Un governo senza visione

Ancora compenetrato da uno schema concettuale che si affida alla fiducia nelle facoltà demiurgiche del mercato, l’esecutivo appare impermeabile a qualsiasi idea di programmazione, che è invece uno strumento tecnico necessario anche a dare un quadro di riferimento all’iniziativa privata

La programmazione come sistema organico di interventi di politica economica e monetaria non è una fissazione monomaniacale di certi studiosi, fra cui chi scrive, ma uno strumento tecnico in assenza o carenza del quale la progettualità politica appare sghemba: avanza a tentoni, procede a stop and go, produce mulinelli come una corrente che si infrange sulle scogliere della realtà. La difficoltà di effettuare sintesi decisionali meditate che vadano al di là del giorno per giorno deriva proprio dalla scarsa considerazione che - come più volte da me indicato - viene tuttora attribuita a questo metodo di guida all'analisi, prima ed all'azione, poi. Questa mancata attenzione confligge con l'approccio che recentemente caratterizza sempre più altre discipline, come la medicina, nella quale l'approccio olistico tende a prevalere, dando migliori risultati rispetto a quello specialistico disarticolato.

 

Molti episodi recenti, dal caso Rai alle frequenze Tv, alla Tav, al perpetuarsi dei danni idrogeologici, alle defaillances in politica estera, alle oscillazioni della politica energetica, alle incertezze della politica industriale ed alla sostanziale debolezza, al di là dei roboanti proclami, delle soluzioni che si vanno profilando per la riforma del mercato del lavoro, possono essere imputati a questo deficit metodologico. E non si tratta della fidelizzazione verso uno strumento, che in sé non è concettualmente diverso da una vite o da un filo a piombo. Ma è pur vero che senza il filo a piombo l'afflato religioso medievale non avrebbe trovato la sua massima espressione nelle vertiginose verticalità delle cattedrali del gotico fiammeggiante.

 

Negli ultimi anni - ma con questo termine alludo ad un arco temporale piuttosto ampio - si è assistito ad un fenomeno che non esito a definire paradossale. Negli schemi concettuali tradizionali si riteneva che la proiezione temporale dei progetti o dei programmi fosse direttamente correlata alla natura del soggetto che effettuava le analisi e prendeva le decisioni. Sarebbe quindi risultata più breve per gli individui singoli; maggiore per i nuclei familiari organizzati; ancora maggiore per i soggetti pubblici. In alcuni casi risultava massima per gli enti religiosi quali i monasteri, come se la fede nell'immortalità dell'altra vita facilitasse la capacità di realizzare, con una felice scelta di localizzazione ed una progettualità plurisecolare, formidabili plusvalenze immobiliari.

    

L'orizzonte economico familiare - che non coincide con i singoli progetti, ma ne costituisce per così dire la cornice - è rimasto prevalentemente dell'ampiezza di una generazione. Ma nel periodo in cui ha prevalso in economia l'illimitata fiducia nelle facoltà demiurgiche del mercato e in politica il governo di destre presunte liberiste si è verificata una situazione che crea il paradosso precedentemente accennato: l'orizzonte economico dei soggetti individuali e familiari finisce per essere maggiore di quello dei decisori politici. Questi ultimi, ritenendo di avere le spalle protette dagli automatismi del libero-scambismo, hanno sempre più ripiegato sulle tattiche di breve periodo: tattiche in aperto contrasto non solo con la programmazione, ma anche con qualunque visione razionale e globale del futuro della società. Lungo questo crinale si è dunque prodotta l'ennesima profonda frattura dei cittadini nei confronti della classe politica (come i sondaggi ampiamente dimostrano). In questo hiatus si assiste al declino dei concetti di socialità, solidarismo e di fiducia nel futuro inteso come insieme organizzato di strutture istituzionali - economiche e normative - entro le quali i singoli e le famiglie proiettano le proprie scelte. Tende a svanire anche la spes ultima dea: ciò non può non creare frustrazioni e finire con il produrre una contrazione temporale - obbligata e non voluta - delle stesse decisioni individuali. 

 

Il recupero della strategia dell'operatore pubblico dovrebbe, dunque, coincidere con il declino della fiducia acritica nelle proprietà taumaturgiche del mercato. Per la verità alcune delle più recenti decisioni del governo in carica - al quale non si potrebbe imputare l'assenza di una programmazione di lungo periodo perchè la sua vita effimera sembra essere stata prefissata - destano qualche perplessità. Di fronte ai disastri finanziari ed economici generati dalle forze di mercato, senza quella separazione del grano dal loglio che avrebbe necessariamente comportato il vincolo di regole programmatiche, può apparire quasi ingenuo l'attribuire virtù salvifiche al pareggio costituzionale di bilancio, alle liberalizzazioni, alla riforma del mercato del lavoro in assenza di una prospettiva globale dello sviluppo socio-economico del Paese. Vi sono interrogativi che non hanno ancora ricevuto risposta. Ad esempio come ravvivare durevolmente la domanda globale interna? Come riassestare i profondi squilibri nella distribuzione del reddito? Quale tipo di società si prefigura nel futuro di questa nazione?

 

Tracce di qualche ripensamento sul ruolo della programmazione pubblica - in assenza della quale gli stessi progetti degli operatori privati risultano incerti - si trovano nelle dichiarazioni elettorali di Francois Hollande. La Trimurti di Monti (equità, rigore, crescita) sembra, a giudicare dagli interventi in corso, la monotona iterazione delle preghiere di un rosario tibetano. E' questo un tipico caso in cui l'inversione dell'ordine dei fattori cambia il risultato: non è uguale, infatti, la sequenza equità, crescita, rigore rispetto a quella rigore, crescita, equità, della quale per il momento mi sembra si stia declinando solo il primo termine. La programmazione globale a medio e lungo termine non può prescindere da una visione, magari con venature utopistiche, di un tipo di società futura: lo strumento tecnico, dunque, è legato a scelte squisitamente politiche. Non a caso il governo cinese, che pure attua la programmazione con metodi autoritari non condivisibili, definisce il percorso della politica socio-economica del proprio Paese come una marcia nella direzione di una "Società Armoniosa". Potremmo tradurla, con minore eleganza stilistica, come equilibrio interclassista, più proclamato che realizzato.

    

Il governo Monti la cui ala sinistra (Riccardi) intinge le sue penne più nella confusa teologia della liberazione che nella dottrina sociale della Chiesa, appare culturalmente attrezzato per la programmazione settoriale a breve termine. Per l'ancoraggio a certi dettami della Scuola di Chicago non appare però possedere la piattaforma concettuale per impostare una programmazione globale a lungo raggio. E ciò indipendentemente dalla brevità del suo mandato. Ne discende una sensazione di neutralismo, di scarsa visione del futuro e di non perfetta sintonia di certi interventi fra loro, come se le correlazioni orizzontali fra equità e crescita e fra crescita e rigore non fossero colte appieno. Se a ciò si aggiungono le pressioni contrapposte dei "fratelli coltelli" che lo sostengono, le probabilità di trasformarsi in Re Travicello aumenteranno sino alla tornata elettorale amministrativa.

    

Paradossalmente il governo sembra invece ancorato a rigidità programmatiche che risalgono a più di un decennio fa. E' questo il caso della Tav per la quale occorrerebbe un aggiornamento alla luce del progresso tecnologico attuale e di quello prevedibile entro il 2020 e della preferenza dichiarata per le grandi opere strutturali in un Paese che richiederebbe invece una miriade di piccole opere, tra l'altro ad alta intensità occupazionale.

    

In conclusione, all'indomani delle amministrative queste carenze progettuali potrebbero produrre vistose incrinature nelle potenzialità del governo in carica. Nel qual caso non vorremmo che certi partiti fossero pronti a ri-programmare, di fronte ai cittadini immemori, quel disastro economico e finanziario di cui ci hanno recentemente gratificato.

Giovedì, 22. Marzo 2012
 

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