,  senza registrare un adeguato aumento degli investimenti produttivi innovativi e quindi  della produttività. Inoltre il trattato di Maastricht impediva l'attuazione della parte di competenza del governo per cui la conclusione è stata quella prevista dai sindacati; ma di fatto non c'erano margini di manovra se si volevano evitare guai maggiori. Ossia l'idea di Tarantelli  era valida e aveva portato alcuni risultati importanti,  soprattutto ci aveva insegnato che se si supera l'ottusa contrapposizione fra lavoro e capitale si possono raggiungere traguardi impegnativi, ma gli strumenti per dare piena attuazione all'accordo erano poco efficaci, ed era difficile coniugare responsabilità sociali con comportamenti opportunistici e pseudo liberali.
 
Mancava un pallottoliere condiviso, come lo definiva Tarantelli, in grado di misurare i progressi ottenuti per consentire ad  imprenditori e lavoratori il monitoraggio dei passi compiuti nell'ambito dell'accordo siglato. Purtroppo l'unico pallottoliere utilizzato e sovente criticato, era l'indice dei prezzi al consumo, mentre sulla produttività e sugli investimenti la  mancanza di tempestività delle statistiche  ha fatto emergere, con ritardo, la rilevante esportazione di capitali italiani, la selezione di tecnologie labour saving, ed, infine, la lentezza con la quale procedevano  gli investimenti pubblici.
 
La situazione attuale è profondamente mutata perché la programmazione dell'inflazione non è più nell'ambito di responsabilità della Banca d'Italia ma è passata alla Banca centrale europea che vigila ed opera affinché l'inflazione non ecceda il target stabilito, di fatto mantenendo l'area dell'euro in una situazione prossima alla stagnazione. E' anche venuto meno il vincolo della  bilancia dei pagamenti per cui l'Italia potrebbe crescere a tassi sostenuti senza preoccuparsi del disavanzo dei conti con l'estero, ma la domanda interna è insufficiente e dominata dall'incertezza.  Resta irrisolto,  da oltre venti anni,  il problema del rallentamento della crescita della produttività del lavoro,  in sintesi  il problema  della competitività del nostro sistema economico, mentre l'interazione salari-prezzi-salari che si pensava fosse l'ostacolo che ci impediva di crescere,  è stata depotenziata ed è emerso chiaramente che  la stazionarietà della produttività ed il ritardo nei processi di aggiustamento hanno come effetto indesiderato ed inevitabile l'aumento del salario reale nel breve periodo.

In queste condizioni diventa essenziale stabilire correttamente  i nessi di causalità poiché la riduzione della dinamica della produttività ha una componente strutturale  ed una componente congiunturale e le due componenti interagiscono secondo il vecchio schema del circolo virtuoso che comporta crescita della  produttività, quindi della  competitività, dei  profitti, degli investimenti con i prezzi e i salari coerenti con la dinamica della crescita. Purtroppo il circolo virtuoso può trasformarsi in un circolo vizioso ma  in entrambi i casi lo schema descrive la situazione ma non la spiega perché resta sullo sfondo l'analisi della dinamica della produttività del sistema e quindi della sua competitività.
 
Nell'attuale situazione di stagnazione, i richiami alla concertazione e alla condivisione delle responsabilità restano privi di effetti perché diventa difficile identificare lo scambio politico fra le parti sociali,  ma resta l'esperienza positiva degli accordi del 1992 ed anche lo scetticismo sul rispetto degli impegni.

L'obiettivo resta quello implicito nello scambio politico di Tarantelli: sviluppo ed occupazione  del sistema produttivo italiano mediante un aumento della competitività anche se nel breve periodo questo può comportare una riduzione del salario reale ed un  aumento della disoccupazione. Allora l'oggetto dello scambio era il controllo dell'inflazione, oggi si deve puntare sul recupero di competitività e quindi sullo sviluppo del reddito e dell'occupazione. La maggiore  competitività non può venire da una riduzione del costo del lavoro o da un aumento dell'orario di lavoro perché, oltre ad essere una strategia difensiva, trascura l'esistenza di un  differenziale competitivo troppo elevato per potere essere colmato con piccoli interventi dirigistici o peggio con un aumento dei dazi che sarebbe impraticabile, almeno nei confronti dei nostri partners europei. L'unica strada aperta è la modifica nella nostra struttura produttiva puntando su prodotti ad elevata innovazione ma soprattutto ad elevata componente di qualità e di servizi correlati, ossia una ricerca della crescita del valore aggiunto mediante l'integrazione fra industria e servizi.
 
L'accordo quindi consiste nel progettare l'uscita dai  settori a bassa componente tecnologica e a basso valore aggiunto utilizzando gli ammortizzatori sociali,  per concentrare le risorse sui settori e sulle imprese ad alta intensità di innovazione in cambio di maggiore occupazione e di salari reali collegati alla produttività.
 
Le risorse finanziarie non mancano perché abbiamo ripreso a risparmiare nonostante le difficoltà economiche ed anche il settore pubblico sottrae meno risorse al settore privato. Lungo queste linee si pone l'articolo di Pier Luigi Ciocca e mio sulla strategia di crescita dell'economia italiana nel quale suggeriamo una strategia di crescita della produttività centrata sul  risanamento e l'orientamento produttivo delle finanze pubbliche, su maggiori dotazioni di infrastrutture materiali ed immateriali, sulla ristrutturazione del sistema produttivo italiano accompagnata da un aumento della dimensione media delle imprese e, infine, sull'accentuazione della concorrenza in molti settori specie del terziario e dei pubblici servizi.

La quantificazione dell'aumento della produttività e della concorrenzialità   non possono essere considerati un problema microeconomico del management e degli azionisti - padroni, oppure un generico impegno del governo, ma diventano parti essenziali dell'accordo politico  poiché si vanno a toccare le tasche dei lavoratori e le attese di  occupazione. La trasparenza nei comportamenti e la corretta informazione dei mercati sono due punti fermi della concorrenza, della governance delle imprese, del merito di credito, ecc. Non dovrebbe essere difficile inserire in questo nuovo modus operandi dell'impresa e dei mercati anche un'innovazione nelle relazioni industriali basata sulla contrattazione informata. 
 
Ancora oggi manca un pallottoliere condiviso, secondo la definizione diTarantelli, in grado di consentire ad  imprenditori e lavoratori il monitoraggio dei passi compiuti nell'ambito dell'accordo siglato. Questo pallottoliere non si deve limitare a misurare ma deve anche indicare cosa e come misurare, ossia deve fornire informazioni e conoscenza sull'innovazione e sulla produttività per gli effetti che producono sulla dinamica salariale ed occupazionale. Si potrebbero evitare inutili polemiche sulla misura dell'inflazione e si potrebbe fare uno sforzo nella direzione dell'innovazione anche in campo statistico, magari partendo da un'analisi del grado di concorrenza esistente nei diversi mercati e da una  quantificazione intersettoriale  degli effetti generati dalle nuove tecnologie sulla qualità, sulla quantità del prodotto, sui processi produttivi ed organizzativi, sulla qualificazione professionale dei lavoratori nei diversi settori. Si eviterebbe di osservare in ritardo e di polemizzare sugli effetti di eventi che non sono stati misurati ma solo percepiti  (anche se adesso è di moda) e soprattutto si potrebbero attuare politiche e comportamenti correttivi.

In questo nuovo accordo l'onere dell'attuazione si sposta sulle imprese perché spetta a loro fornire le informazioni concordate, corrette e tempestive, senza le quali la concertazione,  l'appello all'unità di intenti e il richiamo al senso di responsabilità dei sindacati, delle imprese e delle amministrazioni pubbliche diventa chiacchericcio e discussione da bar sport.

Forse manca la capacità politica e l'entusiasmo di Tarantelli per escogitare soluzioni praticabili di accordo in tempi brevi, forse si ritiene che manchi l'urgenza di provvedere perché il nostro sistema ha notevoli risorse per sopravvivere, forse si fa affidamento sulla selettiva distribuzione dei sacrifici imposti dall'attuale crisi,  ma il metodo resta valido e le soluzioni suggerite, dalla teoria e dall'esperienza,  sono chiare. Speriamo che non ci vogliano sette anni prima di vedere emergere questa strategia di crescita e soprattutto speriamo che ci vengano risparmiati nuovi lutti.
Martedì, 7. Giugno 2005
 

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