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L'elezione dei presidenti di Camera e Senato è andata come doveva, ma ha mostrato due cose. Che il centro destra darà battaglia senza badare ai colpi bassi. E soprattutto, che nell'Unione c'è un piccolo gruppo che non ha capito che la gravità della situazione non permette una legislatura di sola sopravvivenza
Alla fine la elezione dei presidenti delle Camere è andata come doveva andare. Bertinotti è stato eletto alla Camera e Marini al Senato. Saranno due eccellenti presidenti. Perché a un condiviso senso delle istituzioni possono aggiungere entrambi il senso pratico della concretezza acquisito con una lunga esperienza sindacale.

Tutto bene allora ? Non proprio. Il pessimo spettacolo di cui ha dato prova il Senato tra venerdì 28 e sabato 29 aprile deve infatti far riflettere.
 
Come c'era da aspettarsi i senatori della Casa delle libertà hanno utilizzato l'occasione della elezione del presidente per effettuare un allenamento su come commettere falli di reazione e ostruzione. D'altra parte, poiché Berlusconi non si è rassegnato e non si rassegna alla sconfitta elettorale, ha deciso di non disarmare. Oltretutto è abbastanza esperto di questi boschi per sapere che "quando il re è nudo anche i servi si tolgono la livrea". Non può stupire quindi che si presenti continuamente sulla scena politica con l'elmetto e la tuta mimetica. In effetti la divisa da battaglia sembra richiesta per rendere tendenzialmente verosimili residui progetti politici e connesse aspirazioni personali.

A ben vedere però non è tanto la linea di condotta decisa da Berlusconi e dalla Casa delle libertà che può impensierire Prodi e l'Unione. Semmai è la pessima rappresentazione di sé stessa che l'Unione è riuscita a mettere insieme al Senato che deve allarmare. Difficile sfuggire a qualche domanda: qual è il senso, chi sono gli autori delle beffe goliardiche, meglio sarebbe dire dei gesti di irresponsabilità politica, che hanno neutralizzato le prime tre votazioni? Qual è il significato di quella mezza dozzina di schede che hanno impedito una più tempestiva fumata bianca? Erano una occasionale manifestazione di dissenso per il modo con cui l'Unione ha scelto il proprio candidato? Oppure era (come si dice in politichese) un "segnale politico", cioè un messaggio al costituendo nuovo governo che un piccolo gruppo ha intenzione di trarre lucro dal proprio voto in una assemblea nella quale il governo può contare solo su una microscopica maggioranza? Sono domande che sarebbe inopportuno eludere. 
 
All'indomani delle elezioni i leader dell'Unione hanno respinto le profferte della nuova minoranza parlamentare per formare una Grande Coalizione, sostenendo, non senza ragione, che non sussistono le condizioni politiche. Ora, dopo la prova d'esordio, gli stessi leader della coalizione di centro sinistra farebbero bene a chiarire ai propri parlamentari che (per ragioni politiche, ma soprattutto economiche e sociali) non sussiste alcuna possibilità di adozione della dottrina andreottiana. Vale a dire che "è meglio tirare a campare che tirare le cuoia". Tanto più in una legislatura nella quale, a differenza del passato, deputati e senatori sono stati nominati dalle segreterie di partito anziché essere eletti. E dunque, o si marcia compatti, o si torna alle urne.
Domenica, 30. Aprile 2006
 

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